L’ASL di Torino si preoccupa dell’inagibilità dello stabile di corso Regina Margherita 47: chi c’è dietro tanta solerzia?
A seguito dell’avvio del percorso per fare diventare Askatasuna “bene comune” siamo venuti a conoscenza, attraverso i media, di un fatto particolarmente anomalo. L’Asl di Torino, nella persona di Roberto Testi, aveva inviato un giorno prima in Procura una relazione che richiedeva il sequestro dell’immobile. Relazione che alcune settimane prima era già stata inviata in Comune il quale, attivando il percorso del “bene comune”, aveva già ovviato de facto alle questioni sollevate. Nello specifico nella perizia di Roberto Testi viene identificato il presunto abbattimento di strutture portanti all’interno dell’immobile, come principale argomentazione per dichiarare l’inagibilità. Eppure, a seguito di uno sguardo ad opera di ingegneri qualificati, non è stata verificata tale “presunzione”, perché effettivamente non sono state toccate strutture portanti. Un’ipotesi probabilmente strumentale che però sarebbe dovuta essere la prova schiacciante per avvallare i tentativi della Questura e della Procura di Torino. Dunque sorge spontanea la domanda in merito a tale solerzia dell’Asl, nonostante fosse di dominio pubblico da settimane quanto stava accadendo attorno alla questione Askatasuna, perché sollecitare lo sgombero invece di attendere lo svilupparsi dell’iniziativa istituzionale ed al limite la conclusione dei lavori?
Appare assai strano che, alla luce dello stato in cui versa la sanità torinese, l’ASL abbia proprio il sequestro di Askatasuna in cima alle proprie priorità. Proprio in questi giorni le prime notizie sulla cronaca locale riguardano gli scioperi nel settore sanitario per mancanza di personale e i tagli del governo ai fondi del Pnrr previsti per mettere in sicurezza gli ospedali.. A partire da questa domanda abbiamo cercato di vederci chiaro e la ragnatela di rapporti di potere che ci sembra di poter rintracciare ci può dare una probabile risposta a questa anomalia.
PARTE I Dipaniamo la matassa.
Per dipanare il bandolo partiamo dall’apparente protagonista, cioè il Dottor Roberto Testi, attualmente tra le altre cose direttore del Dipartimento Prevenzione dell’ASL dal 2019. Il Dott. Testi è un noto medico legale con alle spalle più di 4mila consulenze per i vari uffici giudiziari, oltre tremila autopsie effettuate di cui 150 casi di omicidi. Ha lavorato a molti dei più noti fatti di cronaca nera della storia italiana a partire dai delitti di Cogne e Garlasco. Appassionato fin da giovane di parapendio e a quanto si mormora con frequentazioni nella destra piemontese. Il Dottor Testi è uno storico consulente della procura nonché consulente di fiducia dell’ex PM anti-notav Antonio Rinaudo, ma su questo ci torneremo più avanti. Come si può facilmente immaginare, dato il suo ruolo di medico legale, negli anni prima di diventare direttore del Dipartimento Prevenzione ha sviluppato fitti rapporti in Procura e Questura. Negli ultimi anni però è salito all’onore delle cronache non tanto per il lavoro sul campo durante le indagini, quanto per il suo ruolo nella gestione della pandemia di Covid in Piemonte.
I mesi del lockdown: tra scandali e ipocrisie.
Ricordiamo tutti i primi mesi del lockdown del 2020, piena pandemia, grande difficoltà a reperire informazioni ma c’era anche chi ha colto l’occasione per occupare posti di rilievo, facendosi scivolare addosso le responsabilità di quel che stava accadendo. E’ il caso del dottor Testi, all’interno dell’Unità di Crisi convocata per gestire l’emergenza sanitaria, finito al centro della bufera in particolare su due questioni: la gestione delle Rsa e il tracciamento dei contagi.
“Gli anziani nelle RSA? Non prendiamoci la responsabilità diretta”
Per quanto riguarda la prima questione il dottor Testi è salito agli onori della cronaca per alcune sue dichiarazioni atte a scagionare le proprie responsabilità nella gestione dei casi covid nelle residenze per anziani, uno dei luoghi in cui il virus ha causato più vittime. Come viene riportato in un articolo apparso su Liberetà, Graziella Rogolino, segretaria regionale con delega alla Sanità e alle Politiche sociali dello Spi-Cgil, denuncia l’incapacità e l’inganno della Regione Piemonte nel rendere noti i dati sui decessi. “Il punto è che ci furono molti morti e pochi tamponi, rendendo impossibile accertare le cause dei decessi. La gestione della task force della Regione è stata caratterizzata dai ritardi, dai dispositivi di protezione individuale mai giunti, tamponi mai eseguiti e da dichiarazioni shock rilasciate ai giornali.”
