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Inchiesta operaie Yoox: “Abbiamo spalancato la porta e siamo uscite!”

Presentiamo una video intervista che riassume le ragioni della protesta e che può considerarsi una sorta di prefazione all’inchiesta in divenire che verrà pubblicata nello rubrica “Approfondimenti” di Infoaut. Nei prossimi giorni presenteremo nuove interviste. Buona lettura.

 

Video sintesi delle ragioni della lotta delle operaie della Yoox

 

Quando hai iniziato a lavorare per la Yoox? Che ruolo ricoprivi all’interno dell’azienda?

 

Iniziai  a lavorare al reparto dei Sigilli, dove i capi di vestiario arrivano  già preanagrafati e  fotografati sia sulle modelle che sui manichini.

Il mio lavoro consisteva  nel controllare che la merce arrivata  fosse stata correttamente fotografata. Dopo averla suddivisa  per stagione la davo alle ragazze che provvedevano a porvi il sigillo di garanzia . Di lì tutti i capi sia stesi che appesi venivano portati  al reparto dello stoccaggio, che inizialmente si trovava nel  magazzino vicino  e  in cui era presente  esclusivamente il personale delle cooperative.

Principalmente il mio lavoro lo svolgevo nel magazzino  direttamente gestito da Yoox, un ambiente pulito e ordinato, con una ventina di bagni, aria condizionata, una mensa molto ampia… tutto quello che mancava  nell’altro magazzino, quello dove c’erano solamente le cooperative, dove per centinaia di persone c’era un solo bagno in comune tra maschi e femmine e la mensa era un buco, il caldo d’estate si faceva insostenibile e d’inverno si gelava.

La merce era sparsa ovunque, tanto che per le ragazze era difficile riuscire a lavorare, eppure veniva richiesta una produttività molto alta, bisognava piegare e sistemare tutti i capi per bene e velocemente, anche se a volte mancava lo spazio fisico in cui potersi muovere e le ragazze stavano tutte ammassate intorno a questi tavoli pieni di maglie.

Nel mio reparto io svolgevo un ruolo organizzativo con delle responsabilità che però non mi vennero mai riconosciute. Alla cooperativa  facevo comodo, avevo esperienza ed ero  una figura ideale di collegamento tra i due reparti.  Ma aldilà del mancato riconoscimento di questo ruolo a livello contrattuale problemi con i responsabili non ne avevo mai avuti.

 

Quando iniziano esattamente ad incrinarsi i rapporti con l’azienda e la cooperativa (quindi con i rispettivi responsabili), che ti porteranno poi a scioperare con le altre facchine?

 

Questo fino a che non iniziai a prendere le difese delle altre ragazze, quelle che stavano “sotto di me”.   Erano molto più giovani di me e tutte straniere. Con loro i toni erano diversi. Se a me veniva richiesto lo straordinario, a loro veniva direttamente ordinato, se mi capitava di sbagliare non mi si urlava contro come invece succedeva a quelle poverette.

C’era una differenza sostanziale nel modo in cui venivamo trattate e questo non lo potevo sopportare, non lo trovavo giusto e iniziai a far presente che quello non era il modo di trattare la gente, in un certo senso mi ero ribellata. Con una certa meraviglia e  fastidio da parte del mio capo che probabilmente non capiva perché non mi fossi fatta gli affari miei…

Ben presto la cooperativa decise di affiancarmi un nuovo collega, al quale dovetti insegnare il lavoro.  Purtroppo lui entrò da subito in una logica di competizione e rivalità, cercava  in ogni modo di denigrarmi con i capi e di essere servile nei loro confronti. Era anche lui italiano, grande e persino laureato, ma nonostante ciò veniva da loro  trattato malissimo. E lui zitto,  non reagiva in nessun modo, si comportava come se avesse capito che lì dentro l’unico modo  per tentare di far carriera era quello di strisciare. E  più passava il tempo, più lui diventava uno zerbino, un leccaculo.

