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Lou X, per chi rimane e non per chi si sposta

Pubblichiamo questo testo perchè LouX manca a tutti quelli che lo hanno ascoltato o incrociato velocemente. E’ un pezzo di storia del rapper pescarese e della crew Costa nostra, scritto con rispetto, con affetto. (ndr)

 

Forse è uno sbaglio, forse è un abbaglio, ma questo è il mio racconto e finché i soldi c’hanno in mano il mondo, finché dicono che è un male antico, finché la gente non sa qual è il vero nemico”  (da “Il Vero Nemico”, Lou X) –


Questo articolo non è per me né per voi. Racconti, pensieri, stralci di memorie qui presenti, non sono stati raccolti puntando all’utilità “pubblica” della cosa, all’intrattenimento, all’idea di tributo fine a se stesso. Ho subito sentito il bisogno di fermarmi molto prima, o molto dopo, a seconda dei punti di vista. L’unico destinatario di questa indagine su Luigi Martelli, Lou X, è Luigi Martelli stesso. Il motivo lo capirete più avanti, per la precisione alla fine.
Ciò che ho fatto è stato raccogliere le testimonianze di coloro che assieme a Luigi, hanno vissuto quegli anni e quella scena in prima persona, da vicino, o meglio: dal basso. Chi prima chi dopo, tutte le persone che ho coinvolto hanno fatto parte del collettivo Costa Nostra, “una banda di cafoni… ma veramente”, come ha definito Andrea Martelli aka Cuba Cabbal, cugino di Luigi. Costa Nostra era la dimensione in cui i componenti ancora prima che rapper e devoti dell’hip hop erano amici, o meglio, fratelli. Luigi stesso ne ha impersonato lo spirito, trasmettendolo nei suoi testi tra il 1994 e il 1998, in quelli che sono stati gli anni d’oro della scena rap pescarese. Ma con calma, ci arriviamo.
Appartengo a una generazione che ha vissuto tale scena indirettamente, a posteriori, e che quindi si è imbevuta solo dell’aspetto leggendario della figura di Lou X e della sua musica; ciò ha reso indispensabile il coinvolgimento di più persone competenti in materia, e possibilmente co-protagoniste. Per l’esattezza sono state cinque: Carlo Martelli, discografico della BMG e autore del meraviglioso articolo per Blow Up sull’album A Volte Ritorno; Marco “Disastro” Fioritoni, storico dj autore delle basi di Dal Basso e A Volte Ritorno; Andrea “Cuba Cabbal” Martelli, cugino e mc tutt’ora attivo; Molecola, tecnico del suono a cui si deve il mixaggio e registrazione di La realtà, la lealtà e lo scontro e Francesco “Eko” Silvestri, altro storico amico di Luigi.
Le loro voci mi hanno aiutato a fare chiarezza su diversi aspetti legati alla sua personalità e vita, alle scelte fatte durante gli anni di attività, ma soprattutto a quelle che lo hanno portato al ritiro. “Luigi è diventato Lou X proprio perché è scomparso” ha detto Cuba, e considerati i tracolli, il rifiuto verso il passato e la difficile condizione di salute in cui si trova adesso, sperare in un suo “ritorno” è più egoismo che ingenuità. Quando gli ho chiesto se suo cugino avrebbe mai avuto interesse nel leggere un articolo su di lui, ha risposto: “Guarda, penso che Luigi non si preoccupi più di queste cose. Se esce o non esce per lui è uguale, non è che gli importi molto più di ste storie. Ma in generale di niente”.
Sono sicura che di tutto questo rimarrà la soddisfazione materiale, e per alcuni emotiva, di essersi in qualche modo avvicinati a Lou X e allo spirito di Costa Nostra. A Luigi Martelli, invece, rimarrebbe la consapevolezza che alcuni dei suoi vecchi amici—e nel caso di Cuba, parenti—sono ancora lì, ben coscienti di ciò che è stato e di ciò che non sarà più, ma sempre coi ricordi freschi e vividi, pronti a raccontarli per lui. Ricordi che rimangono e che non si spostano.
Luigi Martelli, Lou X
“Dividevamo la strada e la famiglia. Era un rapporto intensissimo, da fratelli. Negli anni Novanta, quando abbiamo iniziato, eravamo io e lui dentro la cameretta a fare rap quasi per gioco. Poi è diventato una passione, un lavoro. Tra chiuderci, fare i beat, registrare, andare in giro, fare concerti. Siamo cresciuti insieme, fin da bambini, siamo cugini di primo grado e abbiamo più o meno la stessa età. Stavamo insieme giorno e notte. Però giustamente i caratteri erano diversi. Mio cugino era molto più introverso, molto più pensieroso di me. Io ero sfacciato, casinaro, caciarone, m’arrampicavo, facevo i macelli. Luigi era molto più intellettivo, quindi pensava molto, rimuginava… pensava, pensava, ripensava. Anche nei testi. Io a volte scrivevo una pagina e “Ho finito! Tranquillo!” e lui scriveva, riscriveva, riesaminava… caratteri diversi. Poi giustamente se sei così e ti succede qualcosa, se ti fissi è la fine. La fissazione porta il blocco. Quello una volta che ha finito di fare rap, non è che ha trovato un altro lavoro, no. Ha finito tutto.” (Cuba Cabbal)
Double Vinyl Artwork (Ext) – per gentile concessione di Enrico Cannoni

