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Diamo voce al dissenso

Ai più non è chiaro che oggi stiamo assistendo, sia in Italia sia in Europa, a una criminalizzazione del dissenso politico

Riprendiamo l’articolo di osservatoriorepressione di Marco Sommariva*:

La curatrice del libro Carcere ai ribell3Nicoletta Salvi Ouazzene, è un’attivista del Comitato “Mamme in piazza per la libertà di dissenso”, nato nel 2016.

Il Comitato nasce per iniziativa delle mamme di alcuni dei ventotto giovani attivisti e attiviste torinesi, sottoposti a misure cautelari in seguito alle denunce per fatti legati alla lotta NoTav della vicina Valsusa, e alle lotte studentesche e sociali praticate in città: opposizioni agli sfratti e occupazioni di stabili per svolgere attività del protagonismo giovanile o per l’accoglienza di famiglie senza casa.

Attraverso le vicende di figli e figlie è nata la presa di coscienza politica di queste madri – alcune già attiviste, altre invece che non s’erano mai interessate di politica – tutte consapevoli di vivere in una società sempre più sbilanciata, in cui il dissenso e la protesta vengono fortemente repressi nel tentativo di far tacere qualsiasi voce contraria, mentre nel paese continuano a perpetrarsi forme di ingiustizia e discriminazione.

Il libro – edito recentemente da Multimage APS, un’associazione editoriale senza fini di lucro – racconta come questo collettivo ha condiviso e vissuto, per anni, le storie di attivisti e attiviste finiti in carcere a causa del loro impegno per un mondo più giusto.

Sono molti gli aspetti interessanti messi in risalto da queste pagine, su cui sarebbe meglio soffermarsi a ragionare

Purtroppo, ai più non è chiaro che oggi stiamo assistendo, sia in Italia sia in Europa, a una criminalizzazione del dissenso politico, a un deciso giro di vite che sta colpendo, per esempio, il movimento di solidarietà per la Palestina o le proteste per la giustizia climatica o contro le grandi opere.

Non a caso, uno degli aspetti cruciali che emergono come elemento comune dal rapporto che Amnesty International ha lanciato nel luglio del 2024, sullo stato di salute del diritto di protesta in ventuno paesi europei, è l’attacco senza precedenti al diritto di manifestare pacificamente in Europa dove, con sempre maggior frequenza, le manifestazioni pacifiche sono state disperse attraverso un uso eccessivo e non necessario della forza.

Ma il problema è più esteso: l’uso della forza s’accompagna a una tendenza generalizzata all’impunità diffusa per quanto riguarda le violazioni delle forze dell’ordine durante le proteste, spesso anche per la mancanza di meccanismi di inchiesta indipendenti.

Uno dei tanti rischi che stiamo correndo è che questo insieme di misure e strumenti repressivi stanno creando un progressivo “effetto intimidatorio” che frena la partecipazione alle proteste.

Anche in Italia, che fa parte dei paesi analizzati dall’approfondita ricerca di Amnesty International, lo stato di salute del diritto di protesta e al dissenso versa in condizioni estremamente precarie.

Tra gli aspetti più preoccupanti di questa tendenza autoritaria, riscontriamo il grave incremento nell’utilizzo e l’estensione dell’ambito di applicazione delle misure amministrative di prevenzione – in particolare “DASPO urbano” e “foglio di via” – ai danni di attiviste e attivisti pacifici e sindacalisti, ma non solo di questi.

La gravità di queste misure cautelari si fonda sul fatto che vengano emesse sulla base di una valutazione vaga e non ben precisata di “pericolosità sociale”, molto spesso dedotta da segnalazioni di polizia non fondate su un esame individuale delle circostanze specifiche né su procedimenti penali né su condanne di alcun tipo.

Come racconta l’avvocato Novaro, uno dei legali della difesa delle vicende riportate su queste pagine, in tutti gli episodi esaminati in questo libro la decisione finale, sia che si tratti di provvedimenti emessi dal tribunale di sorveglianza in sede esecutiva sia che si tratti di ordinanze cautelari, muove al di là dei diversi criteri disposti dal legislatore che sovrintendono alle differenti valutazioni, perché si è partiti dal presupposto che si stava trattando di soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica.

Per questo è stato possibile che si arrivasse alla carcerazione pur in presenza di fatti e condanne di lieve entità.

