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Sul Granma un italiano-Gino Done’

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Non sono in molti a saperlo, ma quando il 25 novembre 1956, 82 uomini si imbarcarono sul Granma col proposito di rovesciare il regime cubano di Fulgencio Batista, fra di essi vi era un italiano. “El italiano” – come lo chiamavano i compagni – si chiamava Gino Donè, e di missioni pericolose aveva già una certa esperienza.

Trevigiano di nascita, Donè era figlio di braccianti agricoli. La sua era una famiglia antifascista e lui, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, fu inviato al fronte slavo. Dopo l’8 settembre, tornato a casa, si avvicinò alla Resistenza veneziana divenendone punto di riferimento con la Brigata Piave prima e partecipando alla missione Nelson poi. Da partigiano fu tra coloro che, a guerra in corso, aiutò i prigionieri del regime fascista a far rientro nelle loro terre di origine. Terminata la guerra, ad Italia liberata, Gino – chiamato nuovamente al servizio militare – scappò dopo solo un giorno di leva fuggendo dalla caserma di Modena e rendendosi irreperibile. Venne processato ed arrestato per diserzione e costretto a portare a termine la leva obbligatoria, dopo la quale andò a cercare lavoro oltre confine passando per Francia, Belgio, Germania, Canada. E stabilendosi infine a Cuba nei primi anni ‘50. E a Santiago che venne in contatto con gli ambienti dell’opposizione al regime di Batista. Gino infatti abitava vicino alla zona universitaria, e per esercitarsi nella lingua, chiacchierava con gli studenti universitari, molti dei quali militavano nell’opposizione cubana. Ben presto conobbe un giovane avvocato di nome Fidel Castro, che in quel periodo viveva forzatamente in Messico in esilio. Fidel Castro cercava persone fidate da arruolare, e Gino Donè aveva le caratteristiche per essere tra questi: in quanto italiano era insospettabile, e durante la guerra partigiana maturò una certa esperienza militare. Negli anni in cui i barbudos stavano preparando la rivoluzione, Donè addestrò militarmente i volontari e fece la staffetta tra Cuba ed il Messico trasportando soldi ed informazioni. Finché una volta acquistata una vecchia imbarcazione – il Granma – divenne l’unico europeo tra coloro che dal Messico salparono verso Cuba. La Sierra Maestra si rivelò impervia per molti degli ottantadue del Granma. Fra dispersi, catturati e uccisi dall’esercito regolare di Batista, Donè riuscì a fuggire. Riparò a Santa Clara de Cuba mettendosi a disposizione dei castristi che nel frattempo avanzavano. Ma la sua permanenza era sempre più difficile essendo uno degli uomini maggiormente ricercati dal regime. Pertanto dovette fuggire ancora una volta: scappò in Florida dove, avendo contatti con locali militanti antimperialisti, si sentì protetto. Era proprio in Florida quando a Cuba la rivoluzione vinse. E ancora in Florida rimase negli anni successivi, risposandosi e iniziando una nuova vita. «Ho sempre aiutato la rivoluzione» – dirà negli anni successivi –«L’ho aiutata in molti modi, anche quando ero lontano da Cuba». Pare che Donè ricoprisse degli incarichi per conto di Cuba anche mentre viveva negli Stati Uniti, ma di questo non ha mai voluto parlare con dettaglio. Nel 2003, vedovo e libero da impegni col governo di Castro, dopo alcune visite a L’Avana, rientrò in Italia dove trascorse gli ultimi anni della sua vita a San Donà, in provincia di Venezia. Iscritto alla locale sezione ANPI e all’associazione Italia-Cuba, morì nel 2008. «Mi sono sempre sentito attratto dai meno fortunati» disse Gino Donè di se stesso in una intervista. A chi lo conobbe, a chi ebbe la possibilità di sentire qualche suo racconto, apparve come una persona modesta, che pareva non esser cosciente della straordinarietà delle vicende che scandirono la sua vita. Come se la sua fosse stata una vita normale.

 

Fonte: Enrico Baldin – Popoff quotidiano

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