Luigi è diventato Lou X non solo per la sua uscita di scena, ma anche per l’integrità e la fermezza intellettuale che nel corso degli anni è stato sempre più raro individuare altrove. Ciò si rispecchiava nei testi, e, come prevedibile, nella quotidianità con cui lui e i suoi compari vivevano quei fervidi anni in cui l’hip hop italiano stava iniziando a germogliare. Lo stesso Carlo Martelli ha confermato la sua iniziale difficoltà a relazionarsi non solo con l’artista, ma in generale con Costa Nostra e quell’etica di fratellanza così autentica e rara anche per l’epoca. Carlo è stato il discografico di BMG che si è occupato di promuovere A Volte Ritorno e di gestire il relativo tour, tra il 1995 e il 1996. Come poi mi ha spiegato Marco Dsastro, “era un fratello, un tranquillo, un ragazzaccio come noi”, inizialmente tenuto a distanza in quanto esponente di una major, in seguito si è ritrovato ad essere parte della crew senza nemmeno accorgersene. “Ero diventato uno di loro” mi spiega, “Faccio questo mestiere da venticinque anni, ho lavorato con tanti, tanti artisti. Ma quello che mi è capitato di vedere con Luigi è stato davvero qualcosa di raro. Quando eseguiva “Cinque Minuti Di Paura”, al momento del break con gli archi, dopo i due spari di rivoltella, partiva l’applauso a scena aperta e vedevi gente che piangeva. Ed è una cosa che io, che ho visto veramente centinaia di concerti rap, hip hop, non ho mai più visto accadere.” Distinguere Luigi Martelli da Lou X oggi è più immediato, se si conosce a grandi linee il suo percorso, ma allora no. Artista e uomo si sovrapponevano perfettamente e distinguerli era pressoché inutile. Oggi l’uomo ha schiacciato l’artista, riducendolo a uno spettro inerme e segregato nel suo stesso oblio, ed è più che mai indispensabile rispettare tale silenzio altrettanto silenziosamente. Non sempre però è possibile separare lo spirito di Luigi da quello della crew Costa Nostra, che in realtà era tutto tranne che una “crew” come la si intende oggi. Come ha detto Cuba, “Il rap oggi è superficiale, si riduce a spettacolo. È come la schiuma del mare, a smuoverla servono le correnti. E noi eravamo una di quelle correnti.”

Costa nostra cazzi loro
“Una volta RZA ci voleva fare un remix, mi ricordo. Poi la cosa sfumò, ma vabe’. Noi eravamo capaci di concordare un remix con RZA e alla fine non andarci, capito? [Ride] Perché magari dovevamo andare a mangiare gli arrosticini da qualche parte… [Ride] C’era gente che avrebbe dato un braccio per fare un remix col Wu-Tang e noi va a finire che manco ci andavamo perché preferivamo andare a mangiare gli arrosticini.” (Cuba Cabbal)
Foto di Andrea Martelli

“Eravamo un po’ marginali rispetto al tutto movimento hip hop italiano. Adesso non so i motivi, magari anche per causa nostra che eravamo un po’ orsi… un po’ in un mondo a parte. Costa Nostra e Lou X non erano molto integrati nell’hip hop dell’epoca, non ci sono state collaborazioni particolari.” Così dj Dsastro, ovvero Marco Fioritoni, storico dj di Lou X a cui si devono le basi di Dal Basso e A Volte Ritorno, mi ha introdotto alla mentalità che animava il collettivo pescarese durante quella prima metà degli anni Novanta. Erano anni in cui la neonata scena rap e hip hop italiana si divideva in B-boy fieri presi bene dalle varie Rapadope; gente che si ascoltava hip hop da radio aka Articolo 31, Jovanotti, Frankie Hi Nrg—che, ironia della sorte, sbancava con Verba Manent nel ‘92 proprio sotto BMG—e le posse. Le posse erano complessi di artisti “impegnati” il cui stile era di provenienza giamaicana-hip-hop, e che con i loro testi ed esibizioni di protesta e denuncia, si aggiudicavano la credibilità di tutti coloro che non si rispecchiavano nelle due categorie precedenti. È in questo ambiente che Lou X ha cominciato a muoversi. Il legame con Assalti Frontali e il Forte Prenestino di Roma è stato il suo ossigeno per quei primi anni di sperimentazione musicale, di cui unico prodotto è la cassetta Rappresaglia, registrata amatorialmente dallo stesso Luigi nel 1991—in seguito, assieme a Cuba, si sarebbe avvicinato anche ai milanesi Piombo a Tempo, ex Lion Horse Posse, con cui realizzeranno la splendida traccia “La Lista”.
Sempre in quell’anno Lou X e dj Dsastro parteciparono al Festival del Parco Lambro, assieme ai Casino Royale e Sud Sound System e da lì cominciò ufficialmente la loro collaborazione. “In quegli anni abbiamo cominciato a lavorare seriamente a Dal Basso” mi spiega Dsastro “perché Assalti e Forte Prenestino ci avevano proposto di produrci il disco.” E così fu. È stato proprio Dal Basso, uscito nel 1994 per l’etichetta indipendente Cordata gestita dal Forte Prenestino, a destare l’interesse di Carlo Martelli e a portare poi alla prolifica collaborazione per A Volte Ritorno. Nel frattempo si era inserito Cuba, sia nei live sia nella partecipazione su disco, e assieme a lui pure Francesco “Eko” Silvestri, allora poco più che maggiorenne. I tre si presero un appartamento a Pescara e convisserò lì per alcuni anni. “Casa nostra era una sorta di base, dove vivevamo e avevamo uno studio. Da quando ci alzavamo la mattina a quando andavamo a dormire, la nostra vita era l’hip hop. Quindi tutto ciò che era inerente, le basi, i graffiti, noi lo facevamo. Io ho cominciato proprio con i graffiti, lo skate e poi mi sono avvicinato al rap e all’hip hop” mi racconta Eko, e a questo proposito è interessante anche l’aneddoto di Cuba: “Mi ricordo questa scena, era tipo l’87-88. Io e Luigi stavamo a casa e avevamo appena visto il film Beat Street; dopo due ore siamo scesi sotto, siamo andati in una ferramenta che vendeva le bombolette e abbiamo fatto il nostro primo graffito, sotto casa mia a Pescara. “Hip hop don’t stop”. Quel muro è diventata l’hall of fame di Pescara. Oggi il nostro graffito non esiste più, ma per me è stato memorabile perché a quei tempi non c’era tutta la mentalità hip hop di oggi.”