Gli anziani nelle Rsa? “Non prendiamoci la responsabilità diretta”, sono state le parole di Roberto Testi in una mail rivolta all’Asl di Torino il 31 marzo, facendo chiarezza sull’obiettivo ossia allontanare da sé la responsabilità di quanto stava avvenendo nelle Rsa.
Anche su Repubblica rimbaza la notizia e viene riportata la dichiarazione di Roberto Testi: “Osservo solo che il concetto di responsabilità diretta sui casi in RSA, ospedali, aziende e comunità è esattamente quello che sto cercando di evitare con vari provvedimenti dell’Unità di crisi” . In sostanza il vertice di un organismo creato per fronteggiare una drammatica crisi sanitaria cerca di allontanare da sé la responsabilità di quanto avviene nelle centinaia di residenze per anziani sparse nel territorio piemontese.
Inoltre, scrive in merito ai suoi provvedimenti che “sicuramente faranno incazzare medici competenti, distretti, Usca, ecc” . E questo perché “per ora le indicazioni sono di evitare il più possibile coinvolgimenti diretti in tali ambiti”. Aggiunge poi: “Non vorrei sembrare antipatico, ma non siamo riusciti a gestire 1.000 quarantene. Non oso pensare che cosa succederebbe prendendo la diretta gestione di circa 40 mila tra ospiti delle strutture socio assistenziali e operatori sanitari”. L’Unità di crisi non è in grado di fronteggiare il dramma che si sta consumando in quelle stesse ore dietro i cancelli chiusi delle RSA, ma anzi, teorizza che è meglio non “assumersi la responsabilità diretta” di quel che sta accadendo. Testi non è l’unico a pensarla in questo modo. Lo stesso assessore regionale alla sanità, Luigi Icardi, dichiara il 9 aprile: “Non vogliamo scaricare nulla su nessuno ma le residenze sono strutture private che hanno un loro direttore sanitario e amministrativo”.
Da lì in avanti si sono susseguiti comunicati stampa della Regione in cui Alberto Cirio cercava di scagionare Testi, provando a parare i colpi fondando una task force per la fase 2 della pandemia. Nel frattempo durante una conferenza stampa dell’Unità di Crisi Testi, accompagnato dal suo amico di lunga data Antonio Rinaudo, metteva in evidenza che “un’emergenza come questa nessuno se la poteva immaginare, si è dovuto adattare la strategia giorno dopo giorno. Sono arrivate critiche che hanno fatto male, perché non me le aspettavo da colleghi medici e ci siamo sentiti colpiti alle spalle da chi avrebbe dovuto essere con noi a combattere”.
L’8 aprile l’Ordine dei Medici scriveva un documento che sosteneva “nelle RSA morti evitabili”. Il sindacato dei medici ospedalieri Anaao scriveva poi un comunicato in cui rispondeva alle accuse di Testi, sottolineando come “Il senso dell’Onore dell’Unità di crisi ai tempi del COVID-19 è una frase che non immaginavamo di poter sentire”, riferendosi a quanto detto in conferenza stampa dal medico.
Riportiamo alcuni passaggi del comunicato in cui vengono evidenziate alcune contraddizioni di fondo :
“Negli ultimi anni tutte le Giunte che si sono susseguite hanno inflitto tagli pesantissimi al Sistema Sanitario Regionale. Sono stati ridotti i posti letto (1.560 posti letto dal 2010) ed il numero dei medici ospedalieri (515 dal 2010). Sono stati accorpati laboratori perseguendo il dogma dell’efficientamento. Molti servizi sono stati praticamente appaltati e gestiti da medici a gettone. In Piemonte, prima dell’epidemia, i posti letto in Rianimazione, erano, rispetto alla popolazione, il 30% in meno. E se le responsabilità vanno distribuite negli anni, a chi sta governando ora ricordiamo che essi avevano minacciato un nuovo piano di rientro, sottolineando ripetutamente l’importanza della sanità privata. Senza aver riaperto o potenziato nulla della Sanità Pubblica.
Ora però dobbiamo essere tutti orgogliosi; abbiamo riscoperto un senso dell’onore perduto. Detto dai pazienti può essere motivo di soddisfazione; detto da chi gestisce il comitato tecnico scientifico dell’Unità di Crisi no.