In pratica, si è dovuto fare i conti, e ancora lo si deve fare, con una delle principali risposte giudiziarie a fronte di fatti non gravi connessi alla protesta sociale: la pena detentiva.

Fra le tante cose, Carcere ai ribell3 ci racconta anche qual è il sapere che porta la polizia alle segnalazioni prima citate. È il frutto di anni di pervasivo monitoraggio delle aree politiche più radicali e impegnate nella protesta, un prodotto che diviene la fonte centrale, molto spesso l’unica, a cui la magistratura guarda per calibrare le proprie decisioni: capita sempre più di frequente che l’architrave della costruzione accusatoria sia costituito proprio da schede compilate e annotazioni trascritte dalla polizia.

Si può immaginare quale sia l’approccio a questo genere di segnalazioni, funzionale alle esigenze di repressione; per cui, si sprecherà l’amplificazione a dismisura dei fatti e dell’importanza del ruolo ricoperto dai diversi protagonisti che dovranno risultare come nemici dell’ordine costituito e socialmente pericolosi.

Per l’ordine costituito è un lavoro importantissimo: non si tratta solo di un’allergia alla protesta sociale, di una volontà di silenziarla e neutralizzarla, ma di una vera e propria messa in campo di strategie di tipo preventivo, dissuasivo che alimentino la disaffezione alle forme di lotta collettive.

Quanto leggiamo su questo libro è, appunto, che la protesta sociale non è una risorsa ma un pericolo per l’ordine costituito, e coloro che se ne fanno portatori sono dei soggetti ostili, riprovevoli, da sanzionare.

I diversi provvedimenti giudiziari attuati costituiscono un tassello importante per quel processo di costruzione sociale del nemico di cui il potere ha sempre bisogno, fungono da rassicurazione collettiva.

Questo libro dà la parola ai protagonisti dei provvedimenti repressivi, attraverso la raccolta di loro testimonianze capaci d’iniziare a destrutturare la narrazione distorta ormai imperante perché, come in altri paesi europei, pure in Italia la criminalizzazione dell’attivismo pacifico passa anche attraverso una narrazione mediatica tossica, poi strumentalizzata per approvare leggi che restringono in maniera progressiva il diritto di protesta.

Spesso, a essere attaccata direttamente è la disobbedienza civile, sempre più modalità d’azione di gruppi per la giustizia ambientale.

Chiudo con due estratti dal libro Elogio della disobbedienza civile di Goffredo Fofi, edito da Nottetempo nel 2015.

Questo il primo: “Un’ingiustizia subita o vista subire da altri è una forma di violenza che, dice Thoreau e insiste Gandhi, non va accettata e a cui è doveroso ribellarsi. La differenza tra Thoreau e Gandhi comincia con il discorso sui mezzi. Thoreau non esclude affatto […] il ricorso ai mezzi violenti; Gandhi […] si è limitato a dire che soltanto in casi davvero estremi, il ricorso alla violenza può essere giustificato (ma entrambi hanno anche affermato che peggio del violento è l’ignavo, il vigliacco)”.

E questo il secondo: “Quel tanto di disobbedienza civile che ancora oggi si pratica, nonostante tutto, nel nostro paese, è visto con fastidio dall’ex sinistra, e lo spettro dei pochi facinorosi […] serve per vituperare e reprimere i giusti, coloro che hanno osato e ancora osano dire no a leggi inique, a imposizioni autoritarie. Fino al paradosso di aver visto, come nel caso dei no-Tav della Val di Susa, schierati da un lato tutti i sindaci della zona, “in borghese” e con tanto di fascia tricolore e ovviamente disarmati, e dall’altro poliziotti e celerini senza volto e dalle figure deformate da scudi e visiere, armati di fucili e manganelli e grappoli di bombe lacrimogene. Dov’era lo Stato, in quel caso? Chi era lo Stato?”

Un’ultima cosa: i proventi del libro andranno alla cassa di solidarietà delle “Mamme in piazza per la libertà di dissenso”, per sostenere le attività a favore delle persone private della libertà, tipo l’acquisto di libri, riviste, abbonamenti a quotidiani, ventilatori, sostegno a detenuti/e indigenti, eccetera.

*scrittore sul sito  www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni

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pubblicato il in Divise & Poteredi redazioneTag correlati:

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