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Sequestro Soffiantini, fra depistaggi e omissioni da parte dei Nocs

Determinante fu il fatto di trovarsi di fronte alla professionalità dei banditi, in parte dell’Anonima Sarda, lucidi e determinati nel portare a casa l’obbiettivo del riscatto. Fin dal primo momento la famiglia Soffiantini si dichiara pronta a pagare l’importo voluto. Anche in questa vicenda come in altri sequestri (ad. esempio quello di Silvia Melis) le cose precipitano a causa della ignorante fermezza da parte dello Stato nel non voler cedere di fronte ad un riscatto. Cosa che indusse la famiglia e lo stesso Soffiantini in alcune sue lettere a criticare aspramente il blocco dei beni, denunciando la complicità e la responsabilità di una parte dello Stato nella sua eventuale morte. Il blocco regolato da una legge del 15 marzo 1991 (anche se di fatto quanto legiferato nel ’91 avveniva già nel 1976).

Le denunce fatte riguardavano l’inutilità di legare la vita di una persona alla fermezza dello Stato come disse il padre di Silvia Melis: “Quando c’è di mezzo la vita di un ostaggio, quando l’ostaggio è letteralmente sulla graticola, porsi problemi meramente giuridici non ha senso alcuno; c’è bisogno di un gesto umanitario che consenta alla famiglia di chiudere al più presto la trattativa e di riportare a casa il rapito.”

L’intervento da parte dei reparti speciali arriva dopo una decisione presa durante i primissimi giorni dell’ottobre 1997, a cui parteciparono: la Procura di Brescia, gli investigatori Ros, Sco, Criminalpol lombarda, squadra mobile e carabinieri di Brescia.

Il tentativo da parte dei Nocs di sorprendere i banditi mentre avrebbero preso i borsoni che contenevano banconote false si rivelò rocambolesco. Era il 17 ottobre 1997, il tentativo lascio a terra un agente speciale.

Lo stesso figlio del rapito ebbe a dire che: “Avrebbero dovuto pagare i 10 miliardi di riscatto” dichiarando ancora: ”Non sapevamo nulla – dice il figlio Carlo al telefono – di quanto stava facendo la polizia. Ci dispiace per la morte di quell’agente. Ma speriamo che quanto accaduto non comprometta la liberazione di nostro padre. La nostra vicenda era in via di soluzione, ieri dovevamo avere un contatto per pagare il riscatto, ma siamo stati bloccati e ci sono stati sequestrati tutti i soldi per il pagamento.”

Eppure per arrivare all’appuntamento di venerdì c’erano voluti tre mesi abbondanti di trattative, lettere dei rapitori giunte ad amici e parenti dei Soffiantini. Una prima lettera dieci giorni dopo il sequestro, arrivò anche a monsignor Gennaro Franceschini, parroco di Manerbio: 20 miliardi la richiesta poi portata a 10. A partire da settembre erano seguiti due contatti andati a vuoto: uno in Liguria, vicino a Savona, l’altro al confine tra l’Emilia e le Marche.

Più volte l’Anonima fece sapere di “far togliere dai piedi la polizia”. Un messaggio, quest’ultimo, giunto fin dal primo tentativo di contatto, quando un emissario della famiglia girovagando in settembre per la Liguria era stato seguito a sua insaputa dalle auto-civetta dei Nocs. Al suo ritorno era seguito un altro avvertimento: “Sappiamo che c’è la polizia di mezzo, vi avevamo detto niente polizia, fateli venire che ci divertiremo”. Tanto per chiarire che non erano affatto preoccupati di un’eventuale scontro. E così il figlio maggiore di Soffiantini, aveva rotto il silenzio stampa per ricucire disperatamente il rapporto con i rapitori del padre.

Il mese successivo fecero pervenire un primo lembo di cartilagine dell’orecchio sinistro alla famiglia ed una lettera al Tg5, successivamente un’altra lettera venne inviata allo stesso telegiornale. Questa venne recapitata e letta il 25 Gennaio al Tg5 della sera, con il solito Mentana che cercava di bucare lo schermo con tanto di pathos da giornalista tristemente felice di avere nelle sue mani lo scoop.