In un italiano incerto il Dott. Testi afferma:
“sono arrivate critiche però che mi hanno fatto male perchè sono arrivate critiche… dai colleghi.. da quei medici che… dai quali non mi aspettavo critiche fatte senza essere sul campo (sic!) …mi spiego: ci siamo sentiti un po’ colpiti alle spalle in battaglia dalle persone che avrebbero dovuto essere con noi a combattere”
e ancora:
“…quando si parla di colleghi credo che non ci si possa mettere a fare la discussione sulla colpa dei SISP, sulla colpa dei medici di base e sulla colpa degli ospedali”.
Per essere chiari: NOI eravamo sul campo. Noi siamo entrati in stanze con 3 o 4 pazienti COVID positivi con le maschere chirurgiche, mentre all’unità di crisi si utilizzavano gli autorespiratori. Noi abbiamo aspettato a casa, sintomatici, il tampone per oltre 2 settimane. ….
Noi non diamo la colpa a quelli che erano sul campo. Diamo la colpa a voi che dovevate dirigere da dietro una scrivania. Che dovevate dare i camici idrorepellenti e i DPI agli operatori sanitari ed i caschi CPAP ai pazienti. Che dovevate sorvegliare le RSA invece che trasformarle in obitori.
In battaglia ci vanno da sempre solo i soldati, non i generali. NOI siamo stati colpiti alle spalle, ancora una volta.
Si, secondo noi si poteva fare molto di più.
Per esempio il Dott. Testi poteva evitare di parlare di orgoglio, facendo la figura dell’uomo d’onore qual è il Bruto descritto da Shakespeare, dopo che ha appena accoltellato Giulio Cesare.”
firmato:
Chiara Rivetti
Segretaria Regionale Anaao Assomed Piemonte
Gabriele Gallone
Esecutivo Nazionale Anaao Assomed
Le falle di questo sistema, in particolare nella gestione dei contagi nelle RSA, si riscontrano relativamente a mancate attivazioni di servizi che sarebbero potuti intervenire. Ad esempio, come riporta un articolo apparso su Lo Spiffero, è dubbio il fatto che l’Unità di Crisi non avesse previsto l’attivazione delle commissioni di vigilanza sulle Rsa. A tal proposito Testi ha risposto che quell’organismo agisce una volta l’anno per la verifica delle situazioni amministrative e che sono altri gli organi che, semmai, possono essere chiamati ad intervenire, come i Nas.
L’articolo 26 della legge regionale 1-2004, però, tra i vari compiti della commissione indica proprio “la verifica ed il controllo dei requisiti strutturali, tecnici e gestionali, previsti per la tipologia di appartenenza dei servizi e delle strutture, dalle norme nazionali e regionali, nonché il controllo e la verifica della qualità dell’assistenza erogata nei confronti della generalità degli assistiti mediante indicazioni tecniche ed operative che consentano la revisione della qualità delle prestazioni e dei servizi per il miglioramento continuo degli stessi”. E quando, se non in circostanze come quella indicata già da fine gennaio con lo Stato di Emergenza Nazionale e con la successiva costituzione dell’Unità di Crisi, si sarebbero dovuti attivare quei controlli?
In questo caso intervenne anche l’ex pm Rinaudo, il quale ribadì la tesi già espressa da Icardi, secondo cui le strutture da tenere in considerazione erano quelle libere (particolare che però questo non emerga nell’atto) oppure in grado di garantire percorsi separati ai pazienti interni e a quelli infetti. E dunque la delibera secondo l’ex pm non avrebbe previsto controlli in strutture piene laddove si sono verificati i peggiori cluster nel picco della pandemia. Lo stesso Rinaudo racconta piuttosto le difficoltà negli approvvigionamenti, in particolare dei dpi e dei tamponi. Se per Testi, però, i tamponi erano chiacchiere da bar, per l’ex pm “le critiche sono state fondate sulla sabbia” perché “o le critiche hanno riscontri oggettivi o si parla a vanvera”.
“Travolti da uno tsunami”.
Approdiamo così alla seconda vicenda che ha visto come protagonista il dottor Testi durante il periodo del lockdown: il famoso episodio delle centinaia di mail perse in cui i pazienti segnalavano le proprie condizioni a rischio e non hanno ricevuto risposta, né sono state gestite in tempo in modo da attivare tracciamento e disporre i tamponi a livello territoriale. Questa vicenda ha creato gravissimi disagi nell’operazione di contact tracing, causando situazioni paradossali e drammatiche, come fu il caso del padre della ex vicesindaca di Alpignano, chiamato per effettuare il tampone una settimana dopo il suo decesso.
In un’intervista rilasciata a TPI il dottor Testi spiega i motivi di queste mancanze, in particolare rispetto all’incapacità del SISP (che deriva direttamente dall’ASL unica di Torino, di cui è responsabile il dottor Testi) di gestire le richieste.
