Ni Una Menos, le donne riempiono le strade di Buenos Aires
“Contro l’asfissia economica e la violenza machista, scendiamo nelle strade”! Con questo appello il movimento femminista argentino Ni Una Menos è tornato a occupare il centro di Buenos Aires, per la quinta volta dalla prima marcia, il 3 giugno del 2015. Migliaia di persone hanno sfilato da Congreso a Plaza de Mayo, in un corteo rabbioso, poderoso e determinato. Tante le anime, unite dalla lotta: contro la violenza. In tutte le sue forme.
“Da quando siamo scese in piazza nel 2015, mancano 2417 compagne”, recita un cartello. Più di 2000 donne uccise in meno di 4 anni. Una ogni 18 ore, secondo i dati diffusi dal Correpi. Una situazione che media e classe politica invisibilizzano, inquadrandola nel campo della cronaca nera. E che, al contrario, Ni Una Menos sta denunciando, da anni, prendendosi le strade e le piazze del paese, e sottolineando come la violenza machista non sia altro che un’appendice del sistema patriarcale e del suo modello economico, il capitalismo. E’ una “diagnosi femminista” –usando le stesse parole del movimento – quella che Ni Una Menos fornisce dell’attuale situazione dell’Argentina e, allargando lo sguardo, dell’intero sistema mondiale. “La violenza esplode nelle case, nei quartieri, sui nostri corpi. E’ la violenza economica, della disoccupazione che rende le persone sempre più vulnerabili. E’ la violenza della povertà, che sfratta le persone dalle case. E’ la violenza del potere, che vuole dettare legge sopra i nostri corpi dissidenti. E’ la violenza che obbliga le bambine a partorire, che impedisce l’aborto libero”, così Ni Una Menos, sottolineando come la crisi in cui versa il paese sia in realtà l’attacco sferrato dal modello neoliberista ad alcuni settori della popolazione, in particolare alle donne. “L’inflazione ci obbliga a indebitarci per sopravvivere. In questa crisi ci sono dei settori che non si impoveriscono: sono la chiesa, che pretende di sottomettere la nostra libertà. Sono gli speculatori finanziari, che si alimentano della nostra disperazione”. E’ contro questo sistema che Ni Una Menos scende di nuovo in piazza, “dove già abbiamo sperimentato la potenza di stare insieme”. Insieme nelle diversità: questa è la forza di questo movimento, e ieri lo si è visto. Lavoratrici dei trasporti pubblici, casalinghe, trans, donne indigene, afrodiscendenti, migranti, prostitute: tutte hanno sfilato insieme fino a Plaza de Mayo, dove si è chiusa la marcia.
“Siamo donne indigene, siamo femministe, e siamo qui per lottare contro la violenza del sistema patriarcale e delle sue istituzioni”: così dal palco in piazza la rappresentante del movimento delle donne indigene, sottolineando come l’oppressione dei popoli originari e l’avvelenamento e il depredamento della terra facciano parte del comune disegno neoliberale, funzionale ai grandi poteri economici. Una voce a cui fa eco quella della rappresentante del movimento delle donne afrodiscendenti, che pone in luce il razzismo insito nella società capitalista, costruita sui corpi neri, violentati, sfruttati, e poi invisibilizzati. “Basta travesticidi! Il sistema patriarcale legittima, con il suo silenzio, la violenza contro i corpi che non si inseriscono nei binari da lui tracciati. La violenza contro i corpi dissidenti assume molte forme: siamo escluse dal mondo del lavoro, dal dibattito politico, dal mondo mediatico. Siamo invisibili, così come le nostri morti. Ma siamo qui ancora una volta per urlare: Ni Una Trans Meno!”: così una rappresentante del movimento Trans e Travesti.
Dopo gli interventi dei distinti gruppi, il corteo si è chiuso con un panuelazo collettivo, ossia lo sbandieramento dei panuelos verdi, simbolo della Campagna nazionale per l’aborto libero, sicuro e gratuito: solo pochi giorni prima, il 28 maggio, la Campagna presentava in Congresso, per l’ottava volta, il progetto di legge per la legalizzazione dell’aborto, accompagnata in piazza da un massiccio presidio di tutto il movimento femminista: perché, come è stato ribadito più volte durante il corteo, finché l’aborto non sarà considerato un tema di salute pubblica, gratuito e libero, non si potrà affermare Ni Una Menos. “Sono ancora troppe le donne che muoiono per aborti clandestini”, affermano dal corteo le integranti della Campagna, mettendo l’accento anche sull’importanza dell’ESI, l’educazione sessuale integrale: piano di studio previsto nelle scuole, ma non supportato dallo stato. “E’ con l’educazione che si cambia la società: un’educazione paritaria, che rispetti tutti i corpi, che non imponga una visione egemonica. Al momento l’ESI, teoricamente prevista da una legge nazionale, viene garantita nella pratica solo da noi femministe”.
Quello che si è visto ieri è una società diversa: libera dal disciplinamento machista, patriarcale, razzista e classista del capitalismo. Una società che resiste alle oppressioni di uno stato che precarizza le vite, rendendole vulnerabili: o almeno, provandoci. Perché più l’attacco si fa aspro, più la risposta si fa acuta, fino a diventare contrattacco. Nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nelle strade, il movimento femminista argentino va tessendo nuove alleanze. “Non stiamo più in silenzio. Non abbassiamo le braccia”.
S.C.
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