InfoAut
Immagine di copertina per il post

Lo sport in Israele tra razzismo, odio etnico ed islamofobia

Di seguito alcune nostre considerazioni sul razzismo in Israele, partendo dal caso degli episodi di di cui si sono resi autori i tifosi del Beitar Jerusalem, squadra di calcio che “vanta” di non aver mai avuto in organico calciatori appartenenti alla componente araba della popolazione che vive all’interno dei territori occupati nel 1948. Non cadendo in facili semplificazioni, vogliamo sottolineare solo come quello del razzismo anti-arabo sia un’ideologia stratificata e funzionale e che interviene come giustificazione teorica di una situazione di fatto: nel caso del conflitto arabo-israeliano dell’occupazione israeliana della Palestina.

Con questo brevissimo contributo speriamo di alimentare il dibattito a sostegno del boicottaggio  degli europei di calcio under ’21 di quest’estate che dovrebbero tenersi proprio in Israele.

Venerdì scorso (8 febbraio 2013) le fiamme sono divampate nella sede sociale di una società di calcio israeliana. Quasi certamente non si tratta di incidente, ma di attacco doloso. Il club che ne è stato fatto oggetto è il Beitar Jerusalem e le cause del gesto vanno probabilmente ricercate nel recente acquisto di due calciatori. Qualche settimana fa, infatti, il Beitar ha acquistato Gabriel Kadiev e Zaur Sadayev, due giocatori ceceni. Si sa che a volte i tifosi non gradiscono alcuni acquisti per una molteplicità di motivi che non staremo qui a riassumere. E, anche in questo caso, Gabriel e Zaur non risultano graditi. Per nulla. Il problema per i tifosi del Beitar non è però che i due siano ceceni; è che sono musulmani.

Il club di Gerusalemme, così come praticamente tutti i club israeliani, ha una storia che si intreccia in maniera inestricabile con politica e religione. Non si tratta solo di sport. La società deve infatti il suo nome ad un movimento della gioventù sionista che negli anni ’40 del secolo scorso aveva strettissimi legami con un partito di estrema destra, Herut, fondato da Menachem Begin (l’Herut si fonderà poi in quello che oggi è il Likud). Le sorti della società sono andate in parallelo con quelle dei partiti politici di riferimento; così, alla metà degli anni ’70, il primo titolo nazionale del Beitar arrivò in corrispondenza con la prima vittoria elettorale del Likud, portatore di un nazionalismo di destra ed oggi il partito del primo ministro Netanyahu.

Il Beitar è oggi l’unico club israeliano a poter ‘vantare’ il record di non aver mai fatto siglare un contratto ad un calciatore appartenente alla componente araba della popolazione che vive all’interno dei territori occupati nel 1948 e da cui nacque lo stato israeliano e che oggi rappresenta il 20% del totale. I tifosi del Beitar hanno una lunga storia, fatta di razzismo, xenofobia, islamofobia. Uno dei cori preferiti sulle curve è “Morte agli arabi”. Poco prima dell’arrivo dei due giocatori ceceni, è stato issato uno striscione che recitava “Beitar per sempre puro”.

Per capire il livello di intolleranza di cui questi tifosi sono espressione aggiungiamo che Gabriel e Zaur sono stati fatti oggetto di aggressioni verbali e di sputi; per di più, sono costretti ad effettuare gli spostamenti da e verso il campo di allenamento sotto la scorta della polizia e con l’ausilio di una compagnia di sicurezza privata. Un tifoso del Beitar si è presentato agli allenamenti della sua squadra del cuore indossando una maglietta con cui esprimeva un messaggio ben chiaro: “Maometto è morto al 100%”.

La fazione meglio organizzata e più radicale della tifoseria della squadra di Gerusalemme è conosciuta col nome di “La Familia”. Nato nel 2005, il gruppo è solito distinguersi per il verso della scimmia contro calciatori neri e per cori anti-islamici ed anti-arabi. Alcuni dei suoi membri sono stati accusati di aver aggredito addetti alla manutenzione dei campi del club semplicemente perché palestinesi. Inoltre, hanno aggredito verbalmente il manager del Beitar, Kornfein, colpevole di essersi espresso contro il razzismo nel calcio. E, se proprio qualcuno avesse ancora dei dubbi sul loro conto, il giorno prima dell’arrivo dei due nuovi acquisti ceceni un membro de La Familia ha rilasciato ad un giornale israeliano un’intervista in cui tra le altre cose dichiarava: “Io sono razzista. Odio gli arabi […] Se ci portano in squadra dei musulmani, i tifosi ridurranno in cenere il club. Non può essere: gli arabi e il Beitar Jerusalem non sono compatibili”.

