Il controllo del comportamento tramite gamification. Il caso di Uber
La diffusione capillare delle tecnologie informatiche nei paesi a capitalismo avanzato ha fatto crescere le preoccupazioni riguardanti la tutela dei dati sensibili di milioni di persone. L’ubiquità di smartphone, tablet, computer e elettrodomestici connessi ad internet permette di registrare informazioni su quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana, dalla posizione alle interazioni sociali passando, in alcuni casi, per l’esercizio fisico svolto e la frequenza del battito cardiaco. Sebbene il fatto che qualcuno sia in possesso di tutte queste informazioni sia di per sé una preoccupazione legittima e giustificata, un altro ordine di problemi sorge qualora si consideri le implicazioni dello studio di una tale mole di dati alla scale di miliardi di persone.
Possedere queste grandi quantità di dati, insieme alla possibilità di analizzarli, permette di studiare, in maniera piuttosto dettagliata, il comportamento degli esseri umani e le loro interazioni. Alcune delle applicazioni più note sono quelle relative alla profilazione degli utenti, per esempio per proporre pubblicità mirate, per selezionare i candidati ad un posto di lavoro ancora prima del colloqui o per concedere mutui o polizze assicurative nei termini più vantaggiosi per la banca o agenzia di assicurazioni. Allo stesso tempo possono dare indicazioni su come modificare le interfacce dei social network o di altre applicazioni in modo da catturare maggior tempo, attività ed interazioni da parte degli utenti.
Una delle forme che questi processi assumono, per esempio, è la gamification, ovvero l’introduzione di elementi di mutuati dai giochi (in particolare i videogame) in altri contesti per influenzare il comportamento delle persone a cui si rivolge. Si basa su degli insiemi di regole e di meccanismi di incentivo dei comportamenti desiderati (meno utilizzata la penalità per quelli indesiderati). Recentemente un articolo del New York Times ha fatto luce sulle strategie di controllo della forza lavoro di Uber che utilizzano la gamification.
Uber: gamification per controllare la forza lavoro
Uber impiega questo tipo di strumenti per mantenere un’offerta affidabile del servizio, mentre i costi per l’azienda, e per il consumatore, vengono ridotti al minimo. Elementi provenienti dal gioco sono state sempre utilizzate in differenti contesti (per esempio le raccolte punti, le medaglie dei boy scout…), ma nel caso di Uber tutto è mediato da un app per smartphone, perciò gli elementi che si possono gamificare sono potenzialmente illimitati.
È proprio per questo che centinaia di scienziati sono impegnati, in un campo a cavallo tra le scienze sociali e l’analisi dati, a sperimentare queste tecniche provenienti dai video game per spingere gli autisti a lavorare più a lungo e più intensamente, addirittura nei luoghi e negli orari noti per essere meno remunerativi (per i lavoratori). Generalmente si basano su meccanismi di feedback (punti, notifiche, ricompense simboliche e bonus), indicatori (per esempio countdown, classifiche, etc…), elementi come sfide e missioni o che sfruttino il modo in cui le persone ragionano nelle situazioni che incontrano (per esempio, l’avversione alla perdita).
L’importanza dei dati raccolti tramite i dispositivi informatici, con i quali siamo costantemente in rapporto, si svela nella sua funzionalità per l’accumulo di una scienza del capitale che va ben oltre l’intrusione nella privacy degli individui. Per esempio, Uber ha accesso ai dati relativi alle accelerazioni e alle frenate, in questo modo può valutare l’efficienza di guida degli autisti e suggerire loro di interrompere il lavoro qualora i dati ne rivelino un affaticamento eccessivo.
