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“Guerra preventiva” al conflitto. Un’analisi dell’accordo sulla rappresentanza del 31 maggio

Cerchiamo innanzitutto di capire perché a questo protocollo venga accordata tutta quest’importanza. Confindustria non le manda certo a dire; per bocca del suo vicepresidente per le relazioni industriali, Stefano Dolcetta, si esprime con chiarezza cristallina: l’obiettivo a cui tendere è la prevenzione del conflitto6.

Sta qui il punto fondamentale di tutto l’accordo, quello intorno al quale si sono stretti in un incesto neocorporativo associazione degli industriali, associazioni dei lavoratori e governo. L’elogio di Letta va preso in esame sotto questa luce ed inserito nella cornice della mission che questo governo si è dato, ricalcando le orme di quello Monti: migliorare il grado di attrattività dell’Italia in modo da catalizzare investimenti. Un accordo sulla rappresentanza che riduca o addirittura prevenga il conflitto sui posti di lavoro, affiancato alla riforma delle pensioni ed a quella del mercato del lavoro (che sarà probabilmente ritoccata, anche perché si è mostrata per certi versi ancora inadeguata), è un ottimo incentivo perché costituisce la promessa di un paese senza conflitti sui posti di lavoro. Almeno questo è ciò che i neocorporativi nostrani si auspicano e cercano di vendere all’estero.
Non a caso il protocollo del 31 maggio dà ampio rilievo alla “esigibilità” dell’accordo; i firmatari, cioè, “si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi […]sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni sindacali (OO. SS.) che rappresentino almeno il 50% + 1 della rappresentanza”.

Il conflitto lo si vuole prevenire sì a valle, ma anche a monte.

La prevenzione del conflitto a monte: l’esclusione del sindacalismo di base

A chi si applica questo accordo?
L’accordo costituisce un colpo inferto innanzitutto contro il sindacalismo di base, con lo scopo di marginalizzarlo ed isolarlo ulteriormente. Difatti richiama il patto del 28 giugno 2011, il quale all’articolo 1 prevede che possano sedersi al tavolo delle trattative di comparto quelle OO. SS. che abbiano “una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media tra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi).”

Le OO. SS. devono rispettare però un altro requisito implicito: essere firmatarie dell’accordo del 31 maggio. Questo si configura infatti come un accordo tra privati e conseguentemente non espleta i suoi effetti se non su chi lo sottoscriva7. A differenza di quanto scritto nei precedenti patti interconfederali, l’accordo del 31 maggio abilita al calcolo della rappresentatività e quindi all’accesso alla contrattazione nazionale le sole organizzazioni firmatarie, non le aderenti. La differenza, a prima vista sottile, è in realtà un abisso giuridico che si apre tra le due diciture: i soggetti firmatari sono infatti quelli che hanno direttamente contribuito alla stesura ed all’approvazione dell’accordo (n questo caso CGIL-CISL-UIL e Confindustria), mentre gli aderenti sono coloro che decidono di accettarne il contenuto in un secondo momento, con le più svariate motivazioni. Attualmente l’unico modo affinché esso possa avere effetti erga omnes (validi per tutti) sarebbe la sua trasposizione in legge dello stato, possibilità, questa, guardata con estremo favore dal segretario generale della FIOM, Maurizio Landini8.

Quali sono le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative?
Se il problema della firma da apporre all’accordo fosse l’unico “neo” dell’intesa, dovremmo concordare con Landini. Ma come c’era da aspettarsi questo è solo il primo di una lunga serie di ostacoli posti lungo il cammino del sindacalismo di base. Un secondo è legato alla certificazione della rappresentatività dei sindacati. L’accordo in questo punto ricalca l’art. 43 comma 1 del TU sul Pubblico Impiego del 2001, l’unica legge che attualmente definisce un calcolo della rappresentatività in un settore lavorativo specifico, quello delle amministrazioni pubbliche.
Per quanto riguarda il settore privato, non esistono attualmente criteri stabiliti per la partecipazione alle trattative nazionali. Sono le associazioni datoriali a decidere chi è ammesso, a prescindere dalla rappresentatività ed in base ai rapporti di forza esistenti: il sindacalismo di base, con il suo portato di conflittualità, ne è dunque sempre stato escluso.
Il nuovo accordo prevede per tutti i settori l’incrocio del dato associativo e del dato elettorale. Come? Per il secondo l’operazione è più facile: basta determinare la percentuale dei voti che i diversi sindacati hanno raccolto sui voti espressi in occasione delle elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU). Il problema sorge però laddove non c’è questa forma di rappresentanza. In diversi settori esistono infatti, al posto delle RSU, le Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA)9. In altri poi, a dire il vero, non esiste nemmeno una rappresentanza, qualsiasi essa possa essere. In questi casi, in assenza del dato elettorale, la soglia dovrebbe essere quella del 5% del solo dato associativo10.
Ma qui altri nodi vengono al pettine. Il dato associativo si calcola infatti sulla base delle ritenute in busta paga11, operazione cui spesso i padroni si oppongono, soprattutto se in presenza di sindacati non firmatari di contratto nazionale, come le organizzazioni di base. Stanti così le cose, sindacati come USB o Cobas sarebbero esclusi dal conteggio, a prescindere dal numero di adesioni che hanno raccolto. La situazione è in realtà più complessa, e si configura come un mosaico di soluzioni opposte. La trattenuta sindacale sembra per ora costituire un diritto esigibile da tutte le organizzazioni sindacali, stante a quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n°2314 del 17/02/2012.

