Jusque dans la couleur des hommes…
Nel riproprolo ai lettori, Vicolo Cannery ringrazia l’autore.)
1. Quanto può essere pesante il dolore della memoria, il riflettere su una rivoluzione condotta nei Caraibi in nome dei diritti dell’uomo, dal fondo di una galera persa tra le montagne del Jura francese? Veder svanire tra il gelo e la nebbia il “delirio bello” con il quale si era creduto di poter realizzare in terra i principi universali dell’illuminismo, mentre nel buio di una cella non si vedono più le proprie mani, il fisico di un vecchio schiavo nero si sfibra, e un direttore di prigione scrive ai propri superiori che «essendo la complessione dei negri diversa da quella dei bianchi» non sarebbe stato necessario fornire al prigioniero né medici né medicine che gli sarebbero stati, per quel motivo, del tutto inutili? E, dall’altra parte del mondo, tra le colline e i campi di canna da zucchero di Crête-à-Pierrot, Santo Domingo, ritrovarsi per l’ennesima volta a vegliare, rotti a tutte le battaglie, fieri veterani dell’Armée, guardando fissi di fronte a sé le trincee dei ribelli controrivoluzionari – pezzenti schiavi negri che ti hanno costretto ad attraversare l’Atlantico e ora a rischiare la febbre gialla e, ancora una volta, la pelle –, per udire provenire da esse, straniante, il canto della Marsigliese?
2. È un veloce andare e venire tra le due sponde dell’Atlantico il percorso descritto dall’idea e dalla pratica della Rivoluzione nel corso del XVIII secolo. Da Parigi era giunta nell’isola di Santo Domingo la prima copia della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La prima notizia della proclamazione di un principio di libertà e uguaglianza che si sarebbe presto colorato, avrebbe preso corpo e voce, nelle piantagioni e tra la moltitudine degli schiavi. Un principio assoluto da difendersi sin nel colore della pelle. E in Francia sarebbe stato deportato, a morire di stenti per ordine espresso di Napoleone, Toussaint Louverture, ex schiavo, comandante militare e capo politico della rivoluzione che avrebbe portato l’isola a costituirsi, abolita la schiavitù, in prima repubblica “nera” della storia. Da una parte, un universale “vuoto”. Diritti che universalizzano un soggetto maschio, bianco e proprietario. Anche di uomini. Uomini che pretendono di essere uomini quanto lui. Dall’altra, il popolo delle piantagioni, gli schiavi che si mobilitano contro la propria condizione, costituendo un soggetto collettivo che valorizza politicamente una lunga tradizione di resistenza individuale all’ordine delle colonie. Una resistenza sino ad allora fatta di fuga, automutilazioni, marronage. Un popolo di invisibili che per prendere la parola deve usare quella dei propri padroni. Un doppio decentramento. Una doppia deriva. L’Europa vista con gli occhi degli esclusi. E che in quegli occhi perde il privilegio di rappresentarsi come baricentro della storia. Gli schiavi che vogliono farsi europei. E che prima di stracciare il bianco, il colore dell’odio, dal tricolore francese, pensano di potersi appropriare di quella storia, della Rivoluzione dei diritti dell’uomo, come se fosse anche la loro. E poi: l’invasione napoleonica di Santo Domingo. Il tentativo di chiudere la faccenda stroncando quella che ci si ostina, ciechi, a considerare una rivolta, per ricacciare Toussaint nel «nulla politico» (esattamente in questi termini lo si rivendica a Parigi) della piantagione. Il disastro militare dei francesi. E Toussaint che quel disastro paga esiliato tra le montagne francesi dove morirà. Come di lì a poco il suo doppio. Napoleone stesso. Lasciando dietro di sé la schiavitù abolita. E una repubblica fragile, che lascia antivedere le difficoltà con cui si scontreranno molti regimi postcoloniali.
3. Le storie che si muovono sull’acqua non conoscono solo un’andata e un ritorno. Si spostano seguendo il filo dei racconti. Galleggiano. Circolano. Descrivono inarrestabili derive. Della storia dei giacobini neri si faranno storie. Che passeranno di bocca in bocca tra le ciurme delle navi. Quello che soffia sull’Atlantico e gonfia le vele è un vento che non disperde la memoria dei ribelli. «Common wind», lo chiama Wordsworth nell’ode che dedica a Toussaint. Il vento comune che increspa onde che sembrano montagne. E che si incrociano, si accavallano e si allontanano, seguendo le maree. La storia della rivoluzione nera di Santo Domingo – sottrazione al silenzio e presa di parola, insurrezione armata anticoloniale ed esperimento costituente radicale, laboratorio per la costruzione di una libera soggettività proletaria per gli ex schiavi, progetto che riappropria e rovescia di segno il gradualismo dell’abolizionismo illuminista per dare concretezza all’autonomia appena strappata e dignità allo schiavo emancipato, resistenza armata all’imperialismo bianco e difesa militare all’indipendenza – si materializzerà da subito come leggenda fondativa e come biografia concreta, materiale, sui ponti delle navi e nei porti dell’Atlantico. Ci sono un sacco di neri nella marineria inglese. Molti schiavi in fuga sulle navi dei pirati.
4. Benjamin ha scritto da qualche parte che i porti sono «la storia incombustibile, surriscaldata, dove riescono meglio le miscele di classe più rare e difficili». Anche C. L. R. James lo sapeva. E guardava ai suoi compagni di detenzione mentre, chiuso a Ellis Island, pensava al Pequod di Melville e ai marinai, ai rinnegati e ai reietti di cui è fatta la sua ciurma. Luoghi comuni, le navi. Mobili storie. James ha scritto il libro forse più importante sui giacobini neri di Santo Domingo. Anche lui in movimento tra le sponde dell’Atlantico, marxista nero che disarticola e ricompone marxismo e negritudine, grande cultura europea e cricket. La statua della libertà vista con gli occhi del migrante. New York vista dal rovescio di un centro di detenzione. E poi loro. I fratelli che leggono e si informano e sanno tutto dei dispositivi di legge sull’immigrazione tra i quali si muovono con abilità di equilibristi e con memoria lunga di sottrazione e fuga. Come Toussaint. Dopo Toussaint. In movimento sulle rotte globali dell’Atlantico nero.
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