Ma io non potevo. Non lo avevo mai fatto nella mia vita e  non avevo intenzione di iniziare ora. Questa differenza tra i nostri atteggiamenti ebbe l’effetto di aumentare l’astio del mio responsabile nei miei confronti. Finché anche a me toccò  la punizione che avevo visto tante volte capitare alle altre ragazze. Un giorno mi venne duramente rimproverato un errore e subito dopo mi venne comunicato che il giorno seguente, sarei rimasta a casa. Protestai ma questo non servì.  Mi recai nell’ufficio del responsabile e ammettendo il mio errore feci presente che non era giusto punirmi in questa maniera. Avevo sempre lavorato sodo e non mi ero mai tirata indietro davanti agli straordinari richiesti, perché punirmi così per  un errore? Ero umana e potevo sbagliare. Il responsabile mi tranquillizzò dicendomi che avrebbe sistemato le cose, ma questo non avvenne. E l’indomani dovetti restare a casa. La settimana successiva rientrai in azienda e per me iniziò l’inferno. Venivo trattata sempre peggio, i toni dei responsabili nei miei confronti si facevano sempre più accesi, la situazione divenne ben presto insostenibile. Da subito venni allontanata dal mio abituale ruolo e tutte le mansioni che prima svolgevo vennero affidate all’altro collega   che però non era ancora in grado di svolgerle, tanto che in quel periodo commise degli errori madornali. Poco dopo il reparto Sigilli subì una divisione, una metà (quella in cui c’erano i fotografi e i modelli)  resto all’interno del magazzino Yoox e l’altra metà (quella in cui c’erano solo i fantom , cioè i manichini) finì in quello della Mr. Job. Io insieme a tutto il personale della cooperativa venni spostata nel secondo magazzino e per un po’ con una certa meraviglia da parte mia ripresi il mio abituale ruolo. In realtà essendosi sdoppiato il reparto c’era ancora bisogno di una figura come la mia, gli facevo ancora comodo. Non passò però molto tempo e venni nuovamente spostata, questa volta però per fare lo stesso lavoro delle altra ragazze, quello di mettere i sigilli. Ci dissero che la Yoox aveva deciso di eliminare quel ruolo che a quanto pare era costoso e poco funzionale, ora lo avrebbe svolto una macchina.

 

Dopo l’eliminazione del tuo ruolo di mediatrice tra responsabile e facchine alla Yoox, sei stata spostata, a seguito di una suddivisione del magazzino, nel reparto gestito da Mr Job. Com’era lì l’ambiente di lavoro? Come si comportavano i responsabili?

 