Sono in molti a sostenere che “La Familia” non possa essere considerata rappresentativa degli umori e delle posizioni dell’intera società israeliana. E nessuno lo nega. Ma, a volte, nei tentativi di dissociazione si possono ravvisare problemi ben più profondi di quelli che possono trasparire da quelli che spesso passano per “gruppi di fanatici estremisti”.

Al campo del Beitar, a poche ore dall’incendio degli uffici del club, un tifoso, Yaniv Pesso, 43 anni, ha condannato “La Familia”: “Sono stupidi. Sono pochissimi, come una piccola mafia, ma fanno sentire forte la loro voce. A me non piacciono i musulmani, ma lo sport è sport”. Queste dichiarazioni lasciano trasparire elementi di grande preoccupazione. Voler dipingere “La Familia” come un gruppo altro da sé, per di più di un’alterità irriducibile, fondata su stupidità e violenza, costituisce il tentativo di allontanare fantasmi che invece sono ben presenti. La frase “a me non piacciono i musulmani” non necessita forse nemmeno di un commento approfondito, tanto è evidente il razzismo di chi proferisce una simile affermazione.

Ma, anche qui, dalle dichiarazioni di un tifoso del Beitar difficilmente si possono costruire delle generalizzazioni valide per l’intera società israeliana o, quanto meno, per la sua maggioranza. Potrebbe darsi, infatti, come sostiene Tamar Herman dell’“Israeli Democracy Institute”, che “i club di calcio sviluppano sottoculture che non riflettono necessariamente l’intera società che li circonda”.

A star però a sentire Avraham Burg, ex membro della Knesset (il parlamento israeliano) ed ex portavoce della “World Zionist Organization”, la stuazione dovrebbe essere osservata da tre prospettive diverse. “Il quadro più piccolo è che ogni club di calcio ha un suo gruppo di tifosi, estremisti e fanatici. Lo spirito del Beitar è interpretato da questo gruppo come etnico, religioso, razzista, xenofobo ed islamofobo. Il quadro intermedio è quello di Gerusalemmete. Ad oggi è di vedute ristrette, una città che si pone da sola dei limiti, in cui le due comunità (arabi ed ebrei) vivono separate. Il quadro più grande si costruisce a partire dal quesito sul se tutto ciò sia simbolo di un problema più grande all’interno di Israele. La risposta è senza dubbio sì. È una combinazione di razzismo e xenofobia, ma il razzismo è legato all’estremismo religioso.”

Troppo spesso, poi, le istituzioni risultano complici delle formazioni più “estremiste”. Rimanendo sempre ai tifosi del Beitar, lo scorso anno, in occasione della trasferta che opponeva la loro squadra al Bnei Sakhnin, l’unico club della serie A israeliana rappresentativo di una città arabo-israeliana, alcune centinaia hanno offeso ed aggredito i lavoratori palestinesi ed alcuni clienti di un centro commerciale in prossimità dello stadio. Nessuno di questi tifosi, identificati per lo più come membri de “La Familia”, è stato arrestato.

Ritornando invece alle parole di Tamar Herman che sostiene che il sentimento anti-arabo in Israele sia qualcosa di diverso rispetto all’islamofobia in Europa, perché il primo “è basato su un conflitto di interessi. Non è per il fatto di essere arabi o musulmani, ma le cause vanno ricercate nella lotta continua per il possesso della terra”, non si può che essere d’accordo. Il razzismo interviene come giustificazione teorica (non importa qui discutere se di grande spessore intellettuale o meno) di una situazione di fatto: nel caso del conflitto arabo-israeliano dell’occupazione israeliana della Palestina. Per cui il razzismo non può essere sconfitto semplicemente con l’educazione e con le buone parole e nemmeno con qualche buona legge; il razzismo israeliano si sconfigge solo mettendo fine all’occupazione.

da CauNapoli

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

calcioislamofobiaisraelerazzismosport

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

E’ uno sporco lavoro / 3: Hiroshima Nagasaki Russian Roulette

Sono ancora una volta delle parole, in parte esplicite e in parte giustificatorie, quelle da cui partire per una riflessione sul presente e sul passato di un modo di produzione e della sua espressione politico-militare.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il laboratorio della guerra. Tracce per un’inchiesta sull’università dentro la «fabbrica della guerra» di Modena

Riprendiamo questo interessante lavoro d’inchiesta pubblicato originariamente da Kamo Modena sul rapporto tra università e guerra.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Più conflitti, meno conflitti di interesse

“Le mie mani sono pulite” ha detto il sindaco Sala nella seduta del consiglio comunale dove ha sacrificato il suo capro – l’assessore all’urbanistica Tancredi, coinvolto nelle indagini della procura milanese su alcuni (parecchi) progetti di trasformazione urbana.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

STOP RIARMO “Se la guerra parte da qua, disarmiamola dalla città!”