Ne riportiamo alcuni passaggi:
“Nella vita faccio il medico legale, sto parlando di un servizio che non è neanche il mio, quindi avrei potuto semplicemente dire ‘rivolgetevi all’Asl di riferimento’. Ma posso dire che è successa la cosa più comune in un disastro come questo: sono arrivate talmente tante mail che hanno superato la capacità della casella. Quando abbiamo scaricato la posta, le altre mail non sono arrivate perché erano state rimandate indietro. Per cui qualche persona ha dovuto rimandare le mail una/due volte. Tutto questo è capitato a un servizio di igiene e sanità pubblica il cui compito è chiamare la gente e dire di rimanere a casa”.
Rispetto alle domande che riguardano l’uso dei tamponi e la loro utilità il dottor Testi risponde così:
“Il tampone non guarisce le persone. Serve solo eventualmente a tranquillizzare le persone o a indirizzare l’isolamento di quella persona. Questo è importante e va fatto. Ma non è un’urgenza. Da quando io autorizzo un tampone, a quando viene fatto, passano due giorni. Ormai dopo i primi giorni nessuno si preoccupa più del tampone per un paziente che arriva in insufficienza respiratoria in ospedale, perché a questo punto se è un Covid i medici lo sanno già.”
Testi risponde anche in merito al caso Franzò, padre dell’ex vicesindaca di Alpignano: “È un’altra Asl rispetto alla mia, ma è una cosa inaccettabile. È probabile, anzi sono certo, che è accaduta una cosa simile anche da me. L’unica cosa di cui sono sicuro, è che quel signore non è morto perché non gli hanno fatto il tampone.”
Quindi non crede che il paziente se avesse saputo di avere il Coronavirus si sarebbe fatto ricoverare prima in ospedale, invece di arrivare in quelle condizioni?
“Non c’è un lavoro in letteratura che corredi la precocità del trattamento e della diagnosi con il decorso della malattia. Purtroppo la malattia è bastarda e si presenta in modi diversi. Voglio dire che se il tampone fosse uscito positivo, probabilmente il medico di base gli avrebbe detto comunque di restare a casa e andare in ospedale solo quando peggiorava. Quanto accaduto con le mail è grave per il fatto che non rispondere alla gente lascia le persone nell’ansia. È la cosa che a me dispiace di più. Abbiamo sbagliato e bisogna dirlo. Ma sono certo che non c’è stato un danno.”
E’ evidente che il dottor Testi non avesse alcuna intenzione di assumersi le responsabilità di quanto accaduto.
Dalla dichiarazione di emergenza nazionale passarono più di due mesi e il cumularsi di falle e disservizi nel sistema piemontese per varare, alla vigilia di Pasqua, la piattaforma telematica. Uno strumento con cui cercare di rimediare a quelle “sparizioni” delle richieste di tamponi e presa in carico delle segnalazioni da parte dei medici di medicina generale che, a detta del presidente del Comitato tecnico scientifico Roberto Testi, “possono aver creato un disservizio all’utenza ma non un reale problema dal punto di vista clinico”.
L’articolo de Lo Spiffero risporta anche le reazioni da parte di altri professionisti del settore a seguito della sparizione delle mail.
La versione del segretario del principale sindacato dei medici di famiglia dà un’altra versione di questo organismo in seno alla Asl, il SISP. “Così non ne usciamo”, commenta Venesia di fronte alle affermazioni di Testi. “In base all’articolo 26 del decreto del 14 marzo quando il medico sospetta che ci sia la possibilità di un caso positivo al coronavirus ha l’obbligo di segnalarlo al Sisp. Per legge il Sisp deve attuare il monitoraggio del paziente, decidere se fare o meno il tampone e nel caso il tampone sia positivo spetta ancora al Sisp provvedere ai successivi due tamponi per verificare l’avvenuta guarigione”. Quanto ai tamponi richiesti e non fatti, perché le segnalazioni sono andate perse o per altre ragioni, il segretario della Fimmg sostiene: “Se dovevano essere fatti e non sono stati fatti, questa è omissione d’atti d’ufficio”.
Per concludere sulla vicenda, ricordiamo che venne fatta un’interrogazione parlamentare di Fratoianni (Sinistra italiana) sulle mail perse. Le scuse di Roberto Testi riguardarono la carenza di personale.
“Come se un bagnino da solo andasse incontro allo tsunami- spiega – Quando ho notato che c’erano più mail inviate dallo stesso paziente che a volte telefonava direttamente al Servizio, sono intervenuto ampliando la capacità della casella postale e inserendo più personale”.
