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Il miglior modo per risolvere l’emergenza abitativa a Roma: la guerra tra poveri

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San Basilio, Tor Bella Monaca, Trullo. Ma anche via Vannina, via Quintavalle, piazza Indipendenza. A Roma, l’unica misura del Comune per risolvere l’emergenza abitativa, problema endemico della Capitale da più di un secolo, sembra essere soffiare sul fuoco della guerra tra poveri. In prima linea le compagini neofasciste, sempre più attenzionate dai media nostrani ed intenzionate a fare di Roma un laboratorio nazionale di speculazione politica sul disagio delle periferie. Sullo sfondo, la svolta a destra del Movimento 5 Stelle capitolino ed il Dipartimento delle Politiche Abitative nella persona di Aldo Barletta, dirigente promosso a capo del dipartimento dopo essersi guadagnato gli onori delle cronache con il famoso “No” a Buzzi ai tempi di Mafia Capitale, quando era direttore della direzione interventi alloggiativi del X Dipartimento.

Ma andiamo con ordine. A San Basilio, a dicembre del 2016, i residenti protestano per l’assegnazione di una casa popolare, occupata da un abitante storico del quartiere, ad una famiglia marocchina. A giugno del 2017, a Tor Bella Monaca, un bengalese viene pestato da alcuni residenti a cui aveva chiesto informazioni per raggiungere la casa popolare assegnatagli. Ieri, al Trullo, l’assegnazione di una casa popolare ad una famiglia di origine eritrea diventa il palcoscenico perfetto per la nuova storia romana di quartieri in sommossa contro i migranti e per la solita pantomima dei fascisti.

Partiamo proprio da questi ultimi. Negli ultimi anni le due principali compagini neofasciste del panorama romano, Casapound e Forza Nuova, stanno cercando, con metodi diversi ed alterne fortune, di uscire dal guscio del centro città ed entrare nei quartieri popolari. Complice la campagna terroristica dei media sui flussi migratori e la politica della paura del Governo italiano ed Unione Europea, questi soggetti hanno avuto contesti progressivamente favorevoli per arrivare alla “pancia” delle periferie romane, già vittime di disagi profondi e quotidiani. In assenza di intervento dei compagni e delle realtà sociali in molti quartieri, punto di autocritica fondamentale in questa vicenda, nell’era dell’informazione digitale e dei media compiacenti l’opinione pubblica, specie in luoghi problematici come le borgate, si forma unicamente attraverso il mantra della paura e della sicurezza. L’emergenza creata ad hoc sui migranti, funzionale alle speculazioni sull’accoglienza ed all’attuazione delle politiche securitarie targate Minniti, è il diversivo perfetto rispetto ai veri responsabili dell’inferno delle periferie, dove ogni giorno è uno slalom tra emergenza abitativa, mancanza di servizi, disoccupazione, spaccio. I fascisti, peraltro molto in ritardo rispetto all’avvio di questo processo, svolgono la loro tradizionale funzione di difesa degli interessi delle classi dirigenti cavalcando il malcontento anti-migranti.

Fin qui nulla di nuovo. Da qualche tempo, tuttavia, le compagini di estrema destra tentano un passaggio ulteriore: usare la loro retorica d’odio tra poveri per intervenire sulle tematiche calde di Roma e delle grandi metropoli, prima fra tutte la lotta per la casa. Da queste parti ha una storia pluridecennale, non solo legata a dinamiche di movimento, e fa parte dell’identità e della pelle dei quartieri popolari. In questa città le persone si organizzano da sempre per occupare e difendere le case, nel corso della storia la guerra tra poveri ha assunto forme diverse ma purtroppo è sempre esistita: cinquant’anni fa il nemico e competitore per la casa era il meridionale o il forestiero, ora è il migrante. Ed esattamente come cinquant’anni fa, il problema della casa è pressante come e più di prima. E’ proprio con questa chiave che vanno letti avvenimenti come quelli di ieri al Trullo: il rischio opposto a quello delle derive razziste è vedere razzismo ovunque ed affrontarlo con l’antirazzismo ideologico. Lungi, ovviamente, dal giustificare l’episodio di ieri e gli altri episodi sopra citati, come pure dal non voler ammettere l’esistenza di un razzismo strisciante nella società contemporanea (e non solo alle nostre latitudini), la questione casa e malcontento delle periferie in questa città deve essere considerata in tutti i suoi aspetti. Porre la questione unicamente come contrapposizione degli abitanti dei quartieri popolari ai migranti, con conseguente vittimizzazione degli stessi, è un gioco funzionale ai fascisti, ai poteri forti che difendono ed ai giornalisti assetati di sangue. In questo senso, l’esempio di Tiburtino III, seppur ancora embrionale ed in corso d’opera, può essere una buona direttrice d’azione: sbugiardare l’azione dei fascisti con l’inchiesta, rivoltare la campagna mediatica con un fronte ampio e spingere sui veri bisogni delle periferie, casa, salario e servizi.

