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Prove di futuro a Kobani

Il nostro secondo giorno inizia con il risveglio nella Guest House ed un sole caldo che illumina Kobani. Più dei 30° (e forse oltre), quello che ci scalda il cuore è la straordinaria accoglienza che riceviamo dalle compagne e dai compagni Curdi. Il primo incontro della giornata avviene presso la sede dell’amministrazione del cantone dove incontriamo alcuni membri del comitato che si occupa della ricostruzione di Kobani, che ha l’arduo compito di coordinare i vari comitati tematici (istruzione, sanità, etc) nella ricostruzione della città.

 

Il comitato di ricostruzione di Kobani
L’ISIS voleva distruggere Kobani e con essa la possibilità di costruzione di una società altra basata su un idea rivoluzionaria per l’area Mediorientale e non solo. Un modello di condivisione, partecipazione, convivenza pacifica ed emancipazione che probabilmente è quella che ha spaventato i daesh (e che spaventa gli stati nazione). “La resistenza è stata una resistenza collettiva, una resistenza contro le barbarie, per questo pensiamo che Kobane sia di tutti, che oggi Kobane sia la capitale dell’umanità.”

La resistenza di questa città non è terminata con la fuga del califfato nero, ma continua nel grande sforzo di ricostruzione, dove i principi del contratto sociale del rojava trovino materializzazione, con grande attenzione all’ambiente e alla distribuzione delle risorse.

Il processo di ricostruzione oggi si pone quindi in assoluta continuità con quella che è stata la resistenza.

In città mancano tutte le reti (idrica, elettrica, fognaria) e i servizi essenziali, come anche nei villaggi riconquistati intorno alla città. Economicamente Kobane si basa soprattutto su attività agricole, ma quest’anno la stagione è saltata con tutte le conseguenze che ne possono derivare sia a livello economico che di sussistenza alimentare. L’unica porta di accesso, è al momento la frontiera Turca, che come è risaputo non garantisce libertà di movimento: se da un lato infatti i curdi possono rientrare a kobani (ma non uscire), dall’altro è impedito l’accesso a mezzi e materiali che servirebbero alla ricostruzione. La chiusura dei confini rappresenta al momento uno scoglio che rende ancora più difficoltosa le attività di ricostruzione. Per cui più volte durante l‘incontro viene ribadita la necessità di pressioni intrnazionali per l’apertura di un corridoio che garantisca il passaggio di merci e tecnici internazionali (ovviamente nella speranza che il prima possibile si possa unire il cantone di kobani con quello di Czire, bypassando la nemica frontiera turca).

La maggioranza del comitato è di Kobane, ma non mancano professionalità arrivate dai 4 angoli del Kurdistan ed in particolare dal Bakur (Kurdistan Turco). Il comitato produce idee e suggerimenti che poi vengono discussi, valutati ed attuati dall’amministrazione della città e del cantone. Ma in questo momento è veramente difficile lavorare perché il livello infrastrutturale non consente assolutamente nulla.

Dal comitato l’appello che viene lanciato è chiaro: quanti hanno disponibilità e professionalità per seguire nei dettagli un progetto specificare vengano a Kobane, gli altri si attivino invece nei rispettivi paesi. Nell’ultimo report avevamo raccontato dell’incessante rumore dei generatori che riempiono la notte di Kobane e che al momento rappresentano l’unica possibilità per la produzione di energia, questo nonostante la presenza della centrale elettrica di “La Farge” all’interno del cantone che però è uscita gravemente danneggiata dagli ultimi mesi di guerra e che difficilmente potrà essere riattivata prima di un anno.

Sulla economicità/sostenibilità dei progetti: molto spesso i progetti che vengono proposti dagli internazionali sono interessanti e molto belli, ma con costi di realizzazione e soprattutto di gestione e mantenimento in opera che non tengono assolutamente conto del contesto oggettivo nel quale i progetti devono essere realizzati. Avendo la possibilità di confrontarci maneggiando materialmente le cartine, ci viene spiegato che, nell’amministrazione precedente la guerra, alcune aree nelle quali dovevano sorgere edifici scolastici, sono state invece oggetto di speculazione e vendute per la costruzione di case private. Questo, unito al fatto che una parte del centro storico distrutto non verrà ripristinato ma lasciato come museo (sia per la necessità di ricordare sia per l’oggettiva difficoltà di sgomberarla dalle macerie e rimetterla in piedi) rende necessaria la progettazione e costruzione di un nuovo quartiere  a sud di kobani, in area demaniale. Nelle idee del comitato dovrà essere un quartiere costruito secondo principi ecologici ed economici di sostenibilità.

Terminiamo l’incontro consegnando gli ultimi 3000 euro e rilanciando l’appuntamento a inizio Luglio a Bruxelles quando si terrà la seconda conferenza per la ricostruzione di Kobani.

Una volta terminato l’incontro decidiamo di fare un giro a piedi per la città imbattendoci nell’uscita dei bambini delle scuole che, prendendoci letteralmente d’assalto, ci regalano sorrisi e abbracci. In città sono molte le attività commerciali riaperte ed un via vai continuo di mezzi e persone ci conferma come la vita per le via di Kobani sia praticamente ripartita, nonostante intorno a noi distruzione e macerie siano perennemente presenti. Arriviamo fino al confine nord della città, a ridosso della frontiera. La bandiera Turca sventola a poche decine di metri da noi. Qui degli edifici rimane non rimane che lo scheletro e le strutture di cemento armato piegate dalle esplosioni. Un compagno di guardia alla porta d’entrata della città ci mostra i resti di una grossa autobomba arrivata proprio dalla parte Turca. Quella stessa frontiera chiusa per gli aiuti, lascia invece passare le autobombe dei Daesh. Casualmente ci imbattiamo nel rientro di una famiglia di profughi che, una volta attraversato il grande cancello di ferro dietro il quale si celano i militari Turchi, alla vista della loro città ridotta in macerie si lascia andare ad un pianto interminabile.

Il pomeriggio lo trascorriamo presso l’Associazione dei Giovani di Kobane, Ciwanen Soresger. Con ragazzi e ragazze giovanissimi abbiamo avuto la possibilità di discutere a proposito dei mesi di guerra e resistenza di Kobane, delle condizioni attuali di vita dei giovani e giovanissimi e della condizione femminile. Ma soprattutto abbiamo avuto la percezione durante questo incontro che il futuro di questa città passa soprattutto dalle mani e dalle teste di questi ragazzi e ragazze che ci spiegano l’importanza della formazione e dell’educazione etica e politica, ci invitano a intonare a turno canti di lotta, e ci sfidano ad una partita di pallone tra macerie, polvere e gioia.

 

da Carovana per il Rojava – Torino (17 maggio 2015)

 

 

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