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(Post)fascisti per Israele

Il giustificazionismo delle destre nei confronti del genocidio che Israele sta perpetrando a Gaza smaschera qualcosa di più profondo: il razzismo e l’apartheid sono dispositivi strutturali del capitalismo.

Qualche giorno fa il sottosegretario Galeazzo Bignami di Fratelli d’Italia è salito all’onore delle cronache perché si è scagliato contro la relatrice speciale ONU Francesca Albanese ospitata alla Camera per parlare di Gaza su invito dell’opposizione. Bignami ha affermato che: “È irresponsabile ospitare in sedi istituzionali soggetti che veicolano idee antisemite e non rispettano le istituzioni italiane, già sanzionata dal segretario americano Marco Rubio con l’accusa di ‘faziosità, antisemitismo, supporto al terrorismo e aperto disprezzo per gli Stati Uniti, Israele e l’Occidente”.

Presto sui social network sono comparsi svariati meme in cui viene data nuova diffusione ad una vecchia foto dello stesso Galeazzo Bignami vestito in divisa da nazista in occasione del suo addio al celibato. Questa sequenza tragicomica ci permette di fare un ragionamento più profondo sulla natura delle destre post-fasciste e più in generale del capitalismo contemporaneo.

Bignami non è l’unico che, nella destra italiana, sostiene la retorica israeliana secondo cui ogni critica all’entità sionista ed al genocidio va catalogata come antisemitismo. La Lega di Matteo Salvini ha da poco proposto un disegno di legge atto a criminalizzare le proteste per Gaza e le critiche ad Israele equiparandole ad iniziative antisemite. Si potrebbero fare altre centinaia di esempi, in Italia come nel resto dell’occidente.

In generale si può dire che la destra capitalista ha trovato nel sionismo messianico e fanatico un modello di riferimento ormai da tempo. Eppure l’antisemitismo, esplicito e rivendicato, è stato un tratto caratterizzante dell’ultradestra novecentesca, non solo di matrice fascista e nazista, ma anche di parte del conservatorismo. Gli ebrei, secondo le loro retoriche, erano la fonte di molti mali, allo stesso tempo usurai e comunisti, élites segrete che comandavano il mondo e rivoluzionari che quello stesso mondo lo volevano rovesciare. L’antisemitismo è stato, ed in parte è ancora, un baluardo delle ideologie di ultradestra ben oltre il ciclo storico del fascismo e del nazismo. Negli anni novanta ed all’inizio degli anni 2000 i circoli di estrema destra statunitensi ed europei hanno fatto della negazione dell’Olocausto uno degli elementi caratterizzanti della loro ideologia. La retorica antisemita non ha mai realmente abbandonato gli ambienti di derivazione neofascista, ma il discorso sul nemico pubblico si è progressivamente riorientato sui mussulmani, sugli immigrati, sulle minoranze. I complotti “giudaico-massonici” si sono sovrapposti e piano piano hanno lasciato il posto ad altre fantasiose teorie come il famigerato “piano Kalergi”, la “sostituzione etnica” ecc… in cui permangono elementi antisemiti, ma mascherati.

Come si può spiegare dunque questo slittamento semantico? Si possono individuare diversi aspetti che hanno concorso a favorire questa trasformazione. Sicuramente l’antisemitismo come elemento identitario dell’ultradestra è stato per lungo tempo un ostacolo a superare la marginalizzazione politica in cui questi ambienti si riproducevano. L’ostinato negazionismo e la minimizzazione dell’Olocausto erano dei tentativi rozzi di rilegittimare le ideologie di ultradestra di fronte all’opinione pubblica. Il sionismo messianico fin dalla sua alba poi ha incorporato alcuni temi tipici delle destre europee, dalla retorica sul popolo eletto, al militarismo, all’idea di un’etnostato omogeneo. Dunque non è strano che, una volta che il sionismo è arrivato alle sue estreme conseguenze, la convergenza con le destre mondiali sia così salda. Tra gli osservatori di questo fenomeno c’è poi chi pone l’accento sui punti in comune che legano il sionismo religioso all’evangelismo statunitense, un veicolo di quel revival della destra che ha contribuito a portare al potere Donald Trump.

I partiti di destra oggi al potere in molti paesi raccontano lo slittamento come una profonda riflessione che li ha portati a rifiutare l’antisemitismo. Ma se l’oggetto dell’odio dell’ultradestra è cambiato, ciò che non cambia sono i dispositivi retorici e materiali che essa mette in campo. Il razzismo, anche se non più su linee strettamente biologiche, la xenofobia, l’idea, mai troppo celata, di una superiorità occidentale, il continuo tentativo di alimentare la guerra tra poveri sono essenzialmente matrici che rimangono intatte nel tempo. La deduzione che se ne trae è tanto ovvia, quanto importante da sottolineare: non importa l’etnia, la religione di un popolo o di un gruppo sociale, queste possono cambiare a seconda di quale sia il migliore capro espiatorio in un dato momento storico. Ciò che importa per le destre è che questi dispositivi strutturali fungano da strumento di disciplinamento, di gerarchizzazione della società, che impediscano una ricomposizione tra gli oppressi e favoriscano il mantenimento dell’ordine sociale capitalista. In fondo è questo che viene sintetizzato quando si dice che “antifascismo è anticapitalismo, anticapitalismo è antifascismo”.

E’ anche per questo che il sostegno alla causa palestinese è così centrale, perché oggi il sionismo è la sintesi compiuta di questi dispositivi materiali di razzismo, disciplinamento di massa, inclusione differenziale, apartheid e genocidio. E’ una prefigurazione di ciò che le destre, magari con un’intensità minore, stanno cucinando per le masse popolari mondiali con l’obiettivo di mantenere intatto l’ordine capitalista.

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