Riprendiamo e pubblichiamo il documento uscito sul canale telegram del percorso @STOPRIARMO che a Torino ha organizzato una prima iniziativa qualche settimana fa. Il documento traccia un quadro composito del sistema guerra nei vari ambiti della produzione e della riproduzione sociale oltre a lanciare alcuni spunti rispetto a ipotesi di attivazione.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Robert Ferro – Dove va l’Europa? Crisi e riarmo nel cuore dell’Unione

Dal welfare al warfare, dall’automotive al carroarmato, dall’«Inno alla gioia» di Beethoven alla «Marcia imperiale» di Dart Fener. Nel cambio di tema che fa da sfondo all’Europa, l’imperialismo colpisce ancora. 

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Raffaele Sciortino – L’imperialismo nell’era Trump. Usa, Cina e le catene del caos globale

Che cos’è l’imperialismo oggi, nell’era di Trump? da Kamo Modena Non è una domanda scontata, né una mera speculazione teorica; al contrario, siamo convinti che sia un nodo fondamentale, tanto per chi vuole comprendere il mondo, quanto per chi mira a trasformarlo – partendo, ancora una volta, da dove si è, da dove si è […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Dal margine al centro: ripensare il/i Sud tra giustizia sociale e territoriale

Parlare del margine, per Jacques Derrida, significa, in realtà, parlare del centro.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

I Costi Planetari dell’Intelligenza Artificiale

“Artificial Intelligence is neither artificial nor intelligent.” – Kate Crawford, Atlas of AI

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Mimmo Porcaro – L’Italia al fronte. Destre globali e conflitto sociale nell’era Trump

La tendenza alla guerra delle società capitalistiche è diventato un fatto innegabile, lo vediamo sempre più concretamente; ed è una dinamica che arriva a toccarci sempre più direttamente.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Los Angeles, o la fine dell’assimilazione

“Non è nostro compito inventare strategie che potrebbero permettere al Partito dell’Ordine di respingere il diluvio. Il nostro compito è piuttosto quello di individuare quali compiti necessari ci vengono assegnati giorno per giorno, quali forze di creatività, determinazione e solidarietà vengono chiamate in causa, e quali forme di azione appaiono ora ovvie a tutti.”

Immagine di copertina per il post
Antifascismo & Nuove Destre

(Post)fascisti per Israele

Il giustificazionismo delle destre nei confronti del genocidio che Israele sta perpetrando a Gaza smaschera qualcosa di più profondo: il razzismo e l’apartheid sono dispositivi strutturali del capitalismo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Non lasceremo loro nulla”. La distruzione del settore agricolo e dei sistemi alimentari di Gaza/4

Nel contesto del genocidio in corso, l’occupazione israeliana ha confiscato vaste aree di terreno a Gaza, in particolare terreni agricoli essenziali per il cibo e il sostentamento della popolazione palestinese.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Freedom Flotilla: atterrato a Fiumicino Antonio Mazzeo, “Deportato da Israele”

Antonio Mazzeo – uno dei due attivisti italiani sequestrati dall’Idf sulla nave Handala della Freedom Flotilla Coalition – è atterrato ieri intorno alle 12 all’aeroporto di Fiumicino.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’esercito israeliano assalta Handala in acque internazionali: equipaggio rapito, nave sequestrata. Attiviste ed attivisti in sciopero della fame

Poco prima della mezzanotte (orario palestinese) di sabato 26 luglio 2025, l’Idf ha assaltato la nave Handala di Freedom Flotilla Coalition.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Siria: il bilancio degli scontri settari a Sweida sale ad almeno 250 morti. Israele bombarda anche Damasco

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani il bilancio delle vittime degli scontri settari intorno alla città meridionale a maggioranza drusa di Sweida è di almeno 250 morti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Google ha aiutato Israele a diffondere propaganda di guerra a 45 milioni di europei

Uno studio ha rilevato che, da quando ha colpito l’Iran il 13 giugno, l’Agenzia Pubblicitaria del Governo Israeliano ha speso decine di milioni in annunci pubblicitari solo su YouTube.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Che ci fanno dei soldati israeliani nelle scuole del Chiapas?

Questi giovani (tutti ex soldati) entrano nelle scuole pubbliche locali attraverso una associazione di “volontari” chiamata in inglese “Heroes for life” e più esplicitamente in ebraico “Combattenti senza frontiere” con il fine dichiarato di “dare un’altra immagine al mondo delle IDF”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele

Un’indagine rivela che sette sottoscrittori di “obbligazioni di guerra” sono stati determinanti nel consentire l’assalto di Israele a Gaza.  Dal 7 ottobre 2023 le banche hanno sottoscritto obbligazioni emesse dal governo israeliano per un valore di 19,4 miliardi di dollari. di BankTrack, PAX e Profundo (*), da La Bottega del Barbieri Un’indagine condotta dal gruppo di ricerca finanziaria olandese Profundo […]