Inoltre Uber è in grado di capire quali caratteristiche funzionino meglio ai suoi scopi e modificare l’app di conseguenza. Nel caso della funzione “forward-dispatch”, mentre una corsa non è ancora terminata viene inoltra all’autista quella successiva; in questo modo i driver non hanno tempi morti e Uber è in grado di ottimizzare la distribuzione del lavoro, incrementare i propri guadagni ed evitare che ci sia scarsità di autisti, nel qual caso Uber dovrebbe pagare ai driver una quota maggiore per il servizio. Per capirci, è la stessa funzione che usa Netflix per far seguire un episodio all’altro senza necessità di intervento da parte dell’utente per favorire il fenomeno del binge-watching e, quindi, realizzare l’obbiettivo di Netflix di massimizzare il tempo speso dagli utenti guardandone i contenuti.
Questa forma di controllo della forza lavoro, tramite studio dei dati e tecniche psicologiche, appare particolarmente adatta al paradigma del platform capitalism: mentre le aziende abbattono i costi della forza lavoro (appaltandolo a soggetti formalmente indipendenti), devono assicurarsi che effettivamente una quantità di lavoro definita e controllabile venga svolta.
Un sistema efficace
Un altro esempio di applicazione della gamification è quello della British Petroleum, che è in grado di risparmiare fino a 1200$ all’anno per l’assicurazione sanitaria di ogni dipendente, spingendoli ad installare un’app di fitness e mettendoli in competizione sportiva tra di loro.
In generale, la natura della gamification viene espressa chiaramente nelle linee guida pubblicate da Oracle dove, alla voce “Phase 5: Tracking and Analyzing the Progress of a Gamification System”, si legge « è essenziale analizzare come il sistema di gamification sta funzionando», infatti «L’obbiettivo del tracciamento e dell’analisi è di misurare, tracciare e aggregare e riportare i dati del sistema di gamification». E ancora « Solo misurando l’attività pre-gamification è possibile determinare se le specifiche dinamiche ludiche stanno alterando il comportamento degli utenti al livello desiderato».
Questo è solo uno dei processi che si sviluppa grazie all’ormai (quasi) onnipresente raccolta di dati, ma è abbastanza per avere un’idea della profondità alla quale gli sviluppi tecnologici capitalistici siano in grado di conoscere la soggettività delle persone e disciplinarne il comportamento. Questi si basano su un accumulo di conoscenza, sebbene incompleta e parziale, di fatti riguardanti le interazioni tra esseri umani, tra umani e macchine, i loro aspetti psicologici fino ad arrivare alle reazioni biochimiche che avvengono nel nostro cervello in risposta a determinati stimoli.
Per non essere relegati all’impotenza bisogna sviluppare le capacità di confrontarsi con questo bagaglio di conoscenze, quantomeno perché risultano incredibilmente efficaci. Una ricognizione conoscitiva di questa frontiera dall’accumulazione di scienza capitalistica è il passo più urgente da intraprendere, che rimane per lo più ignota ai saperi antagonisti. Tuttavia la sfida è complessa e i risultati non sono garantiti: il problema non è esclusivamente possedere queste conoscenze, ma è il segno politico che è incorporato nella tecnologia e nella scienza, le quali si sviluppano, e si sono sviluppate, nelle direzioni che risultano profittevoli per il capitale.
D’altro canto i social network, la diffusione capillare della connessione in rete e il successo delle tecniche di gamification (solo per fare gli esempi più popolari) hanno come radice comune le necessità delle persone, che vivono già delle forme di alienazione precedenti, di fuga dalla solitudine, di riconoscimento e di condivisione. Il capitale ha brillantemente interpretato queste necessità, incorporandone alcuni aspetti nel macchinario digitale, trasfigurandole in stimoli digitali di tipo relazionale, mentale e ludico, quindi mercificandole ed alienandole ad un livello più profondo. Sarebbe illusorio cercare di sfuggire a questi processi sociali semplicemente rimpiangendo i tempi andati, in cui le relazioni erano “più vere” e i desideri si soddisfacevano senza ricorrere agli odierni mezzi tecnologici. Piuttosto, a partire dalla realtà contemporanea e dalle soggettività che vi si trovano, bisognerebbe sviluppare direzioni in cui questi desideri smettano di essere risorse imbrigliate nello sfruttamento capitalistico.
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