L’unico scandalo è l’attacco al movimento #metoo
E’ in queste ore in corso un forte attacco mediatico e politico al movimento #metoo. E’ questo, e non certo il dibattito sui comportamenti di Asia Argento, che deve essere sottolineato per capire quanto sta avvenendo.
Non è importante tanto che le voci sull’attrice italiana e la sua relazione con Bennett siano confermate o meno, se esistano o meno dei selfie e dei messaggi che provino i fatti di cui si discute. Non è importante se le accuse siano vere od orchestrate ad arte da qualcuno alla ricerca di qualche beneficio economico o di un po’ di notorietà.
E’ importante invece il fatto che questa storia sta venendo utilizzata per discreditare più o meno esplicitamente un intero movimento di rivolta contro la struttura gerarchizzata in senso patriarcale e maschilista della società.
Il ricatto pervasivo e diffuso in ogni ambito delle relazioni tra uomo e donna, soprattutto quando queste si esplicano all’interno di rapporti di potere in ambito lavorativo, è una realtà ed una evidenza talmente dimostrata dai numeri e dalle fredde statistiche (mai abbastanza capaci di cogliere la sofferenza dietro ognuna di queste storie) che ogni tentativo di mettere in correlazione una questione sociale come questa ai comportamenti di una persona è tendenzialmente maliziosa e disonesta.
Appellativi come “Asia Weinstein” data da Gramellini alla Argento mostra inoltre come il tentativo di personalizzazione della faccenda nasconda un tentativo di diffamazione di milioni di donne e di uomini che in tutto il mondo hanno denunciato il sessismo nella società.
Non era infatti ieri Weinstein in sè il problema, era il mondo che egli esprimeva, le relazioni di potere che aveva contribuito negli anni a solidificare. Non è oggi Asia Argento il problema, anche nel caso siano vere le ipotesi a suo carico.
Costruire portavoci e simboli da parte dei media in merito alle campagne politiche e sociali è sempre stata del resto pratica finalizzata al legare un movimento e le sue ragioni con il comportamento di un singolo. E’ una vecchia modalità per screditare contemporaneamente il tutto attraverso la demonizzazione della parte.
E non c’è neanche da legare questa questione all’emergere di un possibile movimento maschile contro le violenze e gli abusi. Non perchè ciò non sia vero in alcuni determinati casi, ma perchè a livello strutturale la disparità è talmente tanto evidente a livello di numeri e di vissuto quotidiano che poter paragonare la violenza maschile sulle donne al suo viceversa non è accettabile.
La realtà è che il #metoo – che nelle sue ambivalenze è una delle tante modalità di espressione di una più ampia presa di coscienza e di mobilitazione globale femminista degli ultimi anni, la quale ha spesso esondato la dimensione mediatica – ha permesso la creazione di uno spazio dove poter mettere in discussione un processo culturale che da secoli rovina sulla pelle delle donne.
In un primo passo ancora insufficiente e spesso senza dubbio poco capace di superare lo step della denuncia per evolversi in attacco ancora più profondamente politico alla violenza quotidiana sulle donne, certo. Ma che non si può pensare essere legato al comportamento vero o presunto di una delle milioni di persone che vi ci sono riconosciute, al fine di demonizzare la soggettività, il rifiuto, la rivolta di migliaia di corpi violentati e sfruttati ogni giorno, da secoli.
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