Il blitz per recuperare i soldi del riscatto ha luogo sul ciglio della strada all’altezza di Riofreddo, tra il Lazio e l’Abruzzo nella notte del 17 ottobre 1997. All’atto della presa delle borse con i soldi, Mario Moro sentii un fruscio che proveniva dagli alberi circostanti e fece partire una raffica di kalashnikov in quella direzione. Seguirono altri spari da parte dei Nocs in risposta al fuoco. A quel punto i banditi scapparono lasciando a terra le borse ed il kalashnikov. In mezzo agli alberi rimase l’agente Donatoni che morì dissanguato.

Lo stesso Moro con altri due banditi si trovò in trappola qualche giorno dopo la sparatoria, anch’esso venduto dalle parole di un componente della banda, tale Agostino Mastio, che intercettato grazie al cellulare viene arrestato il 19 ottobre vuotando il sacco davanti agli investigatori consegnando i compagni alla polizia. Infatti il 21 ottobre in una galleria di Tagliacozzo sull’A24 direzione Roma, in autostrada vengono arrestatati Broccoli, Sergio e appunto Moro, latitanti da giorni in mezzo ai boschi dalla sera del fallito blitz.

Saliti sull’auto guidata dal giuda Agostino Mastio, all’entrata della galleria di Tagliacozzo, vennero fatte esplodere delle cariche denominate flash bang (utilizzate per stordire i banditi creando in questo modo smarrimento e confusione) l’auto viene speronata da due vetture degli agenti: Moro si getta fuori impugnando un revolver, gli uomini del Nocs sparano e lo colpiscono alla colonna vertebrale. Morì nel carcere di Opera dopo una lunga agonia il 14 Gennaio 1998.

La storia riguardante il blitz delle teste di cuoio, decretata dalle deposizioni degli agenti e di conseguenza dai tribunali, ha fatto in modo che nel 2000 nel processo istruito dal pm di Roma, Franco Ionta, condannò i 19 sequestratori di Soffiantini anche per l’omicidio (concorso morale) di Donatoni: il colpo mortale, secondo quel processo, sarebbe stato esploso dal kalashnikov di uno dei banditi in particolare Mario Moro.

Nel 2005 ci fu una seconda sentenza con cui la quarta corte d’assise di Roma, presieduta dal giudice Mario Almerighi, assolse dallo stesso reato il ventesimo bandito (Giovanni Farina arrestato più tardi a Sidney e quindi processato separatamente).

Secondo i periti della 4/a corte di assise di Roma, Gerardo Capanesi, Antonio D’Arienzo e Stefano Moriani, l’ispettore dei Nocs morì per uno choc emorragico conseguente a lacerazione della aorta e fu colpito da un solo proiettile. Secondo gli esperti nominati dal collegio presieduto da Mario Almerighi, la vittima, quando fu colpita, si trovava in una posizione raccolta, mentre chi sparò si trovava alla sua sinistra. In base alle conclusioni dei periti il proiettile fu sparato dal basso verso l’alto: il colpo raggiunse Donatoni alla coscia e uscì dal petto. L’agente dei Nocs non fu ucciso da Moro ma fu vittima di fuoco amico. Questa seconda sentenza che, nonostante l’impugnazione del pm Ionta, venne confermata sia in Appello sia in Cassazione, arrivava anche all’inquietante conclusione che le forze dell’ordine operarono una sconsiderata attività di inquinamento probatorio.

La Corte d’Assise, il 9 novembre 2006, dispone l’invio degli atti alla Procura di Roma che dovrà valutare se aprire un’indagine su «depistaggi,gravi attività e omissioni, inquinamenti probatori e false e reticenti dichiarazioni testimoniali» rese dai colleghi dell’ispettore Donatoni. Secondo la stessa Corte ci fu una «precisa volontà di nascondere la verità fin dal momento in cui Donatoni venne colpito». 