La provincia è da sempre garante di ottima qualità, perlomeno in materia di rap, e se sono in grado di dirlo nel 2014, figuriamoci nel 1994, quando tutto doveva ancora venire alla luce. “Nelle metropoli trovavi un pubblico rap abbastanza grande,” continua Cuba, “mentre in provincia si univano tutti nella caciara. La sagra era di tutti. Da questo punto di vista eravamo molto uniti, ed eravamo in tanti. Quando facevamo i concerti con Costa Nostra avevamo un pullmino, partivamo in sette o otto… anche gente che non c’entrava niente con la musica, la caricamo al volo e la portavamo via.”
“Eravamo tutti coi giacconi, tutti uguali, tutti in branco. Tu pensa, scendevamo dal furgone, dieci-dodici persone tutte con i giubbotti uguali. Carlo diceva che eravamo il Wu-Tang italiano. Erano tipo una decina, solo per noi. Non erano in vendita. Una volta uno mi voleva dare cinquecentomila lire per un giaccone [ride]” (Cuba Cabbal) – foto di Andrea Martelli

L’interesse per l’hip hop non era quindi una prerogativa per CN, anche se indubbiamente ne costituiva gran parte dell’anima. “Certe volte andavamo a Roma a prendere i beat e le strumentali di Simon Harris, che ai tempi uscivano solo su vinile. E la maggior parte dei concerti li facevamo così, prima di fare le nostre produzioni stampate. Usavamo le basi americane che arrivavano in Italia, dato che era difficile reperire roba rap nuova. In quel periodo eravamo proprio affamati.” Se non altro qui è più che mai lecito parlare di messaggio, ricerca, genuinità e voce di un popolo povero, disilluso e rancoroso nei confronti delle autorità. Nonostante la dilagante superficialità di cui il rap italiano a lui contemporaneo già prosperava, questo era ciò che Lou X esprimeva nei suoi testi, e come lui l’intera Costa Nostra: “A volte ti accorgi che fare troppo è inutile,” riprende Cuba, “alla gente non frega di capire. Noi purtroppo facevamo pensare e ti dirò, a distanza di vent’anni, oggi che giro in ogni parte d’Italia, c’è gente dell’età mia che è stata cambiata dai nostri testi. Spaccavamo ma non lo dicevamo. Eravamo apprezzati perché esprimevamo la vita dei guaglioni di provincia, rappresentanti della Costa in quanto prodotti tipici.” Questa attitudine cazzara, in realtà, non era poi così autocompiacente, come poteva in apparenza essere quella, che so, di Sangue Misto o Colle der Fomento. C’era disincanto sì, ma anche un costante senso di lotta e conflitto esteriore e interiore che col tempo si è pure—drasticamente—evoluto. Anche di questo parleremo più avanti.
Per tutti questi motivi, il rapporto tra B-boy fieri e la Costa era strano, distaccato, quasi ostile. Emblematico è l’aneddoto raccontatomi da Carlo Martelli sul concerto di GZA al Maffia (RE) del 1996. “Quella sera c’è stata tensione tra dei B-boy locali e i ragazzi, dato che i primi avevano cominciato a percularli senza apparente motivo. La sera successiva, dopo il concerto di Lou X, gli stessi si sono avvicinati e hanno chiesto scusa. In tutta risposta i ragazzi hanno solo detto “Ah vabbe’, vabbe’, combà…”