Arrivai a fare i sigilli mentre la produttività richiesta veniva aumentata sempre di più. Dall’ottobre del 2012 ad oggi si era alzata del 40 %,  dagli 80 pezzi all’ora che inizialmente ci venivano richiesti, ora bisognava farne 110, che sono impossibili da fare. Ci sono a volte dei capi un po’ più facili, come i jeans e la maglie e allora ce la puoi anche fare, ma poi l’ora dopo magari ti capita un capo più difficile e allora non riesci a farne 110 e ti fermi a 50. E invece loro ti chiedono ogni ora 110 pezzi come alle macchine… ma noi non siamo macchine. Tra un’ora e l’altra poi posso avere anche un giramento di testa, perché sono una persona e non ce la faccio e poi noi non siamo pagate a pezzi. Era una lotta continua ma non tutte la portavamo avanti. Molte delle mie colleghe preferivano ammazzarsi di lavoro, pur di soddisfare la produttività richiesta. E i responsabili lo sapevano… per quello la richiedevano!  Certo che se ti ci metti riesci a raggiungerla, e chi lo faceva, rinunciava ad andare al bagno, rinunciava alle pause, a volte non mangiava. Io le mie pause le volevo fare, anche perché sapevo che se non mi fermavo a riposare  non riuscivo nemmeno a rendere. Le altre no, arrivavano prima, andavano via dopo e non facevano le pause, così avrebbero potuto presentare un foglio migliore del mio. All’inizio su questo foglio bisognava solo mettere la quantità dei capi più difficili, ma poi iniziarono a richiedere di segnare tutti i capi che facevamo e di farlo al termine di ogni ora, così la nostra produttività veniva controllata di continuo. Ogni 60 minuti un responsabile veniva a controllare questi fogli e ci chiedeva conto delle differenze tra un’ora e un’altra:  “perché due ore fa hai fatto 108 pezzi e un’ora fa ne hai fatto 100?”. Chi non soddisfaceva la produttività veniva rimproverato davanti a tutti, pubblicamente umiliato. Finché arrivarono le minacce e i ricatti. Chi non raggiungeva la produttività non avrebbe potuto fare la pausa. Questo lo venne a dire una responsabile alla quale risposi che io la mia pausa l’avrei comunque fatta. Di lì a poco venni chiamata in ufficio dal responsabile del personale. Lui infuriato mi fece presente che nel mio contratto non era prevista la pausa. Io gli feci notare che l’avevamo sempre fatta e che in 8 ore di lavoro sempre in piedi nella stessa posizione a piegare maglie io di quella pausa avevo un bisogno fisico, che peraltro visto che loro parlavano sempre di produttività mi avrebbe permesso di rendere maggiormente! E poi io quella pausa la volevo perché la consideravo un mio diritto. Se era vero che nel mio contratto non erano previste la pause era anche vero che io non lavoravo a pezzi, nel contratto non era menzionata la mia produttività! A quel punto lui andando sempre più minaccioso mi urlò che io in quanto socio lavoratore dovevo fare quello che mi si ordinava, altrimenti sarei dovuta andarmene! Io dissi che non me ne sarei andata e lui mi disse che dal giorno dopo sarei finita alla Cosmoprof, cioè alla Fiera dove la Mr.Job ha in appalto la pulizia dei bagni. Risposi che per me non sarebbe stato un problema. Infine volle rimproverarmi per aver risposto alla responsabile nel reparto. Mi disse che quel mio atteggiamento secondo il contratto collettivo nazionale era insubordinazione verso un superiore… ma a me sentir parlare di rispetto del ccnl fece ridere!

A quel punto mi disse di andarmene. Erano passate le mie sei ore previste dal contratto. Anche se regolarmente noi lì facevamo sempre 8 ore, nonostante i nostri  contratti fossero da 4 e 6 ore… tutto il resto era lavoro supplementare che a fine mese ci veniva tassato incredibilmente nelle buste paga. Ma al termine di quella giornata stranamente il mio orario veniva rispettato e io mandata  a casa.

Il lunedì successivo venni richiamata al mio vecchio posto. La spiegazione c’era e si chiamava “chiusura del trimestre” bisognava cioè finire tutta la merce in magazzino perciò una persona in meno sarebbero stati 800 pezzi non fatti. Avevano detto a tutti di fare dello straordinario e per forza di cose io gli servivo al mio posto.

 

I responsabili ti puniscono spostandoti per una settimana alla Cosmoprof, puoi raccontarci brevemente la tua esperienza in quel nuovo contesto lavorativo?

 

Per la settimana successiva, terminata “la chiusura del trimestre” mi mandarono al “Cosmoprof” a fare le pulizie. Dovevo iniziare il lunedì ma mi convocarono solo il mercoledì. Feci sapere che comunque non avevo alcun problema e ci andai. Il lavoro consisteva nel pulire i bagni, sia maschili che femminili mentre erano aperti e venivano usati. Per questo quando pulivamo i bagni maschili cercavamo di essere sempre in due, dato che l’antibagno era pieno di orinatoi non era il caso di stare sole, avevamo comunque un certo timore. Ricordo che ad una collega capitò di essere infastidita da un uomo che mentre orinava aveva preso a parlarle e ad un certo punto le aveva detto testuali parole “oh lo sai che mentre parlavo con te mi è venuto duro?”. Già altre colleghe si erano trovate in situazioni analoghe e lo avevano fatto presente, ma la cooperativa non intervenne mai, ripetendo il solito leit-motiv del “o così o quella è la porta”.

 

Come reagirono capi e responsabili alla notizia che alcune di voi stavano prendendo contatti o si erano già iscritte ai Si Cobas?