[…] i datori di lavoro (ivi comprese le strutture sanitarie) saranno ancora tenuti, in caso di notifica della cessione del credito e nonostante l’applicazione ai dipendenti privati del D.P.R. n. 180/50, ad effettuare le trattenute sulle buste paga ai fini del pagamento delle quote associative sindacali, a prescindere dall’appartenenza o meno del lavoratore all’associazione firmataria del ccnl applicato, pena il risarcimento derivante dall’ingiustificato inadempimento e la commissione di comportamenti valutabili come antisindacali […]

Il risultato è che in alcuni settori i sindacati di base partecipano effettivamente alle trattenute sindacali, in altri faticano ancora ad imporre questo loro diritto.

…e a valle: una cappa di restrizioni e sanzioni per chi voglia protestare

Come si approva il CCNL?
L’esclusione aprioristica dei soggetti potenzialmente più combattivi non esaurisce la “guerra preventiva” al conflitto lanciata da industriali e sindacalismo concertativo.
In primo luogo, i contratti nazionali per diventare efficaci devono essere validati dai lavoratori.

1.3 I contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni Sindacali che rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, come sopra determinata, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto – saranno efficaci ed esigibili. La sottoscrizione formale dell’accordo, come sopra descritta, costituirà l’atto vincolante per entrambe le Parti.

Solo che il patto del 31 maggio non prevede una forma specifica, demandando invece alle singole categorie la determinazione delle modalità. Ciò significa che non è affatto detto che i lavoratori saranno chiamati ad esprimere la propria preferenza con un referendum a scrutinio segreto. Potrebbe accadere, ed è il metodo per il quale sta spingendo ad esempio la CISL, che siano chiamati ad un voto palese per alzata di mano, strumento che aumenta a dismisura il potere di ricatto delle organizzazioni sindacali e riduce ulteriormente le libertà del lavoratore.

Rinuncia al conflitto nei luoghi di lavoro
Chi firma l’accordo rinuncia poi a qualsiasi possibilità di protesta.

1.4 Il rispetto delle procedure sopra definite comporta, infatti, oltre l’applicazione degli accordi all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici, la piena esigibilità per tutte le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie della presente intesa. Conseguentemente le Parti firmatarie e le rispettive Federazioni si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti.

Nel testo è scritto a chiare lettere ed è ribadito con forza – se proprio qualcuno non avesse inteso o non volesse intendere – ancora da Dolcetta: “quando la maggioranza ha deciso, la minoranza non ha possibilità di promuovere iniziative, di qualunque genere, a contrasto dell’accordo12. Lo sciopero, quindi. Ma non solo. Laddove si parla di procedure di raffreddamento e di sanzioni (la cui specificazione è rimandata ai singoli contratti di categoria) si intende sì limitare il diritto allo sciopero, ma si guarda anche ad altre forme di lotta, comprese le cause legali. Per i padroni, sono le espressioni del conflitto a 360° a dover essere circoscritte e ristrette fino a – sperano loro – scomparire.

Disciplina sulle RSU
Per raggiungere quest’obiettivo, i sindacati si fanno carico dell’infame ruolo del controllo della forza lavoro, ben più di quanto non abbiano fatto finora. Alcuni dei diritti individuali dei lavoratori, pur restando formalmente tali – individuali – vengono in realtà catturati dalle organizzazioni sindacali.