A Volte Ritorno
“A Volte Ritorno è molto meno politicizzato di Dal Basso, o forse lo è molto più, ma in altri termini. È un disco in cui si respira una profonda disillusione non nei confronti dell’ideologia, ma della vita che si vive.”  (Carlo Martelli)
Nel 1995 è uscito A Volte Ritorno, sotto contratto con BMG, dodici tracce di un’intensità e struttura decisamente migliori di tutto ciò che era stato fatto fino ad allora, e non solo per questione di nitidezza del suono. Lou X e compari, una volta firmato con BMG, si chiusero nella loro Costa e cominciarono insieme a lavorare su quello che si sarebbe rivelato l’album che avrebbe dato loro più fama in assoluto. Fama di cui, chiaramente, nessuno sentiva il bisogno, men che meno Luigi. Aldilà della spaventosa tensione emotiva con cui di solito si ascoltano canzoni come “La Raje” o “La Ragione e l’Odio”, questo è anche un disco che ha portato letteralmente alla ribalta l’inconsapevole immaginario hardcore associato a Costa Nostra. “La Raje” venne scelta come primo singolo estratto e, grazie ai prodigi della major, riuscì ad arrivare ovunque: radio, tv italiane e internazionali—vedi Videomusic e MTV Europe—persino su Raitre come sigla finale di Blob. “Musicalmente abbiamo sempre avuto una linea “underground”, non di compromessi con etichette, né avremmo mai tollerato pressioni o revisioni di qualsiasi tipo. Non abbiamo mai avuto censure” sostiene Cuba, e credo che nessuno tra noi si sarebbe aspettato il contrario.

“Avevo un po’ di timore perché pensavo che a Luigi non sarebbe piaciuto ricevere ordini dal regista. Invece si è preso benissimo, anche perché gli era proprio piaciuta l’idea dell’essere chiuso come un leone in gabbia, in questo spazio cilindrico con i laminati etc. Hai visto quando cammina… è proprio perfetta l’immagine.” (Carlo Martelli)

Le tracce di questo album sono un’esplosione barocca di campionamenti, soluzioni ritmiche e strumenti, completata dall’impeto dei testi, carichi di un furore travolgente, reso ancora più profondo dall’uso del dialetto abruzzese. Roba così pesa che persino Jovanotti ne ha riconosciuto il valore, come ricorda Eko: “In quegli anni aveva aperto Radio Capital e avevano chiamato Jovanotti a condurre un programma. Una volta mi ricordo che ha trasmesso “Come L’Occasione”, la prima traccia di A Volte Ritorno e l’ha annunciata dicendo “Questo è Lou X, loro si chiamano Costa Nostra e sono gli equivalenti del Wu-Tang Clan in America.” Ha messo la canzone, e una volta finita, Saturnino, il suo bassista, ha iniziato a intonare lo stesso basso, e Jovanotti stesso ci ha fatto un freestyle sopra.” Nonostante Lorenzo Cherubini non fosse assolutamente un punto di riferimento per Costa Nostra, né tantomeno per Luigi, il riconoscimento altrui era comprensibilmente gradito. Non sempre arrivava, però. Radio Deejay all’epoca aveva un programma chiamato One Two One Two e Lou X lì non l’hanno mai passato. Sempre Eko conclude: “Eravamo delle figure scomode. Ti dirò, non esserci mescolati è stato più positivo che negativo.”

Tour 1996/1997
“Noi eravamo un po’ cafoni, un po’ gangster, ma gangster sul serio. Nel senso che arrivavamo là e facevamo i macelli, i vari tour manager duravano un mese o due… dopodiché scappavano con le mani tra i capelli. Eravamo proprio ingestibili. Partivano due casse di birre Moretti solo al soundcheck. Poi avevamo tutti tra i diciotto e i diciannove anni, erano altri tempi. C’era meno roba sintetica e molto più agricola” (Cuba Cabbal)
All’uscita del disco è seguito un tour, l’unico a cui Luigi e soci avrebbero mai partecipato tutti assieme. Si è svolto tra il 1996 e il 1997, e ha visto l’ingresso in scena di Molecola, tecnico del suono che non solo li ha accompagnati in tutte le tappe del tour, ma in seguito ha anche registrato per intero l’ultimo album di Lou X, La realtà, la lealtà e lo scontro. Molecola non era la sola novità. Poco prima dell’inizio del tour, ci furono attriti tra Luigi e Dsastro, che di conseguenza decisero di separarsi. “Non potendo assolutamente bloccare la macchina promozionale è stato preso un altro dj, una persona molto brava che si faceva chiamare Luke Skywalker” spiega Molecola, “un vecchio amico di Andrea (Cuba), un dj tecnicamente sensazionale. Non era un musicista, mentre Marco era l’autore dei primi due album ed è considerato tutt’ora uno dei più autorevoli confezionatori di basi hip hop in Italia, questo era proprio un dj.” Sia Molecola che Luke Skywalker parteciparono all’esibizione a Segnali di Fumo del 1996, trasmissione condotta da Paola Maugeri che andava in onda su Videomusic È l’unico live di quegli anni ad essere disponibile su Youtube, l’audio è un po’ scrauso, ma si capisce bene il tipo di botta che hanno dato.