In seguito alle proteste l’area della prevenzione del Sisp l’8 aprile è stata commissariata e le comunicazioni dei medici vengono caricate sulla piattaforma informatica del Csi. D’altro canto l’ex pm Rinaudo scagiona con facilità l’amico è così l’organismo che sovrintende in Piemonte l’emergenza Coronavirus si autoassolve. Sui tamponi “non si poveva fare di più”. Passa poi a parlare delle sue sventate truffe sugli approvvigionamenti.
In pochi si sono chiesti cosa ci facesse un medico legale esperto in scene del crimine a capo del comitato scientifico dell’Unità di Crisi: non sarebbe stato più indicato in quel ruolo un epidemiologo o comunque qualcuno che si fosse già occupato di temi di questo genere?
Ci viene da aggiungere infine che, in questo caso, il dottor Testi mancò un po’ di solerzia, mentre per altre situazioni, probabilmente sollecitato dalle sue vecchie amicizie, ha agito con maggior tempestività ed efficacia. Ci vengono in mente alcuni esempi relativi alle lotte sociali o a situazioni di profonda sofferenza sociale.
I precedenti del dottore nell’ambito delle lotte sociali.
Passiamo ai mesi del 2021 in Val di Susa. Durante lo sgombero del presidio di San Didero dell’aprile 2021 una compagna notav viene colpita all’occhio da un lacrimogeno lanciato ad altezza uomo causandole gravi danni e diversi interventi maxillo-facciali.
Pochi mesi dopo, a seguito della visita dell’ex ministra degli Interni, Vittoria Lamorgese, del Capo della Polizia, del Questore e del Prefetto per parlare di “violenze in Val di Susa” il quotidiano torinese La Stampa pubblica un articolo in cui viene data notizia che la consulenza medica, effettuata per conto della Procura su Giovanna neghi che sia stata colpita da un lacrimogeno, presentandola come fosse una verità assoluta e strategicamente data in pasto ai giornali compiacenti ancor prima di informare i legali di Giovanna.
Guarda caso il dottore che firmò la perizia era proprio Roberto Testi.
Riportiamo di seguito alcuni passaggi di un’intervista pubblicata su notavinfo alla legale di Giovanna.
La difesa di Giovanna non ha avuto alcuna comunicazione circa il deposito della consulenza del dr. Testi: “Non conosco le conclusioni del dr. Testi e sarò in grado di valutarle, unitamente ai miei consulenti, solo se e quando la Procura mi darà l’occasione di leggerle” sostiene il difensore, che aggiunge “so soltanto che Giovanna ha riferito di essere stata colpita da un candelotto lacrimogeno sparato a distanza ravvicinata ed ad altezza d’uomo e non ho ragione per non crederle. Tanto più che in Valsusa non è neppure la prima volta che accade. Mi auguro che questa volta la Procura non voglia alimentare il già lungo elenco di procedimenti penali avviati da manifestanti per le violenze commesse dalle Forze dell’Ordine ed archiviati con motivazioni le più svariate e che non fanno onore alla magistratura”.
In un articolo sulla vicenda pubblicato da notavinfo vengono sollevati alcuni dubbi:
1 Certo che il mondo è piccolo se l’ex pm anti No Tav e il medico legale che ha visitato Giovanna hanno lavorato per quasi un anno e mezzo a stretto contatto senza prendere in considerazione i precedenti rapporti in procura.
2 Certamente il Dottor Testi non è esattamente quello che si potrebbe definire un consulente indipendente dati i rapporti storici di cui sopra.
3 Casualmente una fuga di notizie che viola il segreto istruttorio rivela la consulenza al giornalista Massimiliano Peggio prima ancora che la legale della difesa ne abbia potuto prendere visione e proprio in occasione della visita del Ministro degli Interni e del Capo della Polizia a Torino. Il nome del Dottor Testi però non risulta nell’articolo, che parla generalmente di una consulenza che sconfessa quanto dichiarato da Giovanna. Che combinazione!
Magari anche in questo caso delle e-mail sono andate disperse per poi riapparire magicamente nella posta elettronica del giornalista. Miracolo!
Il dottor Testi ritorna anche in un altro caso importante a Torino, ossia il decesso di Andrea Soldi, malato di schizofrenia morto a seguito di un TSO. Secondo Roberto Testi “La causa del decesso del paziente non può essere stata la presa per il collo. In nessun caso. Se strangoli qualcuno, la morte è immediata. Altro che venti o trenta minuti”. Testi in questo caso è il consulente tecnico di una delle quattro persone coinvolte nella morte di Soldi (lo psichiatra Pier Carlo Della Porta) indagato per la fine di Andrea Soldi, come viene riportato in un articolo su LaVoce.
