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Rivolta dei detenuti nel carcere di Verona: due incendi in 48 ore

Passano appena 48 ore e la protesta non demorde, anzi passa ad attaccare direttamente l’amministrazione carceraria. Come era successo due giorni prima, dopo un confronto fisico con un agente i detenuti danno fuoco a due celle. Anche in questo caso una decina di agenti risultano feriti. Sui giornali – mentre Angelo Urso, segretario generale UIL della Polizia Penitenziaria, si aggrega al compare Capace e pretende una riflessione sui provvedimenti adottati per la tutela dell’incolumità del personale carcerario – nessuno osa sollevare domande sulle condizioni di vita dei detenuti.

È necessario contestualizzare queste recenti rivolte avvenute nel carcere di Montorio in quella che sembra una situazione singola. Se sono infatti note le statistiche di autolesionismo, violenze e tentativi di suicidio all’interno del carcere veronese – che risulta per altro particolarmente sovraffollato rispetto alla struttura – va riconosciuta la costanza e la determinazione nella lotta portata avanti da questi detenuti.

Già nell’estate 2014 infatti i detenuti avevano inviato una lettera alla direzione del carcere, firmata da circa 250 persone su un totale di 500, in cui chiedevano: meno affollamento delle celle, maggiore attenzione nella preparazione e distribuzione del cibo, maggiore igiene nelle docce comuni (causa di numerose infezioni fra i detenuti), disinfestazione da scarafaggi e insetti, rispetto dell’aria, ecc. Si tratta non solo di rivendicazioni rispetto alla possibilità di una vita – seppure non libera – dignitosa, ma addirittura delle più basilari pretese di salute e incolumità fisica. Nell’aprile 2015, probabilmente in seguito al silenzio dell’amministrazione di fronte alle richieste, i detenuti avevano adottato la stessa modalità di protesta ripresa quest’autunno, minacciando e aggredendo la polizia con i pochi oggetti disponibili (quali lamette e macchine del caffè) e incendiando un materasso, con il risultato di 12 agenti all’ospedale. Anche allora UIL Polizia Penitenziaria si abbassò ad attribuire la causa di tali “disordini” al fatto che la maggioranza dei detenuti fosse extracomunitaria, benché la composizione demografica del carcere veronese sia conforme alla media nazionale.

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