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Eugenio Curiel

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Eugenio Curiel nasce a Trieste l’11 dicembre 1912, primo di quattro figli di un’agiata famiglia ebrea.

Dopo aver conseguito la maturità scientifica nel 1929, frequenta a Firenze il biennio di ingegneria, iscrivendosi nel 1931 al Politecnico di Milano ma, avendo più inclinazione per gli studi teorici, dopo pochi mesi si iscrive al corso di laurea in Fisica tenuto nell’Università fiorentina.

L’11 dicembre 1932 consegue il diploma di maestro elementare per poter lavorare, pur continuando gli studi di fisica. L’amico Bruno Rossi lo invita nel 1933 a concludere gli studi all’università di Padova. Eugenio accetta, laureandosi il 20 luglio col massimo dei voti e la lode.

Curiel è attratto dallo studio dall’antroposofia di Steiner, nella quale vede anche lo stimolo a conseguire un’autodisciplina fisica e psicologica.

L’applicazione alla filosofia steineriana si attenua con il tempo, sostituita lentamente dall’interesse verso la dominante filosofia idealistica; sono ora Kant, Fichte, Hegel, Croce e Gentile a costituire il centro degli interessi spirituali di Curiel, ma anche Georges Sorel e i

A Padova rivede nel 1933 l’amico d’infanzia di Trieste, Atto Braun, con il quale divide l’alloggio; quest’amicizia rinnovata costituisce per la sua vita una svolta decisiva: il Braun è clandestinamente aderente al Partito comunista e con lui Curiel discute e polemizza, ma legge anche i libri che questi gli impresta: il Manifesto di Marx ed Engels, l’ Antidühring di quest’ultimo, il Che fare? di Lenin. In breve, nel 1935, anche Curiel entra a far parte del piccolo, clandestino, circolo comunista dell’Università e a collaborare, dal 1937, alla pagina sindacale de’ Il Bò, il giornale universitario di Padova, redatto da giovani fascisti insofferenti dell’ortodossia del regime, ma anche da antifascisti mascherati, come lo stesso Braun.

Nel marzo del 1937 si reca a Parigi – e vi tornerà ancora alla fine dell’anno – dove ha sede il Centro estero del partito, prendendo contatto, fra gli altri, con Emilio Sereni, Ambrogio Donini e Ruggero Grieco e scrivendo un articolo, dal titolo Il nostro lavoro economico-sindacale di massa e la lotta per la democrazia, con lo pseudonimo di Giorgio Intelvi, che compare nella rivista Lo Stato Operaio. Curiel sostiene che bisogna premere con la stampa universitaria sugli studenti, perché passino da un’ideologia ancora corporativa di fascismo di sinistra al riconoscimento della lotta di classe, e sui fiduciati di fabbrica, rappresentanti eletti dagli operai e riconosciuti dal sindacato, all’interno del quale occorrerebbe creare gruppi segreti, costituiti opportunamente, che dovrebbero svolgere sugli operai un influente lavoro politico.

Dalle pagine della rivista Il Bò appoggia le rivendicazioni salariali degli operai e conduce inchieste sulle misere condizioni di vita nelle campagne padovane e si occupa anche di politica estera, condannando le mire espansionistiche della Germania e l’aggressione giapponese alla Cina.

Nel numero de’ Il Bò del 20 agosto 1938 compare il suo ultimo articolo, La rappresaglia sindacale, in cui scrive che il sindacato deve “sorvegliare l’applicazione dei contratti collettivi” e deve realmente tener conto della volontà espressa nelle assemblee operaie. Sostenere invece che in un regime corporativo gli interessi degli operai e degli imprenditori coincidono significa dimostrare una cecità.

In quello stesso numero della rivista vi è però anche un altro articolo che elenca i nomi degli insegnanti ebrei presenti nelle università italiane e, naturalmente, fra gli insegnanti padovani, figura il nome di Curiel. Erano i mesi che annunciavano la svolta filo-nazista della politica del regime: a novembre vengono emanate le leggi per la difesa della razza e Curiel, come tanti, viene allontanato dall’insegnamento.

L’espulsione dall’Università, oltre a rendergli difficile guadagnarsi da vivere, lo rende automaticamente sospetto di antifascismo, e diviene problematica la sua possibilità di svolgere attività politica illegale.

Curiel è a Trieste, il 24 giugno 1939, quando la polizia lo individua e lo arresta.

Trasferito nel carcere milanese di San Vittore, negli interrogatori non rivela nulla che la polizia già non sapesse; il 13 gennaio 1940 una Commissione penale lo condanna a 5 anni di confino da scontare nell’isola di Ventotene, dove Curiel giunge il 26 gennaio.

Il confino è meno duro del carcere, ma i confinati devono mantenersi unicamente con le rimesse delle famiglie e, nelle condizioni difficili di quegli anni – di lì a pochi mesi l’Italia entrerà in guerra – spesso si soffre la fame. A Ventotene vi sono parecchie centinaia di confinati: vi si trovano o vi sono passati, tra gli altri, i comunisti Luigi Longo, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, i socialisti e gli azionisti Lelio Basso, Sandro Pertini, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Giuseppe Romita e, l’amico di Curiel, Eugenio Colorni.

Il 25 agosto 1943, a seguito della caduta del fascismo, lascia l’isola per unirsi alla lotta armata con il nome di battaglia “Giorgio”. Ritorna a Milano, dove dirige L’Unità clandestina e La nostra lotta e infine promuove la costituzione di un’organizzazione unitaria tra i giovani antifascisti di ogni schieramento politico, il Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà.

Il mattino del 24 febbraio 1945, a due mesi dalla liberazione di Milano, mentre si sta recando a un appuntamento, Eugenio Curiel viene sorpreso in piazzale Baracca da una squadra di militi repubblichini delle Brigate Nere, capitanata da Ghisalberti, guidati da un delatore; non tentano nemmeno di fermarlo, gli sparano una raffica quasi a bruciapelo. Curiel si rialza, si rifugia a fatica in un portone, ma qui viene raggiunto e finito dai fascisti.

Il giorno dopo, sulla macchia rimasta, una donna spargerà dei garofani.

Nel 1949 la “Volante Rossa” di Lambrate elimina e giustizia il fascista Felice Ghisalberti.

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