1. In primo luogo le nuove RSU, anziché rappresentare gli interessi dei lavoratori, saranno legate a doppio filo all’organizzazione sindacale di cui sono espressione, configurandosi così come qualcosa di molto simile alle RSA. Il nuovo accordo prevede infatti che il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un RSU determini la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della stessa lista sindacale.

1.6 […] il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito.

Cancellate con un colpo di spugna la libertà individuale e il diritto al dissenso, le nuove RSU sarebbero rappresentanti non dei lavoratori bensì dei sindacati, e saranno pronte ad impegnarsi a giurare fedeltà alla propria organizzazione di provenienza. Non è un caso che con il nuovo accordo i diritti sindacali passino dall’essere in capo al singolo RSU, all’essere in capo alle sole organizzazioni firmatarie dell’accordo. Come spiega bene Giorgio Cremaschi: “Se per caso a un delegato RSU Cgil venisse in mente di proclamare uno sciopero, ad esempio sui sabati, in presenza di un accordo siglato dal suo sindacato di appartenenza, verrebbe dimesso da delegato e lo sciopero ritirato13.

2. L’indizione di nuove elezioni per il rinnovo delle RSU, se prima poteva essere fatta anche da soggetti non firmatari dell’accordo del 1993, ora è una prerogativa specifica dei firmatari dell’accordo, in questo caso CGIL-CISL-UIL. Perdipiù l’indizione può avvenire solo se definita unitariamente da tutti e tre i sindacati.

1.6 In ragione della struttura attuale della rappresentanza, che vede la presenza di RSU o RSA, il passaggio alle elezioni delle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle Federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie il presente accordo.

Il nuovo accordo prevede inoltre che la partecipazione alle elezioni per le RSU preveda l’adesione totale ai punti contenuti nell’accordo del 31 maggio, compreso l’impegno a non dissentire su accordi firmati dalla maggioranza delle RSU e ad accettare limitazioni al diritto di sciopero ed eventuali sanzioni previste dal CCNL.

1.6 […] viene confermato il principio stabilito nell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993, ossia che le organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, o che comunque ad essa aderiscano, partecipando alla procedura di elezione delle RSU, rinunciano formalmente ed espressamente a costituire RSA ai sensi della legge n. 300/70.

3. Si parla dunque, in terza battuta, di misure volte a garantire che l’impegno affinché le “articolazioni a livello territoriale ed aziendale si attengano a quanto concordato nel presente accordo” non rimanga un mero pronunciamento su carta. I singoli contratti collettivi nazionali di categoria avranno infatti il compito di prevedere procedure di raffreddamento14, col fine di prevenire il conflitto, e sanzioni, cui sarà invece demandato il compito di punire i dissenzienti15.

1.5 I contratti collettivi nazionali di categoria, approvati alle condizioni di cui sopra, dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti sulla base dei principi stabiliti con la presente intesa.

Ma a chi sono dirette queste clausole e queste sanzioni? Se è vero che alcuni adombrano il rischio che possano esser fatte valere contro i singoli lavoratori, la giurisprudenza è stata finora unanime nel ritenere che tali provvedimenti investono sostanzialmente le rappresentanze sindacali. Ciò non toglie nulla alla gravità delle previsioni dell’accordo. Si va infatti a delineare, sempre più chiaramente, un ruolo del sindacato ben diverso da quello di cui tanti lavoratori avrebbero un disperato bisogno: CGIL, CISL e UIL si impegnano ad influire sui lavoratori affinché rispettino la disciplina associativa, i dettami degli accordi e affinché non mettano in campo alcuna forma di lotta, sciopero in primis.

Ma perché i sindacati concertativi hanno firmato un accordo del genere? Cosa ci guadagnano?

Se CISL e UIL sembrano semplicemente fare un passo in avanti sulla strada che si son spianati già da tempo, diverso è il discorso per la CGIL e – soprattutto – per la FIOM. La firma del principale sindacato dei metalmeccanici non è un atto scellerato, frutto dell’incapacità di comprenderne le possibili conseguenze. Se si considera in termini corporativi, ovvero per il ‘bene’ della federazione e non di quello dei metalmeccanici, l’accordo del 31 maggio presenta una serie di vantaggi. L’organizzazione rappresentata oggi da Landini potrà infatti far valere il suo peso, e potrà peraltro godere dei proventi delle ritenute sindacali, oggi invece sospese alla FIAT e ovunque non sia firmataria di accordo. Potrà ritornare a sedere ai tavoli di trattativa, cercando di metter fine ad un’emorragia di iscritti che l’ha colpita laddove la sua posizione non è stata quella di chinare la testa dinanzi alla controparte.
Come potrà però difendere gli interessi dei lavoratori, oltre che quelli propri di ‘parrocchia’, è un mistero di non facile soluzione, visto che ha deposto le armi dinanzi ad un nemico che ha intenti tutt’altro che pacifici16.