Dopo 7 anni si è chiusa la vicenda giudiziaria con quattro condanne per la morte di Andrea Soldi. La Cassazione ha respinto i ricorsi degli avvocati difensori, confermando così la colpevolezza dei tre agenti di polizia municipale (Manuel Vair, Stefano Del Monaco ed Enri Botturi) che materialmente eseguirono il Tso e del medico psichiatra Pier Carlo Della Porta che aveva in cura Andrea.
A voi le conclusioni.
Tra destra, Questura e Procura: il grumo di potere che vuole cancellare Askatasuna
Man mano che il percorso del “bene comune” avanza si rende più esplicito ed evidente un grumo di potere trasversale a diverse istituzioni che è ossessionato dalla priorità di cancellare Askatasuna, assunto a simbolo di un’esperienza collettiva che, piaccia o non piaccia, fa parte ormai da trent’anni del DNA della città di Torino.
Che l’Askatasuna sia un chiodo fisso per figuri come Maurizio Marrone o Augusta Montaruli non stupisce. Dopo anni ad inseguire il più bieco carrierismo politico ora hanno raggiunto posizioni di potere che gli permettono di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Nonostante le chiacchiere ipocrite su democrazia e legalità non possiamo dimenticarci la foto della Montaruli a Predappio mentre fa il saluto romano e la sua condanna per peculato. Ciò che li muove è puro rancore.
Un rancore che si incrocia con il carrierismo e, perché no, la sintonia ideologica di chi in Questura e Procura prova a scalare posizioni sulla pelle di un progetto collettivo. Non è un caso che nei giorni in cui la delibera per il “bene comune” veniva adottata abbiamo assistito all’ennesima militarizzazione del quartiere per garantire a quattro scappati di casa di Fratelli d’Italia un volantinaggio in una Piazza Santa Giulia vuota, sperando di provocare una reazione scomposta. Non è un caso che pochi giorni dopo sono arrivate nuove misure cautelari per un primo maggio di due anni prima. Si tratta di una cooperazione sempre più serrata tra la destra, una parte della Procura e della Questura per portare a casa il risultato tanto agognato. Quando se non ora, con un governo di destra-destra ed un Ministro degli Interni, Piantedosi disponibile a dare volentieri copertura politica e tecnica all’operazione.
Fino ad adesso, da due anni a questa parte, i molteplici tentativi di portare a casa lo sgombero o il sequestro sono andati a vuoto, tanto da trasformare la Digos di Carlo Ambra in un pool di ragionieri a caccia di scontrini e geometri a caccia di crepe. E’ qui che entra in scena dunque il Dottor Roberto Testi, che come abbiamo visto ha solidi rapporti in questura e procura ed in particolare con l’ex PM a caccia di no tav Rinaudo, ma che evidentemente è anche una figura “tecnica” di cui si avvale volentieri la destra piemontese. Ecco spiegata la solerzia, non si tratta di complottismo, ma di pura e semplice logica.
Vi può importare più o meno dei destini di Askatasuna, ma che rapporti di potere di questo tipo si muovano per imporre il proprio volere attraverso mezzucci e forzature dovrebbe inquietare tutti. Siamo certi che chi vuole cancellare l’Askatasuna non mollerà l’osso e dunque ne vedremo ancora delle belle, ma bisogna ricordare che dietro queste provocazioni c’è la ferma volontà politica di eliminare ogni forma di opposizione incisiva in una città, Torino, che non si arrende a queste dinamiche di potere.
PARTE II Parliamo di salute.
Ci sembra importante, a questo punto, approfondire e dare spazio alle voci di chi quotidianamente lavora nell’ambito sanitario. E’ interessante farlo in questo frangente perché pensiamo che molto spesso l’ordine delle priorità assuma della forme curiose, il caso che riguarda il centro sociale Askatasuna è paradigmatico rispetto agli attori in campo e alle forze coinvolte per raggiungere l’obiettivo della sua cancellazione. Il fatto che a sostegno del teorema della questura e della procura torinese sia stato aperto un capitolo che riguarda l’ambito della somministrazione e della sicurezza, chiamando in causa ASL, SPRESAL, Vigili del Fuoco, in maniera tale da ottenere l’inagibilità della struttura del centro sociale per poi chiuderla attuando una strategia soft, fa sorgere alcuni dubbi sugli interessi di questi ambiti. Soprattutto in una fase in cui vediamo carenza di fondi e personale, difficoltà da parte delle aziende sanitarie a garantire un servizio efficiente e, parallelamente, la pretesa affinché i lavoratori e le lavoratrici siano in grado di svolgere il loro compito adeguatamente nonostante ritmi e condizioni di lavoro degradanti. La sicurezza oggi viene invocata rispetto alle attività del centro sociale Askatasuna, mentre crollano i cantieri e muoiono gli operai per lacunose e critiche condizioni di sicurezza sul lavoro.