 

Quel tour è stato un successo sotto ogni punto di vista; le date furono numerosissime e tre di queste, tutte del ‘96, meritano di essere raccontate. La prima è l’apertura ai Cypress Hill al Live Link Festival di Roma, nel giugno del 1996. “Arrivammo al Foro Italico e c’erano due tendoni, a mo’ di camerino.” racconta Carlo, “nel nostro c’erano una bottiglia d’acqua e due lattine di Coca Cola, ma due di numero. La tenda a fianco, quella dei Cypress Hill, era vuota ma dentro c’era ogni ben di dio: insalata, pasta fresca, bibite, alcol. I ragazzi fecero esproprio proletario. Entrarono e cominciarono a trasportare questi generi alimentari nel loro camerino, fino a quando non arrivò un manager tutto incazzato che chiese loro cosa stessero facendo. Ci fu tensione. All’arrivo dei Cypress Hill, io spiegai che stavamo venendo da un viaggio di quattrocento chilometri, eravamo stanchi e nel nostro camerino c’erano giusto due lattine di Coca Cola. Loro ci dettero ragione, chiamarono il local promoter e pretesero che venissimo riforniti in maniera paritaria.” I Cypress Hill in quell’occasione si fecero pochi problemi a manifestare entusiasmo e ammirazione per quei “freghini” pescaresi. Oltre ad ascoltarsi il loro soundcheck per intero, dedicarono a Lou X diverse rime durante il loro set, e a fine concerto si congratularono animatamente con tutta la crew. “A fine concerto” ricorda Carlo, “vennero tutti di persona a chiederci l’album. Ci fu una bellissima conversazione, gli uni che parlavano in abruzzese e gli altri in inglese, messicano… Una gran confusione. Una confusione bella, meravigliosa.”

Il 28 giugno dello stesso anno, poco dopo il Live Link Festival, Lou X e Costa Nostra suonarono anche all’ormai estinto festival Sonoria, a Milano. Stessa atmosfera, stesso calore da parte del pubblico, ma non senza imprevisti. Durante il soundcheck infatti ci furono casini tecnici per i quali il live stesso rischiò di saltare—”E tutto se ne va affanculo, come a Sonoria” di “E la sagra continua” si rifersice a quell’episodio. Fortunatamente la cosa si risolse e i ragazzi poterono suonare senza problemi. “Andammo lunghi con l’orario,” riprende Carlo, “e ci dissero che per il set avremmo avuto venti minuti rispetto ai quaranta perché purtroppo alle ore x sarebbe partita Neneh Cherry, che era dall’altro lato speculare della grossa arena del parco Acquatica. Comincia il concerto di Lou X e tutta la gente va sotto al suo palco. Dopo venti minuti Neneh Cherry esce sul suo di palco, ma di fronte a lei non c’era nessuno. Tutte le cinquemila persone dell’arena erano sotto al palco di Lou X col pugno per aria. Neneh Cherry ha dovuto aspettare venticinque minuti prima di poter partire.”

 

Antecedente alle prime due esibizioni è quella al concerto del Primo Maggio ‘96, in piazza San Giovanni a Roma, assieme ad altri artisti come Elio, Carmen Consoli e Modena City Ramblers. Tutto meraviglioso, se non fosse che il loro set è stato l’unico a non andare in onda sulla Rai, come ricorda Eko: “Durante la nostra esibizione è andato in onda un tg flash, una sorta di censura dovuta alla nostra immagine forte, credo. In effetti appena saliti sul palco abbiamo esordito con “Vaffanculo agli Articolo 31” e cose così, completamente ubriachi…”

La realtà, la lealtà e lo scontro
C’è qualcuno che ha paura…
paura di guardarsi dentro, prima.
e guardare fuori, dopo… paura di scoprire
un universo lontano dal ruolo assegnatogli.
Che cozza violentemente con le illusioni dello
spettacolo e del dominio. Paura di capire che
il proprio destino è solo non arrivare mai
alla carota che pare luccicare davanti…
Certo il risveglio è doloroso perché dietro
c’è il bastone, ma il mattino ha l’oro in bocca:
PERCIÒ È LA REALTÀ.
C’è qualcuno che ha paura ancora…
paura di spegnersi come un lumino in un
cimitero… e lotta per risplendere con forza,
con passione, per brillare al sole come
tamburi di guerra che battono in cuor suo
e in quelli che pulsano intorno… lampi che
squarciano il buio gli occhi suoi. Che
scavano e si lasciano scavare. Che riempiono
chi li sa accogliere. Che tormentano chi li vuole respingere:
PERCIÒ È LA LEALTÀ.
C’è qualcuno che mette paura…
col buio. Fabbricato con luci e bagliori.
Con cui riempie anime dannate… con i suoi
mille e mille soldati che di umano non hanno
più niente. Nemmeno la maschera da carogna
che si portano dietro soddisfatti… con un
grande inganno. Disseminato tra le infinite,
false, vigliacche, infami esistenze. Pronti
a sacrificare la realtà e la lealtà
sugli altari dell’impero
PERCIÒ È LO SCONTRO.
(Lou X)