Possibili scenari futuri

L’accordo non entrerà in vigore immediatamente. Secondo Dolcetta potrà essere effettivo solo a partire dal 201417. Da quel momento esso dispiegherà tutti i suoi effetti.
Allora come possiamo muoverci per affrontare questo attacco?
La forza d’urto del nemico è enorme e non bisogna nascondersi che non sarà facile portare a casa il risultato. Ma, malgrado tutto, l’accordo, apparentemente blindato e granitico, può risultare assai fragile. Tutta la sua forza deriverà infatti dalla capacità delle centrali sindacali di irreggimentare i lavoratori, riposando dunque sulle capacità di controllo e di cattura di CGIL-CISL-UIL. Allo stesso tempo, però, proprio questo potrebbe costituire il suo tallone d’Achille. Innanzitutto è probabile che si farà maggiore chiarezza, con una demarcazione sempre più profonda tra sindacati “complici” e sindacati “conflittuali”. Alla CGIL e alla FIOM risulterà assai più difficile giocare al contempo il ruolo di sindacato “di lotta e di governo”. O di qua, o di là. L’accordo parla chiaro.

E, proprio per questo motivo, avendo barattato il diritto alla protesta con la partecipazione alla gestione del sistema delle relazioni industriali, queste OO. SS. potrebbero avere difficoltà a controllare quei settori di lavoratori cui, anche a causa dell’acuirsi della crisi, non sono destinate più neanche le briciole. Il conflitto rimane infatti insopprimibile e non può bastare un accordo per cancellare con un tratto di penna e con un regime repressivo sui posti di lavoro il malcontento, la frustrazione, la rabbia dei lavoratori. Ancora e ancora questi troveranno modo di esprimersi. Forse attraverso forme di lotta più sotterranee e non facilmente generalizzabili, le “armi dei deboli”: quelle forme di conflitto strisciante, di resistenza quotidiana che perseguono obiettivi fattuali immediati. Giusto per fare alcuni esempi, tra di esse figurano i rallentamenti, lo scarso impegno sul lavoro, i piccoli sabotaggi, l’assenteismo, i finti incidenti. Si tratta di forme che, rimanendo nella maggior parte dei casi nascoste, non sono facili da carpire e valutare. Ciò nulla toglie all’importanza di essere capaci di scorgerle, di sostenerle e di contribuire alla loro immissione in una cornice che punti alla trasformazione dello stato di cose presenti.
Anche grazie alla più marcata demarcazione tra “complici” e “conflittuali”, i lavoratori potrebbero poi trovare una sponda importante in quegli attori che avranno la responsabilità di poter accogliere e dare spazio alle loro voci: i sindacati di base che, non essendosi legati le mani con quest’accordo, hanno dinanzi a sé la possibilità di sostenere il conflitto sui posti di lavoro.
Infine, l’accordo sulla rappresentanza chiama in causa questioni di carattere politico più generale. In ballo ci sono non solo il diritto alla protesta, ma anche al più semplice dissenso. Diritti e prerogative che interessano tutte e tutti, chi è al lavoro e chi è disoccupato. Capire che il dispositivo che stanno preparando per inibire il conflitto sui posti di lavoro avrà ripercussioni a cascata anche negli altri ambiti della società, che è una delle misure per “uscire dalla crisi” e “rilanciare la crescita”, deve essere la premessa per un suo inglobamento in quell’agenda politica che deve avere l’ambizione di mettere in discussione, rallentare ed invertire la rotta decisa da governo, imprenditori ed istituzioni internazionali.

Per approfondire: intervento di Carlo Guglielmi, del Forum Diritti Lavoro al recente congresso dell’USB