Per questi motivi abbiamo raggiunto due mediche ospedaliere del torinese, Chiara Rivetti e Silvia Giorgis, perché ci sembra interessante far prendere parola a chi da vicino conosce l’ambito sanitario, per dare spazio alle reali esigenze di medici e utenti, per comprendere se i nostri dubbi siano condivisi.
Ecco le questioni dalle quali vorremmo partire.
– Il concetto di salute oggi è relegato alla sfera del bilancio, della capacità o meno delle aziende sanitarie di sostenere il bisogno di salute, in un contesto in cui la sanità territoriale e la prevenzionenon vengono valorizzate. Ci sembra invece importante parlare di salute in senso olistico, dunque comprendendo tutti i fattori “ambientali e sociali” per fornire un quadro corretto. In questo senso, l’accesso a luoghi di aggregazione, di incontro, di socialità al di fuori delle logiche del profitto e del consumo può essere considerato un elemento che influisce nel determinare cosa è salute?
CR Assolutamente si . I luoghi di aggregazione che uniscono le comunità, le rendono vive, favoriscono le interazioni, gli scambi, il confronto, fanno bene alla salute.
Le dimostrazioni scientifiche in tal senso abbondano. Una revisione sistematica di più di 60 studi ha trovato una chiara associazione tra la solitudine e problemi di salute mentale in bambini e adolescenti, in particolare con depressione ed ansia sociale.
L’insegnamento delle prime fasi del Covid, dove il distanziamento sociale era necessario per evitare la diffusione del virus, è stato esemplare : le diagnosi di patologia psichiatrica negli adolescenti è decuplicata in 10 anni, mentre parallelamente la psichiatria è stata proporzionalmente (e pesantemente ) sottofinanziata. Chi pagherà i costi sociali di questo gravissimo vuoto ?
Secondo un report dell’Istituto Superiore di Sanità, l’assenza di relazioni sociali o la relativa scarsità delle stesse costituisce uno dei maggiori fattori di rischio per la salute paragonabile, se non superiore, a quello di ben noti fattori di rischio quali ad esempio il fumo di sigarette, l’abuso alcolico e l’obesità. Nei tempi più recenti anche l’OMS ha scoperto il possibile ruolo di determinante della salute che viene giocato dalla cultura, dall’arte e dal bello. In questo senso, il progetto di rendere un luogo di crescita collettiva, di dibattito, di incontro come l’Askatasuna è stata una scelta lungimirante del Comune che, in questa specifica occasione, ha dimostrato di avere a cuore la salute dei suoi cittadini.
SG La salute è una condizione di benessere fisico, mentale e sociale, un bene tanto prezioso quanto universale che non può e non deve essere ridotto a una mera analisi di bilanci aziendali, la salute non è una merce e le persone non possono essere considerate alla stregua di clienti che comprano prestazioni sanitarie. Un contesto sociale sano, aggregante, che non lascia nessuno indietro, che non lascia nessuno da solo, contribuisce a ridurre le situazioni di disagio che inevitabilmente incidono sulla condizione di salute mentale e fisica. Per coloro che vivono un quartiere avere a disposizione spazi di aggregazione è fondamentale per combattere la solitudine di una vita spesso tanto frenetica quanto vuota. Luoghi dove possa esserci incontro e confronto anche tra generazioni diverse, perché tutte le persone si sentano parte di un nucleo coeso, senza distinzione alcuna, sono determinanti per il benessere della popolazione.
– Quali sono i bisogni della popolazione e dei quartieri torinesi su un piano di salute e di accessibilità? Quali possono essere delle possibilità da costruire insieme, in qualità di professionisti della salute e di pazienti ?
CR Il modo con cui ci si ammala e, in parte, di come ci si cura dalla malattia a Torino è molto diseguale. Dipende da chi sei e quindi, da dove abiti. Purtroppo il ben noto esempio del tram 3 , che attraversa Torino dalla collina alle Vallette e lungo il suo percorso gli abitati perdono 6 mesi di vita ogni Km, quindi 4 anni di sopravvivenza in più per chi vive in collina rispetto a chi vive alle Vallette, è ancora attuale . I fattori che incidono sono, per esempio, il titolo di studio, il reddito, il tipo di lavoro, la classe sociale, il genere , la nazionalità. Le iniziative sanitarie dovrebbero concentrarsi prioritariamente nei quartieri con maggiore difficoltà, quelli a Nord dell’asse di corso Regina, a cui sia aggiunge Mirafori Sud. In particolare il quartiere Aurora, cui si affaccia l’ Askatasuna, che presenta nelle mappe un contrasto evidente con i quartieri collinari, è il quartiere in cui lo svantaggio individuale è massimo sia per la componenti di deprivazione sociale che per la migrazione. Anche l’ offerta nella cultura, nell’arte e nelle esperienze del bello è distribuita in modo fortemente disuguale, e bisognerebbe orientarla verso le aree di maggior bisogno, cosa che il progetto Comune-Askatasuna potrebbe fare.
