Lenin: l’epurazione del partito
20 settembre 1921
Scritto il 20 settembre 1921.
Pubblicato per la prima volta nella Pravda, 21 settembre 1921
A quanto pare, l’epurazione del partito è divenuta un affare seno e di enorme importanza. In alcuni luoghi l’epurazione è condotta essenzialmente in base all’esperienza, alle osservazioni degli operai senza partito, orientandosi su quel che essi dicono e tenendo conto dei rappresentanti della massa proletaria senza partito. Questo è ciò che v’è di più prezioso e di più importante. Se riusciremo effettivamente ad epurare in questo modo il partito dall’alto in basso «senza riguardi per nessuno», la rivoluzione farà una conquista veramente grande.
Le conquiste della rivoluzione non possono infatti essere oggi le stesse di prima. Inevitabilmente mutano «carattere, perché si è passati dal fronte di guerra al fronte economico, si è passati alla Nuova politica economica, poiché la situazione esige innanzi tutto un aumento del rendimento del lavoro, un aumento della disciplina del lavoro. In tempi come questi la più importante conquista che la rivoluzione deve ottenere è un miglioramento all’interno del paese, miglioramento che non colpisce, che non salta agli occhi, non si scorge a prima vista, un miglioramento del lavoro, della sua organizzazione, dei suoi risultati, un miglioramento nel senso che la lotta è diretta contro l’influenza dell’elemento piccolo-borghese e piccolo-borghese-anarchico che disgrega il proletariato e il partito. Per ottenere questo miglioramento bisogna epurare il partito dagli elementi che si staccano dalle masse (per non parlare, s’intende, degli elementi che disonorano il partito agli occhi delle masse). Non accetteremo naturalmente tutte le indicazioni delle masse, poiché talvolta anche le masse — specialmente in anni di eccessiva stanchezza e spossatezza dovute a fardelli e sofferenze smisurate — si lasciano andare a stati d’animo tutt’altro che progressivi. Ma per giudicare le persone, per condannare gli «intrusi», i «commissarieggianti», i «burocratizzati», le indicazioni delle masse proletarie senza partito, e in molti casi anche le indicazioni delle masse contadine senza partito, sono estremamente preziose. La massa dei lavoratori avverte con la più grande sensibilità la differenza fra i comunisti onesti e devoti e quelli che suscitano un senso di ripulsione in chi si procura il pane con il sudore della fronte, in chi non ha alcun privilegio, in chi non ha «nessun santo in paradiso».
Epurare il partito, tenendo conto delle indicazioni dei lavoratori senza partito, è una grande impresa. Essa ci darà dei risultati importanti. Essa farà del partito un’avanguardia molto più potente di prima, ne farà un’avanguardia più fortemente legata con la classe, più atta a condurre questa classe alla vittoria attraverso grandi difficoltà e grandi pericoli.
Come uno dei compiti particolari dell’epurazione del partito vorrei indicare l’epurazione degli ex menscevichi. A parer mio, dei menscevichi entrati nel partito dopo l’inizio del 1918, bisognerebbe lasciarne, all’incirca, non più di una centesima parte, e anche questo dopo aver controllato tre, quattro volte ognuno dei rimasti. Perché? Perché i menscevichi, come corrente, hanno rivelato, nel periodo fra il 1918 e il 1921, due tratti caratteristici: il primo è quello di adattarsi abilmente, di «intrufolarsi» nella corrente prevalente fra gli operai; il secondo è quello di servire ancora più abilmente, con piena dedizione, le guardie bianche, di servirle con i fatti rinnegandole a parole. Questi due tratti sono la conseguenza logica di tutta la storia del menscevismo: basti ricordare il «congresso operaio» di Axelrod, l’atteggiamento dei menscevichi verso i cadetti (e verso la monarchia) a parole e nei fatti, ecc. ecc. I menscevichi «s’intrufolano» nel Partito comunista russo non solo e non tanto per machiavellismo (sebbene i menscevichi abbiano dimostrato fin dal 1903 di essere maestri consumati nell’arte della diplomazia borghese), quanto per la propria «adattabilità». Ogni opportunista si distingue per la sua adattabilità (ma non ogni adattabilità è opportunismo), e i menscevichi, come opportunisti, si adattano «per principio», per così dire, alla corrente dominante fra gli operai, si mimetizzano, come fa la lepre che d’inverno diventa bianca. Bisogna conoscere questa particolarità dei menscevichi, e bisogna tenerne conto. E tenerne conto significa epurare il partito da circa il novantanove per cento di tutti i menscevichi che hanno aderito al Partito comunista russo dopo il 1918, cioè quando la vittoria dei bolscevichi è diventata prima probabile e poi certa.
Bisogna epurare il partito dagli imbroglioni, dai burocrati, dai disonesti, dai comunisti incostanti e dai menscevichi che hanno ridipinto la «facciata», ma sono rimasti menscevichi nell’animo.
Guarda “Discorso di Lenin“:
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