La linfa vitale delle operazioni mediatiche fascistoidi è la politica delle giunte comunali, non ultima quella attuale della pentastellata Raggi . Al di là di alcune dichiarazioni buoniste della sindaca e dell’assessore alle politiche sociali Baldassarre, l’amministrazione comunale ha dimostrato con la gestione degli sgomberi di via Quintavalle e piazza Indipendenza, in concerto con il governo nazionale, quali siano le priorità sulle politiche abitative: legalità, fragilità, guerra (quella, si, senza confini) ai movimenti, a chi si trova in emergenza abitativa ed agli abitanti delle case popolari. I provvedimenti presi in merito lo testimoniano ampiamente, dal fallace Buono Casa alla nuova assistenza alloggiativa SASSAT, dalla mancata attuazione della delibera regionale sull’emergenza abitativa al sostegno delle supposte “fragilità”, dal frazionamento degli immobili E.R.P. (Edilizia Residenziale Pubblica) allo scorrimento delle graduatorie per l’accesso alla casa popolare. Proprio queste ultime, unitamente al famigerato Piano Casa di Lupi, sono l’espediente legale per le infami operazioni come quella di ieri, che a Roma sono all’ordine del giorno: tradotto in termini pratici, lo scorrimento delle graduatorie, che all’apparenza è un fatto positivo, significa sfratti e sgomberi di morosi o occupanti. A fronte di migliaia di alloggi popolari vuoti, il solerte Dipartimento delle Politiche Abitative di Barletta, che latita quando si tratta di prendere responsabilità serie sui nuovi alloggi, manutenzione del patrimonio immobiliare e controversie legali, individua scientificamente gli alloggi da riassegnare in modo che siano occupati, come nel caso di San Basilio e del Trullo, o abitati da inquilini morosi. E, ovviamente, che la famiglia assegnataria sia una famiglia migrante. Inoltre, quanto sia scientifico questo disegno è dimostrato dal fatto che non c’è nessun motivo per cui l’assegnatario debba assistere allo sgombero. Una vera è propria infamità oltre ad essere studiata a tavolino.

Il risultato è quanto leggiamo sui giornali di oggi, che abbiamo letto sui giornali di ieri e che, senza dubbio, leggeremo sui giornali di domani. In un momento storico di crisi generale della società, di carenza di lavoro e reddito, di scarse possibilità di costruzione del futuro, la casa fa parte di quei bisogni primari che intaccano indelebilmente la vita degli abitanti dei quartieri popolari. In una città come Roma, ostaggio dei poteri forti legati al mattone e non solo, dove le vertenze sulla casa e sulle case popolari aumentano ogni giorno di più, la polarizzazione sociale continuerà ad aumentare, e, con essa, la conflittualità delle classi subalterne. Tante volte, scendendo in strada per impedire sfratti o sgomberi, ci si trova fianco a fianco con persone che, per usare un eufemismo, non hanno una concezione edificante dei flussi migratori. Che piaccia o meno, l’unica arma per sconfiggere queste convinzioni è l’inchiesta, l’intervento quotidiano, la lotta reale, per gli stessi bisogni, senza distinzione di colore della pelle. La coccarda dell’antirazzismo ideologico, per quanto affascinante, funziona, nel migliore dei casi, solo parzialmente. La sfida da cogliere è quella di una maggiore presenza sui territori, agendo fino in fondo queste linee di conflitto e comprendendo le congiunture della fase che stiamo attraversando, in primis evitando di portare verità preconfezionate che risultano anacronistiche e poco efficaci.

 

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