SG I luoghi di incontro possono divenire luoghi in cui si parla di diritto alla salute, di prevenzione, di “educazione sanitaria”, di salute delle donne che spesso si trovano ai margini dei margini della società. Possono essere luoghi in cui si confrontano diverse culture per poi convergere nell’individuare il bene della comunità, in cui ognuno possa essere se stesso e parte di un collettivo.
Penso si debba uscire dalla narrazione distorta dei centri sociali dipinti come “il male”, spesso da chi non si è mai nemmeno avvicinato: sono invece luoghi di aggregazione, di solidarietà, di condivisione, luoghi belli e ricchi di stimoli per le persone che vivono la città e soprattutto i quartieri più periferici.
– Il centro sociale Askatasuna ha intrapreso negli ultimi anni alcuni tentativi e percorsi che vanno nella direzione di dare centralità alla salute, alcuni di questi li abbiamo condivisi..
CR Da subito l’esperienza drammatica del covid se da un lato ha palesato le carenze della sanità territoriale, dall’altro ha visto nascere iniziative virtuose, generose e collettive . Il Centro Sociale Askatasuna è stato al centro di molte di queste: dalla raccolta fondi e distribuzione di mascherine, quando erano care e introvabili, all’esecuzione gratuita di tamponi. Gli occupanti hanno organizzato eventi diffondendo un messaggio di prudenza e fiducia verso le figure sanitarie. Anche dopo la pandemia, è continuata l’attenzione verso i problemi sanitari della popolazione del quartiere: sono stati organizzati incontri sulle liste d’attesa ed i problemi sanitari del quartiere, incontri a cui ho partecipato. La sanità pubblica è stata poi il tema di diversi dibattitti pubblici, contribuendo così a sensibilizzare la popolazione alla sua difesa.
– Il fatto che l’ASL, nella persona di Roberto Testi, abbia prestato le proprie risorse per svolgere questo compito (senza voler entrare nel merito della perizia in sé e della sua correttezza) fa sorgere alcune questioni rispetto alle priorità della città. Secondo voi quali sono e quali dovrebbero essere le priorità in questo momento?
CR Indubbiamente la perizia dell’ ASL seguirà quanto previsto dalla normativa sulla sicurezza, ma confesso che mi sono stupita di questa attenzione per la salute degli occupanti. Non sono lavoratori costretti, per portare a casa lo stipendio, a tollerare ambienti di lavoro insalubri e pericolosi. Non sono studenti che seguono lezioni in classi in cui può cadere il soffitto. Non sono pazienti in barella sui pianerottoli delle scale né medici aggrediti mente visitano.
Francamente credevo che ci fossero altre priorità di prevenzione, sicurezza e salute pubblica da affrontare. Anche perché , viste le ben note carenze della sanità, di personale, di soldi e di tempo, o ci si occupa di una cosa o di altre. Solo a Torino, sono 74 i medici che nel 2022 si sono dimessi spontaneamente dagli ospedali della città, per andare a lavorare nel privato o aprire p.iva. Tra le cause, sicuramente lo stress lavoro correlato e la vetustà dei locali. Banalmente alle Molinette solo nell’autunno 2022 è crollato un controsoffitto e miracolosamente non ha fatto vittime. Sempre a Città della salute, dal 2017 si i dipendenti denunciavano gravi problemi oculari derivanti dall’insalubrità dei locali, situazione affrontata solo nel 2022 dopo una denuncia. Ma in generale, mi stupisco sempre di quali siano le priorità di salute pubblica. Se debba essere la tosse degli occupanti di Askatasuna per le stufe o piuttosto quella dei bambini che, nell’ asilo accanto, respirano nel cortile l’aria più inquinata d’ Europa.
SG Un buon uso delle risorse dovrebbe tenere conto della necessità di una popolazione in cui si è sempre più soli, in cui costruire una rete di cura (il villaggio che insieme si prendeva cura di tutte le persone) è sempre più difficile, in cui la povertà spesso impedisce l’accesso alle prestazioni sanitarie, in cui mancano momenti di aggregazione e condivisione. Non chiudete l’Aska, fatelo fiorire.
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