La poesia qua sopra era stampata nel retro de La realtà, la lealtà e lo scontro, terzo e ultimo album di Lou X, uscito nel 1998 sempre per BMG. I tre paragrafi vogliono spiegare al lettore/ascoltatore il significato dietro alla scelta del titolo dell’album e di fatto ne incarnano perfettamente l’atmosfera, frutto di una degenerazione spirituale ben più cupa e straziante del precedente A Volte Ritorno, e che è per questo da molti considerato il più grande capolavoro di Lou X in assoluto—eccomi. Successivo di due anni al fortunato A Volte Ritorno e relativo tour, La realtà, la lealtà e lo scontro è l’opposto della spensieratezza guagliona e “tranquilla” che tanto aveva caratterizzato Luigi e la sua crew. “Finito questo tour, il distacco con Marco Disastro non diminuì.” mi racconta Molecola, “Nessuno dei due aveva voglia di rimettere in piedi la baracca e Luigi decise di arrangiarsi da solo. Con una parte dei ricavi del disco e del tour si è comprato un’attrezzatura veramente minimale: un computerino, un campionatore, una tastiera, delle casse, dei monitor da studio, un mixer, un microfono, ma niente di che devo dire. Il minimo indispensabile. Si è preso una stanza in un appartamento qui a Pescara e si è chiuso lì a fare le basi del suo futuro album, senza manco sapere da che parte cominciare.” In realtà, Luigi da qualche parte sapeva pur cominciare, dato che per tutti quegli anni era stato a contatto con dj esperti e tecnicamente infallibili come Luke Skywalker e lo stesso Dsastro. Mancava tuttavia una vera e propria tecnica, una dimestichezza che avrebbe potuto apprendere solo con la pratica, perciò si chiuse in casa a sperimentare, convinto di poter fare tutto da solo. “C’è stata la sua grande forza di volontà nell’imparare la tecnica,” continua Molecola, “e poi una volta impadronitosi del mezzo, il fatto che fosse una cosa totalmente nuova lo ha portato a ragionare in maniera assolutamente minimale per quanto riguarda l’aspetto creativo.” Le strumentali che ne vennero fuori erano infatti scarnificate, ripetitive e quasi ossessive, alcuni pezzi avevano addirittura un campionamento solo, ripetuto all’infinito—“Danneggiatori” o “A Spasso Per l’Impero”.

 

“Era molto evasivo, poche telefonate etc.” riprende Molecola, “Quando poi ha ritenuto di avere più o meno la situazione in mano, mi ha chiamato. Quel disco lo abbiamo fatto praticamente io e lui da soli, a parte qualche ospite di passaggio, come Andrea, Francesco Eko o una tipa che ha cantato in un paio di pezzi (Bibiana Carusi). Per il resto eravamo solo noi due. Ci siamo chiusi a Spoltore, un paese qui vicino, nella sala prove del vecchio gruppo crossover di Cuba (Sistema Informativo Massificato). Abbiamo caricato tutte le sue cose dall’appartamento di Pescara e le abbiamo trasferite lì. Era l’inverno tra il ‘97 e il ‘98. La lavorazione è stata piuttosto travagliata, nel senso che è andata molto per le lunghe. In questa casa in campagna, con pioggia, neve, buio e freddo, l’atmosfera era proprio quella che si sente nell’album. L’ho sempre definito un disco dark.” A conferma di ciò, “Stati d’ansia” contiene un sample dei Bauhaus, eseguito ai tempi da Francesco Eko. Poco importa se musicalmente La realtà, la lealtà e lo scontro non suona esattamente come Pornography o Closer, la pulsante inquietudine trasmessa da certe tracce è difficilmente ignorabile, durante l’ascolto. Oltretutto, proprio come Closer, La realtà… avrebbe fatto da “testamento” a Luigi. “L’artwork venne affidato a un mio carissimo amico, Enrico Cannoni” va avanti Molecola, “andavamo a casa sua e ci faceva vedere le prove delle copertine. C’era sta roba tutta bianca accecante, pesantissima, con il disco invece dal sound cupissimo, agli antipodi. Gli occhi e le orecchie si trovavano in due stati completamente diversi. Bianco e nero.”
La controversia più grande de La realtà, la lealtà e lo scontro è sicuramente quella legata alle due tracce mai pubblicate su disco, in cui apparivano i campionamenti di Patty Pravo. Le due canzoni sono “Finché dicono” e “Fors’è”—“Finché dicono”, a detta di Molecola, si sarebbe dovuta chiamare “Il vero nemico” e io mi fido.

Non so perché l’abbiano chiamata così, probabilmente chi l’ha messa in rete non aveva il titolo. Era un working title, un titolo di lavorazione. Non essendo poi uscito nell’album è rimasto il titolo di lavorazione, ma mentre la facevamo si chiamava “Il Vero Nemico” (Molecola)

“Una parola. Manco una battuta musicale, una parola ripetuta all’infinito sulla quale lui rappava sopra. Ossessionante.” (Molecola)

