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Rovesciare il Frame

di Oziosi.org

Organizziamo la Free Media Days per intraprendere un lavoro collettivo di liberazione della comunicazione dalla logica del capitale ;rompere il regime della “comunicazione-produzione”, l’ordine del discorso mainstream
.Abbiamo bisogno di creare narrazioni condivise, frames, cornici comuni in cui ci si possa riconoscersi, confrontarsi, capirsi.

Saranno tre giorni di workshop, musica e video, presentazioni di progetti e dibattiti sulle pratiche di riappropriazione dei media e della tecnologia in generale, sul mondo delle autoproduzioni e del copyleft.
Saranno presentati progetti di reti wireless cittadine e comunitarie, si parlerà di eco-hacking, di software per la creazione artistica multimediale, si indagheranno le tendenze del web e le dinamiche di mercato delle grandi aziende dell’Information Communications Tecnology, saranno presentati documentari prodotti da videomakers indipendenti.

Freemediadays come occasione per ribadire che la comunicazione è spazio d’azione e di relazione, terreno di nuovi conflitti e deve essere considerata come un punto centrale della riflessione e dell’agire quotidiano di chi si oppone al pensiero dominante. Quando la produzione capitalistica si impadronisce del rapporto sociale in generale la comunicazione assume un valore direttamente produttivo. Il fatto che la riproduzione sociale, che tutte le operazioni della pratica sociale, nella loro stessa essenza, siano operazioni segniche, rende la comunicazione un elemento centrale dell’autovalorizzazione capitalistica. Quanto più la società, i processi per mezzo dei quali essa sopravvive, accrescendosi o almeno continuando ad esistere si trasformano in articolazioni e momenti della produzione di profittotanto più la comunicazione viene declinata strumentalmente nella logica della “competizione economica”, dello sfruttamento sociale.

L’Unione Europea non a caso considera lo sviluppo della comunicazione come la risorsa strategica per rilanciare la sua economia del profitto a livello globale. Naturalmente questa identificazione tra comunicazione e produzione non avviene senza contraddizioni. La “comunità europea dei padroni” che auspica la crescita esponenziale della comunicazione (tele-comunicazione, automazione spinta, informatizzazione del sociale, potenziamento delle reti di trasporto di energia, merci e forza-lavoro) è la stessa che promuove “un’economia del confine” (Recinzioni, blocchi navali, sofisticati apparati di controllo e intercettazione, muri e varchi controllati, mafie e trafficanti di uomini) contro i flussi umani che sfuggono alla presa di una razionalità puramente economica (che non si comportano come semplici e puri strumenti di produzione nè come mezzi per creare una certa “distensione” sul mercato del lavoro e allentare la “pressione sociale”).

Appare evidente che nell’ideologia capitalistica della “comunicazione totale” i migranti, tutti coloro che si mettono in movimento contro la “mal vie”, non sono tollerati e che non è ammessa altra “valorizzazione della risorsa umana” che non sia funzionale alla logica della mercificazione, del mercato.

Dove i rapporti economici, di creazione del profitto, si identificano con i rapporti di comunicazione (la rete di ri-produzione-valorizzazione della vita) la riproduzione del potere dipende dal controllo della comunicazione e la classe dominante e’ quella che controlla la comunicazione. In una situazione in cui comunicazione e produzione non si distinguono più, la comunicazione e le sue interfacce (in particolare “la rete”) diventano naturalmente un luogo di conflitto e un mezzo possibile di liberazione e autovalorizzazione sociale. La comunicazione e le sue interfacce tecnologiche, le reti digitali-le macchine relazionali, non si presentano solo come un dispositivo di cattura e mercificazione delle dinamiche di formazione dei saperi sociali.
Le “macchine per comunicare” non funzionano unicamente da interfaccia capitalistica di ri-mediazione della vita e dell’interazione sociale in funzione della logica del profitto. Indubbiamente, le “macchine per comunicare” (potenza materializzata del sapere sociale) oggi permettono quel governo istantaneo ed arbitrario della deterritorializzazione e riterritorializzazione del capitale finanziario e dei suoi processi di espropriazione della ricchezza sociale.

Ma se da un lato la “rete delle macchine per comunicare” serve al capitale per governare la flessibilità-precarietà sociale e comandare-coordinare, in tempo reale, unità produttive disperse geograficamente sul pianeta (per ricombinare produttivamente differenze territoriali, culturali, istituzionali, di costi e qualità del lavoro), dall’altro essa si presenta come possibile elemento di liberazione e di emancipazione umana. Una comunicazione che voglia assumere un carattere di autovalorizzazione sociale e di emancipazione umana per essere tale deve rovesciare il frame dominante. Quello di una “comunicazione-scambio” fondata su un comunicare che presuppone soggetti già dati e cristallizzati, che sulla base di ordini e codici dominanti già dati del discorso, si limitano a scambiare e consumare messaggi(messaggi-merce ). A questa “comunicazione-scambio”, apparato di controllo e cattura della ricchezza delle relazioni sociali e del vissuto individuale, è necessario contrapporre una “comunicazione-non-convenzionale” nella quale isoggetti della comunicazione, gli oggetti che fanno da referenti e le cose da comunicare, come pure gli stessi codici e convenzioni sociali, i valori, i programmi e i modelli di comunicazione si costituscono autonomamente. La comunicazione come lavoro non è solo sfruttamento, dispositivo di controllo ma contiene in sè la capacità e la potenzadella trasformazione, dell’invenzione, della ri-valorizzazione ed emancipazione sociale.
Non necessariamente i modelli delle sue progettazioni sociali sono fatalmente destinati ad essere speculari e sottomessi all’ideologia dominante, alla “progettazione sociale” capitalistica.

Oggi la maggioranza degli uomini sono costretti a vivere dentro un mondo che non è il loro sebbene sia prodotto e tenuto in funzione dal loro lavoro quotidiano. Un mondo che non è stato costruito per loro e in cui sono presenti e in funzione del quale sono pensati e utilizzati, ma i cui modelli, scopi, linguaggi non gli appartengono, “non sono per loro”. Il proletariato non possiede i mezzi di produzione attraverso i quali si produce e si tiene in funzione il mondo. Questo mondo appartiene alla classe dominante. Per questo, occorre rovesciare il frame, penetrare nelle regole di un’astratta “Mente sociale” che costruisce e impone sistemi di comunicazione, di comportamenti e senso funzionali allo sfruttamento economico e alla riproduzione della forma sociale capitalistica.

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