Via libera all’entrata del Mpv nei consultori piemontesi
Torino – Sempre più feroce l’attacco alla libertà di scelta delle donne: la giunta regionale del Piemonte ribadisce il via libera all’entrata del Movimento per la Vita nei consultori. Erano ben due le richieste presentate ieri in consiglio regionale al fine di sospendere il protocollo approvato con delibera il 15 ottobre dalla Giunta Regionale del Piemonte nel quale di fatto si sanciva l’entrata del Movimento per la vita nei consultori.
Entrambe sono state rifiutate. Su 44 votanti 25 hanno espresso voto contrario e 16 favorevole, in tre si sono astenuti. E’ finita così una discussione estenuante -e a tratti deprimente- durata circa cinque ore in cui un tema importante e delicato come la tutela della libertà di scelta delle donne in merito alla gravidanza ancora una volta è stato usato come terreno di battaglia politica, dove a prevalere è stata l’ideologia integralista cattolica che continua a parlare di “difesa della vita” riferendosi unicamente all’embrione e non tenendo assolutamente in conto la tutela della capacità e libertà di scelta della donna.
Le richieste di sospensione presentate da Stara (Capogruppo di Insieme per Bresso) e Reschigna (Capogruppo Pd) sostanzialmente non differivano di molto l’una dall’altra. Diversi i punti della delibera su cui si chiedeva di fare un passo indietro tra i quali il fatto che non si possa ritenere accettabile che il primo colloquio di una donna che si presenta in un consultorio chiedendo l’interruzione volontaria di gravidanza possa avvenire anche con un volontario dell’MPV. Altrettanto inaccettabile risulta il fatto che la figura di tale volontario venga messa sullo stesso piano dell’operatore medico del consultorio così come l’ipotesi che le attività consultoriali che abbiamo conosciuto in questi anni si vedano diminuire per far posto a quelle svolte dai centri antiabortisti. Altro punto cruciale riguarda il fatto se sia lecito o meno l’inserimento nei consultori, ovvero i luoghi deputati per l’applicazione della 194 in tutti i suoi risvolti, di associazioni che abbiano come attività preminente, come da statuto, la lotta alla legge per l’interruzione volontaria di gravidanza. Ed è proprio su questa possibile incompatibilità della delibera con la legge 194 che il consigliere Stara ha annunciato che farà ricorso al Tar.
I leghisti e la maggior parte del PD non si sono di certo fatti trovare impreparati. Non solo sostengono che il protocollo rispetti in tutto e per tutto la 194, ma che ne costituisca proprio una parte integrante -e finora mancante- per la completa attuazione della legge stessa! C’è da dire che Cota non ha speso tempo in giri di parole. Egli infatti ha ricordato come questo passaggio non sia altro che l’attuazione dell’impegno da lui sottoscritto (vedi il patto per la vita e la famiglia) con gli esponenti delle frange più estremiste dell’MPV lo scorso febbraio e ha dichiarato che “quando si governa si devono mantenere gli impegni”.
Insomma per Cota è tutto chiaro e semplice. Inutile provare a ricordargli che non può pensare che soprattutto le donne accettino che temi come questi possano essere ridotti a mere marchette politiche. Di fatto sta che la sospensione non è stata accettata e che, essendo la delibera già stata pubblicata sul Gazzettino Ufficiale, ormai potrà continuare il suo naturale corso attuativo. Resta ancora la discussione in Commissione Sanità, da leggersi più come un proforma che una possibilità reale di modifica della delibera. Ciò che forse ci permetterà ancora per un po’ di tempo di non vedere i consultori trasformati in confessionali sarà proprio dato dalla lungaggine e complessità del sistema burocratico italiano. Stringere convenzioni, avviare pratiche, trovare associazioni che possiedano tutti i requisiti richiesti non sono cose che possono avvenire da un giorno all’altro. Insomma, ancora una volta abbiamo assistito al totale fallimento dell’Opposizione e ancora una volta non possiamo che concludere indicando come unica opposizione reale quella che sa darsi nelle piazze e che non vuole accettare che si continuino ad usare i corpi delle donne come terreno di battaglia politica. Ciò che è avvenuto ieri non indica di certo la fine di una battaglia, bensì l’inizio di una nuova fase di mobilitazione che sicuramente si darà da qui ai prossimi mesi.
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