Giustizia per Paolo Scaroni, vittima di Stato
Non sono nuove nemmeno le reazioni delle forze dell’ordine, che dapprima tentano di insabbiare la notizia, poi spergiurano che Paolo sia rimasto ferito durante uno scontro con la tifoseria avversaria (peccato che in quel momento in stazione gli ultras veronesi non ci fossero proprio), e infine rispolverano la versione del sasso lanciato da altri ultras bresciani. Tutte storie già sentite tante, troppe volte.
Le gravissime lesioni subite da Paolo quel giorno lo hanno costretto all’invalidità, con danni permanenti per cui ad oggi nessuno ha pagato. Solo la tempra fisica di Paolo, e il caso, impedisce oggi di inserire il nome di Paolo Scaroni nel lungo elenco di morti per mano dello Stato: da Stefano Cucchi a Federico Aldrovandi, da Giuseppe Uva a Michele Ferrulli, da Aldo Bianzino a Luciano Isidro Diaz, da Stefano Gugliotta a Franco Mastrogiovanni, da Riccardo Rasman a Saidou “El Hadji” Gadiaga”, solo per citare alcuni casi mortali degli ultimi anni.
Paolo, sul primo binario della stazione fs di Verona Porta Nuova, fu massacrato con numerose manganellate al capo, durante una sorta di pestaggio collettivo messo in atto dai reparti celere di Padova e Bologna: una serie di cariche selvagge, lanci di lacrimogeni fuori e dentro il treno durate diverse ore.
Il pm di Verona, Mara Beatrice Zanotti, ha chiesto otto anni di carcere per 7 degli 8 poliziotti del reparto mobile di Bologna coinvolti nel pestaggio di Paolo Scaroni: per Luca Iodice, Antonio Tota, Massimo Coppola, Michele Granieri, Bartolomeo Nemolato, Ivano Pangione e Giuseppe Valente l’imputazione è lesioni gravissime. É stato invece chiesto il proscioglimento per Vladimiro Rulli, l’autista del gruppo, ritenuto lontano dal luogo in cui si svolsero i fatti.
Il pm ha poi chiesto la trasmissione degli atti alla procura con la stesse imputazione per Leonardo Barbierato, un altro poliziotto del reparto di Bologna, fino a ieri solamente testimone nel processo, ma vicino ai colleghi nel momento del pestaggio di Scaroni. Trasmissione degli atti anche per Fernando Malfatti, all’epoca vicequestore di Verona, colui che secondo le testimonianze dei presenti disponeva le cariche con frasi, emerse anche in tribunale, del genere “caricateli finchè lo dico io, massacrateli”, e per Lino Mauli, della Polizia scientifica: per entrambi la motivazione della richiesta é falsa testimonianza.
Dopo oltre sette anni di reticenze, video spariti, testimonianze mistificatorie, il prossimo 18 gennaio 2013 ci sarà quindi la sentenza.
In Tribunale a Verona ci saranno, come sempre, famigliari, amici di Paolo e gli ultras del gruppo Brescia 1911, assieme a ultras e tifosi da tante città d’Italia.
Con loro, anche tante realtà e cittadini singoli, perchè – come ricorda il gruppo Brescia 1911 nel comunicato che annuncia la “trasferta” del 18 gennaio 2013 a Verona – …“non dimentichiamo mai che quanto successo a Paolo poteva e potrebbe capitare a chiunque: allo stadio, durante una manifestazione, all’uscita di un locale, per strada, nella Caserma o nella Questura più vicine…Giustizia per Paolo, Giustizia per tutti”.
Ascolta qui la seconda parte della trasmissione realizzata da Radio Onda d’Urto in vista del 18 gennaio 2013: la seconda parte dell’intervento del pm veronese, dove si mette in confronto il manuale delle forze di polizia durante la “gestione” (???) dell’ordine pubblico e quanto realmente accaduto in stazione a Verona, e l’intervento dell’avvocato Sandro Mainardi, legale di parte civile per conto di Paolo Scaroni. Clicca qui per ascoltare o scaricare.
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Ill.mo Ministro degli Interni
p.c. Presidente della Repubblica
p.c. Presidente del Consiglio
p.c. Ministro di Giustizia
p.c. Sindaco di Brescia
p.c. Prefetto di Brescia
p.c. Questore di Brescia
p.c. Sindaco di Verona
p.c. giornali e tv
scrivo questa lettera alla vigilia dell’anniversario di una data che mi ha cambiato la vita: il 24 settembre del 2005.
Mi presento: sono Paolo Scaroni, abito a Castenedolo, piccolo paese della provincia di Brescia.
Ero un allevatore di tori.
Ero un ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani valori -anche sportivi- e la giusta curiosità. Facevo infatti molto sport e viaggiavo quando potevo.
Ero soprattutto un grande tifoso del Brescia.
Una persona normale, come tante, direbbe Lei.
Oggi non lo sono più (per la verità tifoso del Brescia lo sono rimasto, sebbene non possa più vivere la partita allo stadio com’ero solito fare: cantando, saltando, godendo oppure soffrendo).
Tutto è cambiato il 24 settembre del 2005, nella stazione di Porta Nuova a Verona.