 

Terminata la fiera ritornai in magazzino dove le colleghe mi chiesero da subito come mi ero trovata. Io continuavo a dire che ero stata veramente molto bene e che non avevo avuto alcun problema. Poco dopo mi chiamò il responsabile in ufficio sgridandomi e dicendomi che parlavo troppo.  In realtà era infuriato per quello che dicevo. Mi gridò che lui non mi aveva di certo mandato lì per punirmi e io risposi che lo sapevo benissimo tant’è che mi ero trovata molto bene. Volevo fargli capire chiaramente che non avevo paura delle sue minacce e delle sue punizioni. Improvvisamente mi rimproverò di aver preso contatto con i S.I.Cobas dicendomi che lo era venuto a sapere e che loro in azienda avevano rapporti con Cgil, Cisl e Uil che le leggi le conoscevano e che facevano in modo che fossero applicate. Gli feci presente che se tutto era davvero regolare come lui diceva doveva stare tranquillo e che anche io anni prima avevo fatto una vertenza con la Cgil, perciò i miei diritti li conoscevo. A quel punto si ammorbidì fino a diventare disponibile e rassicurante. Mi disse che d’ora in poi se avessi avuto qualsiasi problema era a lui che dovevo rivolgermi. E che se non riuscivo a raggiungere la produttività richiestami non ci sarebbe stata alcuna conseguenza. Lo stesso atteggiamento mostrò la mia responsabile di reparto che improvvisamente si mise con me a scherzare e ad essere gentile. Quando seppe che dall’informarci eravamo passate all’iscriverci al Si.Cobas si  ammorbidì ancora di più. Mi chiedeva come stavo, se era tutto ok, se stavo bene fisicamente. Mi diceva di non angosciarmi se non riuscivo a finire, che non era un problema.

Fu in quel contesto che capii e compresi anche quanto fosse subdola e falsa. Cercava in ogni modo di dissuadermi dalle mie convinzioni e dalla mia adesione al sindacato, cercando di farmi sentire in colpa e devo dire che ci stava quasi riuscendo. Realizzai il giorno dello sciopero quanto fosse meschina. Venni a sapere che si era rivolta alle mie colleghe dicendo loro che ci aveva provato ad avvertirmi, e che lei già sapeva che mi ero iscritta così come sapeva che mi avrebbe punita… cercava di essere gentile solo per farmi parlare e avere informazioni.

 

Ricordando che siamo comunque all’inizio di questa lotta, credi comunque che il primo sciopero abbia già portato dei risultati concreti? Com’era il rapporto con i colleghi dopo l’inizio degli scioperi?

 

Dopo il primo sciopero quando rientrammo in azienda stavano girando su facebook dei post che dicevano che eravamo delle terroriste, che per colpa nostra uno dei responsabili era stato allontanato, e che lui era un uomo buono. Uomo buono?? Davvero non capivo come si potesse appellare così un’uomo che a delle ragazzine di 18 anni andava dicendo “Sei la prossima che mi scopo” o ancora “Il certificato portamelo in bagno” o “ Se non fai la produttività te ne puoi stare anche a casa”. Ma in generale quando rientrammo dello sciopero non si parlava più. Ben presto vennero convocate delle assemblee di Cgil, Cisl  e Uil di cui noi non venivamo informate.

 

Come viene percepita, invece, la presenza di sindacati confederali da parte dei vostri colleghi e dall’azienda?

 