“Era impensabile poter far uscire in Italia una cosa del genere senza autorizzazione. Mentre nel disco precedente era quasi tutta roba straniera, ed erano talmente tanti i campionamenti nelle basi di Marco, che Carlo se ne fregò e lo fece uscire lo stesso, qui avevamo un disco con alcuni brani che avevano uno o due campionamenti al massimo… proprio l’opposto. Era tutto super riconoscibile. Ma poi voglio dire, Patty Pravo in Italia. Dovevamo assolutamente avere la liberatoria, almeno per quella roba lì. Lei venne messa al corrente della cosa tramite la casa discografica, si incuriosì e Luigi andò a casa sua da solo. Immaginati la scena. Lou X e Patty Pravo nel salotto di casa di Patty Pravo a sentire sti pezzi… [ride]. Lei inizialmente era presa abbastanza male, le avevano comunicato la cosa, aveva acconsentito all’incontro ma non era entusiasta, Patty Pravo è abbastanza lunatica. Poi quando si sono visti di persona è stata molto carina, i pezzi le sono piaciuti e si sono lasciati con un “Le faremo sapere…”. Luigi allora era molto fiducioso. In realtà le autorizzazioni non arrivarono mai e quei pezzi su disco vennero tagliati. Dopodiché la storia finì lì. Il disco uscì e Luigi si arroccò in una posizione integralista in cui non voleva in nessun modo promuoverlo com’era avvenuto per A Volte Ritorno, in parte anche ferito dall’esclusione dei suoi due pezzi e dalle modifiche apportate dalla major sull’artwork originario. Non ci furono mai concerti o videoclip per La realtà, la lealtà e lo scontro, anzi, Luigi poco a poco cominciò a sparire, sia fisicamente che psicologicamente. Costa Nostra era morta, ma nessuno aveva avuto il coraggio di dirselo in faccia. “Era come se A Volte Ritorno fosse stato un disco con una band, che ne so, dei Rolling Stones, e La realtà, la lealtà e lo scontro invece uno di Mick Jagger. Con alcuni ospiti, ma non c’era per niente senso di comunità, di collettività, di fratellanza. Anche Andrea non stava con noi fisicamente, veniva a registrare qualcosa, ma poi se ne andava. Non ho ricordi di un gruppo di lavoro, ma sempre di me e lui. La gente veniva veramente solo a prendere il caffè. In dirittura d’arrivo, anche per la piega che aveva preso la cosa, il suo umore, l’esito mi è sembrato abbastanza chiaro. Non sono critiche eh, a me è piaciuto tantissimo fare quel disco e farlo in quel modo. Credo che sia venuto fuori così perché è stato portato avanti senza grossi coinvolgimenti esterni. Al tempo stesso mi sembrava improbabile che si rimettesse insieme una specie di posse, che poi affittasse un furgone, andasse in giro per l’Italia etc. Per cantare quella roba lì… cioè, sai andare a un concerto e fare “Danneggiatori”? Boh.”

Per la sua natura, La realtà, la lealtà e lo scontro è un disco estremamente introspettivo, che ha messo a nudo il conflitto che Luigi aveva da sempre, in modalità differenti, alimentato dentro di sé, e che col passare degli anni ha finito per divorarlo. Come ha detto Eko, “L’album è uscito, ma sarebbe stato meglio di no. Ha messo troppo a nudo Luigi, che poi non si è neanche reso conto di quanto stava succedendo. Forse sarebbe bastato lasciar passare del tempo. Sarebbe dovuto uscire dopo almeno due anni, con un’altra maturità. Quella di quel momento ha portato solamente negatività. Era un periodo in cui ne respirava molta, Luigi.” E la tragicità di questa consapevolezza imprime ogni traccia con una forza spaventosa, dilaniante.

“Quel disco non si sarebbe mai potuto aprire diversamente. Come premevi play doveva partire subito quell’orchestraccia de “Il mattino ha l’oro in bocca”. Erano tipo i titoli di testa di un film del terrore. La rivisitazione urban della tragedia greca.” (Molecola)

Via da qua
“Quando abitavamo insieme, io, lui, Eko, stavamo i giorni sempre a divertirci. Questo conflitto lo manifestava per iscritto, con gli altri poteva anche essere simpatico e tranquillo, ma dentro era evidentemente triste. Poi ognuno scriveva per quello che era dentro. Le parti scritte da Luigi, sono effettivamente scritte da Luigi. E così tutti. In quei periodo con noi stava sempre a ridere e a scherzare, poi non ha riso più. Da dopo La Realtà, la Lealtà e lo Scontro non ha riso più. Questa è una cosa che mi colpì molto. Lui da un giorno all’altro non rideva più. “Oh Luì” e lui niente, non rideva più. Non parlava più. Facevamo viaggi lunghi, siamo andati pure a Basilea, 7-8 ore di treno e quello era capace di starsi zitto per otto ore. Gli chiedevi “Luì che hai fatto?” e lui “No tranquillo.” Capito? C’erano ste pause… all’inizio sembrava depressione, ma ti ripeto, sono state più cose. Tante cose unite dalle quali uno volendo può uscire. Però se entri nel fiume, poi il fiume ti trascina, ti si porta. Se uno non si mette in salvo è così. Non so se non ha avuto le forze o la volontà di uscire da questa condizione di stasi. Certe volte mi chiamava, “Andrè voglio fare un pezzo”, veniva a casa mia, andavamo a fare la base, registravamo etc. Dopo scompariva per tre o quattro mesi, non si sentiva più, non parlava più… poi ritornava. Capito?” (Cuba Cabbal)

