150 anni di crimini ambientali, animali e sociali: auguri Nestlé!
Nestlé, multinazionale svizzera, colosso del cioccolato e del mercato dell’olio di palma, ammette pubblicamente la presenza di condizioni di schiavitù in Thailandia, nell’ambito delle proprie catene di rifornimento ittico per la produzione di Fancy Feast, una linea di cibo per gatti.
L’investigazione condotta dalla stessa corporation ha confermato che l’industria ittica tailandese, oltre all’evidente (e non meno importante) sfruttamento degli animali non umani, si basa sul lavoro forzato e il traffico di animali umani.
Un comportamento singolare da parte di Nestlé e quanto mai sospetto considerando che, come ha dichiarato Andrew Wallis, capo esecutivo di Unseen UK, organizzazione benefica contro il traffico di esseri umani:
Nel momento in cui Nestlé ha confessato della schiavitù nell’industria di pesce in Thailandia, questa notizia era già da tempo di dominio pubblico…
L’ammissione di colpa diffusa da Nestlé è arrivata esattamente una settimana dopo che la compagnia, insieme a Cargill e Archer Daniels Midland, si è vista bocciare dalla Corte Suprema degli Stati Uniti la richiesta di archiviazione della causa che la vede responsabile del presunto sfruttamento di lavoro minorile nelle sue coltivazioni di cacao in Costa d’Avorio.
Un’ammissione di colpa strategica che rientra nell’orbita di quell’opera di greenwashing (pulizia dell’immagine) condotta da molte multinazionali, nel tentativo di apparire sostenibili agli occhi del consumatore senza cambiare nulla nella sostanza del proprio operato.
Questo però non ha impedito al vicepresidente esecutivo della Nestlé Magdi Batato di dichiarare in un comunicato scritto che:
Come abbiamo ripetuto più volte, per il lavoro forzato e le violazioni dei diritti umani non c’è posto nelle nostre catene di rifornitori.
Una dichiarazione altrettanto discutibile e priva di valore, considerando il coinvolgimento della Nestlé nel mercato dell’olio di palma, sostanza ben presente nei prodotti commercializzati da questa azienda, una sostanza la cui produzione è causa di espropri, persecuzione delle tribù indigene e sfruttamento dei lavoratori in Indonesia, Malesia, Filippine, Colombia, Camerun etc., solo per citare alcuni paesi.
L’opera di Attraverso politiche di marketing disoneste, Nestlé rifornisce con omaggi le strutture ospedaliere dei paesi in via di sviluppo nel tentativo di dissuadere le madri dall’allattare al seno i propri bambini.
A causa dell’allattamento artificiale ogni anno sono circa un milione e mezzo i bambini che muoiono in età neonatale: in alcuni paesi l’utilizzo di latte in polvere è molto pericoloso perché durante la preparazione viene usata l’acqua inquinata del luogo.
Nestlé in questi giorni sta celebrando il suo 150° anniversario e l’attività criminosa condotta da oltre un secolo non ha risparmiato nessuno, facendo di quella Svizzera una delle multinazionali regina dello sfruttamento globalizzato.
Dalla devastazione ambientale collegata al mercato dell’olio di palma e degli OGM, all’evidente violazione dei diritti umani celata in maniera fallimentare, fino allo sfruttamento degli animali non umani che rimangono uccisi nelle opere di deforestazione e di quelli sacrificati per la realizzazione dei suoi infiniti prodotti.Tuttavia Nestlé, come tutte le altre multinazionali, può essere fermata, non attraverso sanzioni e condanne elargite dalle istituzioni, ma grazie all’arma nonviolenta a disposizione di ogni persona: un rigoroso boicottaggio che porti alla scomparsa di questi colossi dello sfruttamento, per cessare di essere consumatori schiavi e complici di questi e altri crimini e diventare parte di un cambiamento quantomai necessario e urgente.
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