La Corte nelle motivazioni della sentenza evidenzia che Donatoni oltre che essere vittima del “fuoco amico”, fu vittima anche di mancato soccorso. A giudizio del presidente, Almerighi, infatti, l’autore dello sparo «evidentemente si allontanò immediatamente dal posto omettendo anche di soccorrere il compagno da lui colpito e costringendo, forse con la complicità di chi altro gli stesse vicino, gli altri Nocs, ad una ricerca del corpo di Donatoni che durò 15 lunghissimi minuti». 

Nelle motivazioni si ricorda anche la testimonianza resa al processo da Nicola Calipari, che nel 1997 era dirigente della Criminalpol, ribadì quanto gli fu detto dai Nocs, e cioè che «la sparatoria avvenne nella zona del ponticello, dove vennero rinvenute le macchie di sangue e non nella zona riguardante lo scambio di colpi di fuoco tra Moro e uno degli agenti dei Nocs». «Si dimostrerà in seguito – si legge nelle motivazioni – che fu proprio in quella zona che Donatoni venne colpito» Claudio Sorrentino e Stefano Miscali, agenti dei Nocs sono stati rinviati a giudizio per reati che vanno dalla calunnia e falsa testimonianza, per aver mentito coprendosi a vicenda sul “fuoco amico” ai danni del loro collega, mentendo spudoratamente sul coinvolgimento di Mori e gli altri nella vicenda.

Ritornando alla storia del tentativo da parte dei Nocs di arrestare i rapitori nell’ottobre del ’97, è di questi giorni la notizia che ci sono due rinviati a giudizio da parte della Procura di Roma per la morte dell’agente Stefano Donatoni.

I Pm di Roma hanno ottenuto il rinvio a giudizio dei due “super poliziotti” che quella notte erano con Donatoni, Claudio Sorrentino e Stefano Miscali, con accuse che vanno dalla calunnia alla falsa testimonianza. Secondo le indagini Miscali avrebbe risposto al fuoco dei banditi con la sua arma, pare senza prendere la mira, ammazzando così il collega. Per quanto riguarda la calunnia: “Miscali incolpava falsamente i sequestratori, sapendoli innocenti”. Il processo inizierà il 19 ottobre.

Nella maggior parte di queste situazioni le informazioni più importanti riguardo le dinamiche delle azioni vengono taciute e la stampa non fa altro che accodarsi a ciò che viene detto in conferenze stampa dalle stesse forze dell’ordine. Se poi ci scappa il morto tra sequestratori, sequestrati o vittime innocenti, si mettono in moto tutta una serie di meccanismi atti a creare una cortina di ferro intorno alle modalità dell’accaduto. Quando invece i morti sono tra le forze dell’ordine, ecco che tutto converge sulla ricerca di un capro espiatorio.

In questo caso invece colpisce il fatto che non vi sia un limite al si salvi chi può, finanche da parte di questi agenti cosi detti “scelti”. Manco l’onestà di assumersi la responsabilità della morte di un loro collega, meglio accollare tutto ai cattivi banditi, tanto accusa più accusa meno che problema c’è. E poi dalla loro hanno avuto l’omertà di altri componenti del reparto scelto, a distanza poi di anni si sa che le eventuali accuse si riducono, infatti se mai qualcuno dovrà rispondere di qualcosa non lo farà certo per l’accusa di omicidio colposo perché prescritta.

 

Di seguito le registrazioni del blitz rese pubbliche qualche giorno fa:

https://www.youtube.com/watch?v=h0ZCElA0FK0 I Nocs si avvicinano al bivio di Riofredd. I Nocs avvistano il segnale dei rapitori.

https://www.youtube.com/watch?v=ug_IfSzcsOk I Nocs leggono le istruzioni dei rapitori. I Nocs posizioni le borse esca con il denaro.

https://www.youtube.com/watch?v=RTpjOUexsY0 Inizia l’avvicinamento della squadra che deve catturare i rapitori. L’attesa e il conflitto a fuoco.

https://www.youtube.com/watch?v=dHII0ssToNI Iniziano le ricerche di Samuele Donatoni. Il corpo dell’ispettore viene ritrovato.

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