Quel giorno, alla pari di migliaia di tifosi bresciani -fra i quali molte famiglie e bambini- avevo deciso di seguire la Leonessa a Verona con le migliori intenzioni, per quella che si preannunciava una sfida decisiva per il nostro campionato di serie B. Finita la partita, siamo stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o tensione. Dopo essermi recato al bar sottostante la stazione, stavo tornando con molta serenità al treno riservato a noi tifosi portando dell’acqua al resto della compagnia (era stata una giornata molto calda ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri tifosi erano già pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano pochi minuti ed i binari della stazione erano completamente deserti. Cosa alquanto strana visto il periodo, l’orario e soprattutto la città in cui eravamo, centro nevralgico per il passaggio dei treni.
Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato travolto da una carica di “alleggerimento” del reparto celere in servizio quel giorno per mantenere l’ordine pubblico e picchiato a sangue, senza avere nemmeno la possibilità di ripararmi. Sottratto al pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle manganellate), sono entrato in coma nel giro di pochissimo e quasi morto.
Dopo circa venti minuti dall’aver perso conoscenza sono stato caricato su un’ambulanza -osteggiata, più o meno velatamente, dallo stesso reparto che mi aveva aggredito- e trasportato all’ospedale di Borgo Trento a Verona. Lì sono stato operato d’urgenza. Lì sono stato salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì ho passato alcuni mesi della mia nuova vita. Una vita d’inferno.
Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d’animo che fatico ad immaginare, subiva pressioni e minacce affinché la mia vicenda mantenesse un basso profilo. Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la verità.
Ovviamente, alcune cose di cui sopra le ho sapute molto tempo dopo la mia aggressione. Il resto l’ho scoperto grazie al lavoro del mio avvocato.
Dalla ricostruzione dei fatti e tramite le tante testimonianze, emerge un quadro inquietante, quasi da non credere; ma proprio per questo da rendere pubblico.
In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della Repubblica di Verona è iniziato un procedimento a carico di alcuni poliziotti e funzionari identificati quali autori delle lesioni da me subite. Nonostante il Giudice per le Indagini Preliminari abbia respinto due volte la richiesta d’archiviazione, il Pubblico Ministero non ha ancora esercitato l’azione penale contro gli indagati.
Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia.
Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell’attesa di un processo, nemmeno tanto scontato, considerati i precedenti ed i tentativi di screditarmi. Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili (com’è possibile tutto questo?), sebbene a comandarli ci fosse una persona riconoscibilissima.
Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio conto a seguito della vicenda, aspetto soprattutto che mi venga restituita la dignità. Ill.mo Ministro degli Interni, sebbene la mia vicenda non abbia destato lo stesso scalpore, ricorda un po’ le tragedie di Gabriele Sandri, di Carlo Giuliani, ed in particolare di Federico Aldrovandi (accaduta a poche ore di distanza dalla mia), con una piccola, grande differenza: io la mia storia la posso ancora raccontare, nonostante tutto.
Le dinamiche delle vicende sopra citate forse non saranno identiche, ma la volontà di uccidere sì, è stata la medesima. Altrimenti non si spiega l’accanimento di queste persone nei miei confronti, soprattutto se si considera che non vi era una reale situazione di pericolo: era tutto tranquillo; ero caduto a terra; ero completamente inerme. Ma le manganellate, come descrive il referto medico, non si sono più fermate.
Forse, ho pensato, oltre alla vita volevano togliermi anche l’anima.
Per farla breve, in pochi secondi ho perso quasi tutto quello per cui avevo vissuto -per questo mi sento ogni giorno più vicino a Federico- e senza un motivo apparente. Sempre ovviamente che esista una giustificazione per scatenare tanta crudeltà ed efficienza.
Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai.
Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna. Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza.
Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto lontano.
Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza.
Quella sicurezza che Lei invoca ogni giorno, e tenta d’imporre sommando nuove leggi e nuove norme a quelle già esistenti (fino a ieri molto efficaci, almeno per l’opinione pubblica).
Peccato però che queste leggi non abbiano saputo difendere me, Federico, Carlo e Gabriele dagli eccessi di coloro che rappresentavano, in quel momento, le istituzioni.
Ill.mo Ministro degli Interni, alcune cose mi martellano più di tutto: ogni giorno mi domando infatti cosa possa spingere degli uomini a tanto. Non ho la risposta. Ogni giorno mi domando se qualcuna di queste tragedie potesse essere evitata. La risposta è sempre quella: sì.
A mio modesto parere, ciò che ha permesso a queste persone di liberare la parte peggiore di sé è stata la sicurezza di farla franca.
Sembra un paradosso, ma in un Paese come il nostro in cui si parla tanto di “certezza della pena”, di “responsabilità” e di “omertà”, proprio coloro che dovrebbero dare l’esempio agiscono impuniti infrangendo ogni legge scritta e non, disonorano razionalmente la divisa e l’istituzione rappresentata, difendono chi fra loro sbaglia impunemente.
Ill.mo Ministro degli Interni, dopo tante elucubrazioni, sono giunto ad una conclusione: se queste persone fossero state immediatamente riconoscibili, responsabili perciò delle loro azioni, non si sarebbero comportate in quella maniera ed io non avrei perso tanto.
Le chiedo quindi: com’è possibile che in Italia i poliziotti non portino un segno di riconoscimento immediato come accade nella maggior parte delle Nazioni europee?
Ill.mo Ministro degli Interni, io non cerco vendetta, semmai Giustizia. Mi appello a Lei ed a tutte le persone di buon senso affinché questi uomini vengano fermati ed impossibilitati nello svolgere ancora il loro “dovere”.
Chiedo quindi che si faccia il processo e nulla sia insabbiato.
Cordiali saluti.
Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto.
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