Molte colleghe non riuscivano a capire che tutto questo stava succedendo solo perché avevamo fatto quello sciopero mentre la Cgil non ci aveva mai difeso. Gli stessi delegati sono stati scelti nel magazzino dal responsabile dell’azienda che li ha portati al sindacato per indicarglieli.  La Cgil qui è entrata attraverso l’azienda, i lavoratori nemmeno li conosceva. E questi delegati sono in parte responsabili nel loro reparto. A una di queste riunioni assistetti ad una discussione tra i rappresentanti sindacali  e le ragazze di un altro reparto, la discussione verteva sulla questione dei livelli. La proposta del sindacato era infatti quella di adeguare i livelli in base ai reparti e alle mansioni senza tenere conto dell’anzianità e creando una gerarchia tra le mansioni  che penalizzava molto tutte le ragazze che da anni lavoravano all’interno di certi reparti. Privilegiati finivano per essere solo alcuni reparti come quello della fotografia mentre per quelli in cui le mansioni sono più pesanti i livelli dovevano rimanere quelli più bassi, e qui parliamo di persone che lavorano da più di 3 anni che si trovano ad avere ancora un livello come il 6junior, uno schifo. Ad ogni modo credo che la battaglia sui livelli non debba essere combattuta solo per alcuni ma per tutti e su questo sono d’accordo anche i S.I.Cobas. Quando ci siamo rivolti a loro eravamo esasperate. Non ne potevamo più di schemini e progettini  come facevano altri sindacati. Volevamo tutto e lo volevamo subito! E così dopo nemmeno due riunioni andammo allo sciopero.

 

Sappiamo che questo fu effettivamente il tuo primo sciopero, dato che durante il primo non potevi essere presente. Cosa hai provato? Come hai vissuto questo momento di lotta?

 

In realtà questo era il mio primo vero sciopero ed è iniziato all’improvviso senza che quasi capissi cosa stava succedendo. Due nostre colleghe, anche loro iscritte non erano state fatte entrare. E allora senza nemmeno pensarci, abbiamo deciso di scioperare tutte insieme in solidarietà. Con il cuore in gola  ho preso su il mio borsello e ho iniziato ad andare verso l’uscita davanti a tutti, mentre la responsabile si rivolgeva all’altra collega che stava uscendo con me per chiedergli se andava tutto bene. Certo, aveva risposto lei e insieme abbiamo continuato a camminare.  Fermo sulla porta dell’uscita abbiamo visto il direttore della Yoox che ci guardava. E’ stato un attimo, abbiamo spalancato la porta e siamo uscite. Appena sono uscita mi sentivo libera. Ma quei venti passi che mi hanno condotto verso la libertà, diciamo che sono stati pesanti. Avevo paura. Ma il sentirmi libera valeva tutta la paura che ho provato prima di uscire dal magazzino. Avevamo troppa rabbia dentro, ne avevo io, ne avevano le mie colleghe, ne avevo io per le mie colleghe. Solo il pensiero di una collega, amica, trattata in quel modo da un responsabile o un dirigente, mi faceva rabbrividire. Loro sono state forti dal canto loro a sopportare cinque anni di molestie del genere, ma ora è arrivato il momento di dire basta. Non ce la facciamo più e vogliamo cambiare questa situazione indegna.

 

È stata tanta la solidarietà che ti aspettava fuori dall’azienda per il picchetto. Ti aspettavi che così tanta gente venisse a sostenere la vostra lotta?

 

Forse mi aspettavo che qualche collega in più si unisse alla nostra lotta, ma sono rimasta comunque colpita, dalla grossa quantità di persone solidali fuori dal picchetto. I ragazzi del centro sociale Crash!, i facchini della Granarolo o di altri magazzini, gli universitari e gli studenti delle superiori… sono stati i primi a mettersi sotto i camion con noi per bloccarli. E lì mi dicevo, caspita, loro non mi conoscono nemmeno, eppure stanno lottando per me, per noi. E ci hanno difese, ci hanno supportate. Lì ho capito che davvero c’è della gente che lotta per gli altri. Un po’ come sto facendo io. Alla fine, io non avevo grossi problemi a livello lavorativo, ero in grado di farmi rispettare in

confronto alle altre. Io volevo difendere le mie colleghe. Questa lotta la sto facendo soprattutto per loro. E grazie alla nostra lotta anche chi non è sceso con noi a scioperare avrà il livello e il full time. Ma forse non tutti sono in grado di capire l’importanza della nostra lotta… se in ventitré siamo riusciti ad ottenere già grossi risultati, spero che la prossima volta saremo in cento a picchettare, e rovesciare definitivamente questa situazione.

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