note
1. Vedi le dichiarazioni di Susanna Camusso, segretario generale della CGIL o quelle di Squinzi, presidente di Confindustria, o ancora Il Sole 24 Ore, 1 giugno 2013, Picchio Nicoletta e Pogliotti Giorgio, “Rappresentanza, accordo storico. Trovata l’intesa sulla rappresentanza”.
2. Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013, p.7.
3. Così l’ha definito il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013, p.7.
4. Il Messaggero, 2 giugno 2013, p.19.
5. Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013, p.7.
6. Ibidem.
7. È bene chiarire che vale esclusivamente, per parte padronale, per le aziende associate in Confindustria. Non si applica, per fare solo l’esempio più famoso, alla FIAT. Lo fanno notare qui alcune organizzazioni datoriali minori.
8. Corsera, 2 giugno 2013, p.13.
9. Dal 1970 (anno di entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori) la rappresentanza nei luoghi di lavoro era affidata alle Rappresentanze Sindacali Aziendali (R.S.A.). Queste, a partire dal 1995 (in seguito ad un referendum che modificò sostanzialmente il testo dell’art. 19 dello Statuto), potevano essere costituite dell’ambito di qualsiasi organizzazione sindacale, purché firmataria di un contratto collettivo di qualsiasi livello (nazionale, provinciale o aziendale) applicato nell’unità produttiva.
Caratteristica determinante, le RSA sono elette (o più frequentemente designate) tra i soli iscritta ad una sigla sindacale. Esse hanno perciò il solo onere di difendere i diritti dei lavoratori iscritti al proprio sindacato di riferimento.
La situazione cambia con l’Accordo interconfederale del 23 luglio del 1993 e quello del 20 dicembre del 1993, che istituiscono le Rappresentanze Sindacali Unitarie (R.S.U.) e ne regolano composizione, funzioni, diritti e tutele.
Le RSU sono composte per 2/3 da membri eletti da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da membri designati o eletti dalle organizzazioni stipulanti il CCNL in proporzione ai voti ottenuti. In sostanza, se si riconosce “d’ufficio” un terzo della rappresentanza alle centrali sindacali confederali, si garantisce altresì la presenza delle organizzazioni sindacali minoritarie presenti in azienda.
A differenza delle RSA, le RSU sono elette da tutti i lavoratori, a prescindere dall’appartenenza sindacale. Partecipano conseguentemente alla contrattazione aziendale in nome di tutti i lavoratori.
10. Su quest’aspetto non c’è unanimità di vedute, considerato che alcuni “addetti ai lavori” sostengono che tale soglia dovrebbe essere innalzata al 10%.
11. La quota che il lavoratore cede al sindacato, già oggi, non è riscossa direttamente da quest’organizzazione, ma tramite l’intermediazione dell’azienda. L’ente che dovrà certificare il dato associativo è l’INPS che successivamente lo trasmetterà al CNEL.
12. Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013, p.7.
13. Intervista a Giorgio Cremaschi.
14. Le procedure di raffreddamento sono generalmente previste per limitare la conflittualità in azienda, attraverso il rafforzamento di obblighi informativi reciproci con la previsione di periodi di valutazione e di confronto, nei quali i sindacati si impegnano a non proclamare lo sciopero e le imprese a non mettere immediatamente in atto decisioni organizzative che ledano gli interessi dei lavoratori.
15. Non stiamo parlando di un futuro così lontano, anzi! Nel caso del CCNL nel settore dell’igiene ambientale, su cui è stato raggiunto un accordo lo scorso 24 maggio, parliamo addirittura del recente passato! Qui il regolamento per entrare nella RSU è cambiato rispetto al CCNL del 2008, prima con il verbale del 18 Aprile, poi con la firma del contratto nazionale il 24 Maggio, determinando un innalzamento delle barriere d’accesso alla rappresentanza. Per candidarsi bisogna raccogliere il 5% di firme accompagnate da un documento di identità, accettare il ccnl, gli accordi interconfederali, il regolamento delle rsu e soprattutto una regolamentazione stringente del diritto di sciopero. Per qualsiasi lavoratore o sindacato accedere alla contrattazione di secondo livello in un’azienda del settore comporta, oltre all’assenso verso tutti gli accordi precedentemente firmati, anche l’accettazione in partenza tutti gli accordi votati dalla maggioranza della RSU! Come se non bastasse questo “nuovo” CCNL blinda ulteriormente la presenza sindacale triconfederale nel settore, prevedendo un patto di solidarietà tra CGIL-CISL-UIL: nell’assegnazione dei seggi, se una di queste tre organizzazioni non dovesse raggiungere il quorum, in nome del patto le viene assegnato comunque un seggio.
16. Lo stesso discorso si può fare anche per la CGIL, escludendo però l’apparente contrasto tra una fase di ‘lotta’ degli ultimi anni e la capitolazione di questi giorni, visto che già da lungo tempo il principale sindacato italiano si è mostrato più che disponibile ad andare incontro alle esigenze di padroni e governo.
17. Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013, p.7.

 

da clashcityworkers

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