Furono tanti i motivi che spinsero Luigi a ritirarsi e per quanto importante possa sembrare fare chiarezza su di essi, al fine di comprendere fino in fondo la sua scelta, sarebbe comunque irrispettoso nei confronti del suo silenzio. E in ogni caso, nessuno aldilà di Luigi stesso sa bene cosa è accaduto dopo La realtà, la lealtà e lo scontro. “Solitamente gli assenti hanno sempre torto, in questo caso no.” sostiene Carlo Martelli “La realtà, la lealtà e lo scontro era una roba davvero trasversale e in qualche modo unica. Lui mi porse il disco e mi disse “Guarda Carlo, io sono qui dentro. Io sono questo. Chi vuole parlare con me deve solo ascoltare il disco, perché quello che ho da dire lo dico nel disco.” Già dopo “La Raje”, toccare la possibilità di avere successo in qualche modo lo destabilizzò, non so che cosa accadde francamente.” Nonostante tutto, il disco vendette quasi trentamila copie, qualcosa di più di A Volte Ritorno, che arrivò a ventimila. “Lui voleva cominciare il suo tour di A Volte Ritorno dal Forte Prenestino,” riprende Carlo “che, assieme al Leoncavallo, era il posto in cui era stato battezzato. Questi però gli risposero di no, per un discorso legato all’integralismo. Invece il Leoncavallo lo ospitò, e fecero il pienone, fu una serata indimenticabile… Questo per dirti quindi quanto la situazione fosse controversa anche negli ambienti e nell’humus in cui lui aveva messo le radici. Se alcuni luoghi e centri sociali riconoscevano che, a prescindere dalle etichette, la sua integrità non solo non era mutata, ma si era addirittura elevata da un punto di vista artistico, altri rifiutavano subito perché “No sai, la BMG, per carità…” Siamo tutti abbastanza certi che sia stata anche ignoranza di questo tipo a destabilizzare Luigi, oltre che a spaventare e schifare quella sua personalità così pura e compatta, che mai era scesa a compromessi prima di allora.
Foto di Andrea Martelli

I lavori successivi a La realtà, la lealtà e lo scontro sono pochi e qualitativamente inferiori a tutto il resto, come mi ha spiegato Cuba “a lui interessava trasmettere un messaggio, non importava come lo stesse dicendo, importava dirlo”. Poco a poco, però, anche queste sporadiche collaborazioni col cugino—e con i vecchi amici di Milano e Roma—iniziarono a diminuire, fino a sparire del tutto. Su Internet la gente si è sbizzarrita, e ha dato via libera a ogni tipo di fantasia che potesse spiegare la sua assenza, tutte più o meno avventate e apocalittiche. Prima fra tutte spicca quella legata alla tossicodipendenza, la quale, ovviamente, è stata subito smentita da tutti i miei interlocutori. “Ogni tanto lo rivedo.” mi spiega Eko, “Sai, lui ha un carattere forte e non tende a chiedere aiuto alle persone, quindi se ne sta più per conto suo. Non gli interessa proprio dei commenti della gente, capito? Magari ci facciamo più caso noi, che lui. Da una parte meglio così. Per esempio, per un periodo ha avuto dei problemi di circolazione ai piedi, camminava male e zoppicava. Tu immaginati una persona che cammina per strada un po’ claudicante, chi lo vede dice subito “Ah guarda, questo qua è drogato…”

Sono svariati quindi gli eventi che hanno portato le persone a farsi un’idea sbagliata, ed è anche per questo che ho voluto indagare un po’ più a fondo sulla sua vita. “Penso che quando oggi sente parlare di Lou X,” mi spiega Dsastro, “giri le spalle e se ne vada. Più volte le persone lo hanno fermato, lui è come se disprezzasse qualcosa di sé. Non so bene cosa sia scattato, ma molte volte ha reagito così: ha preso e se n’è andato, senza neanche salutare. Come se si vergognasse di qualcosa.” Questa totale perdita d’interesse, se non negazione di ciò che è stato è forse l’aspetto che più annienta della sua storia; l’amarezza per aver lasciato che un artista come lui arrivi a rinnegare il proprio passato a questi livelli è qualcosa di enorme, e se lo è per me che sono la persona più estranea e distante dal suo mondo, figuriamoci per chi lo ha conosciuto davvero. Se il presente di Luigi Martelli non è affar nostro, il suo passato, prima ancora di appartenere a tutti, appartiene a lui. Ciò che ha fatto con la sua musica doveva essere raccontato, ed è quello che ho cercato di fare con questo articolo, non da sola, chiaramente, ma con l’aiuto di gente che quell’aria l’ha respirata sul serio. “E se suona la raja suona per questo, combà.”

 

“C’è quel verso, quando dice “Se là fuori piove mo’, forse ripulisce un po’ ” che ogni volta che lo sento… C’è questo elemento tenue, di speranza, “Forse ripulisce un po’”, che è qualcosa di meraviglioso, di poetico, a livello davvero sublimi. Tutte le volte che la sento mi chiedo come possa essergli venuta in mente, come abbia fatto. Rimango sempre a bocca aperta.” (Carlo Martelli)

 

 

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