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Muore Friedrich Engels

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Quando morì, Friedrich Engels fu cremato e, come da sua volontà, le sue ceneri disperse nel mare, dopo che il suo feretro fu onorato dai socialisti e dai comunisti di tutta Europa. Con questa figura di borghese rivoluzionario, diviso nella sua vita tra agitazione sovversiva e attività imprenditoriale, e nel suo pensiero tra dinamismo dialettico e un’ammirazione per le scienze naturali tale da provocare tentazioni positivistiche, si chiuse la prima fase del comunismo rivoluzionario: quella ottocentesca.

Nacque nel 1820 a Barmen, in quella regione centro-europea di lingua tedesca che, a quell’epoca, era ancora ben lungi dal formare una nazione. Crebbe in una famiglia di imprenditori pietisti, e il padre gli impedì di studiare, associandolo fin da ragazzino alle attività dell’impresa. La passione per la conoscenza lo porterà, una volta nella città libera di Brema e poi a Berlino, a dedicarsi allo studio della letteratura e della filosofia, e a pubblicare scritti di attacco all’allora decano dei filosofi berlinesi, Schelling, impegnato a contrastare la filosofia di Hegel con una dottrina filosofico-religiosa tutta volta a limitare la portata delle facoltà razionali nell’esperienza e nella conoscenza dell’assoluto.

A 22 ani si trasferì a Manchester per seguire il ramo inglese dell’azienda paterna; da questa esperienza sorgerà lo scritto La condizione della classe operaia in Inghilterra (1845). Nel 1844 tornò in Germania passando per Parigi, dove incontrò Marx e collaborò alla stesura de La Sacra Famiglia; si rivedranno a Bruxelles l’anno dopo per scrivere L’ideologia tedesca. Nel 1847 collaborarono, a Londra, alla trasformazione della Lega dei Giusti, un’organizzazione rivoluzionaria radicale, nella Lega dei Comunisti. La Lega incaricò Engels, assieme a Marx, di redigere il Manifesto del Partito Comunista che, con il suo celebre incipit (“Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”) diventerà forse il libro più letto, più diffuso e più influente della storia umana (1847).

Molto di ciò che quel testo prevedeva e auspicava si realizzerà di lì a pochi mesi, con i moti europei del 1848: da Parigi a Budapest, da Milano a Berlino, la primavera dei popoli europei vide intrecciate rivendicazioni formali, memori della rivoluzione francese (costituzione, libertà di stampa, separazione di stato e chiesa) con rivendicazioni sociali e nazionali. Engels e Marx appoggiarono tutte le rivendicazioni in campo scrivendo le Rivendicazioni del Partito Comunista Tedesco, e vissero braccati dalle polizie europee a Parigi, a Bruxelles, a Colonia (dove Engels organizzò nel 1848 il Comitato di Salute Pubblica), ogni volta contribuendo all’organizzazione pratica della rivolta e animando la progettualità rivoluzionaria. Tra la fine del 1848 e il 1849 Engels organizzerà, insieme a Marx o senza di lui, la lotta armata in diverse città e regioni tedesche, da Francoforte a Mannheim, dal Palatinato al Baaden. I vecchi principi e le nuove borghesie si trovarono di fronte un nemico inedito: la figura dell’intellettuale rivoluzionario militante e armato, pronto a sacrificare la propria vita per contribuire alla vittoria politica della classe operaia. È la figura di chi, come scriverà Hans Jurgen Krahl nel 1968, decide di tradire la propria classe (la borghesia) per la rivoluzione.

Nel 1864 contribuì alla fondazione londinese dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, e nel 1866, per via epistolare, al suo primo congresso. Obiettivo di Engels è in questo momento contrastare tanto le concezioni stataliste, idealiste e astratte dei lassalliani tedeschi, quanto quelle immaginifiche e teoreticamente poco rigorose di anarchici come Proudhon. Secondo Engels la rivoluzione operaia non potrà che trionfare con l’appoggio attivo a tutte le rivoluzioni democratiche, nazionali o borghesi, che dovranno poi cedere all’urto storico e alla forza delle rivendicazioni comuniste del proletariato in un secondo tempo (allora considerato come imminente).

Nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana e, nel 1871, la Comune di Parigi, che Engels vedrà come primo governo operaio nella storia, e come tentativo organizzato di abolire lo stato che, come scrisse ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, altro non è che una creazione umana storicamente determinata, che scomparirà una volta abolita con la forza la divisione della società in classi.

Gli anni seguenti vedranno Engels impegnato nei lavori della Prima Internazionale e nello studio della biologia (in particolare Darwin, di cui amerà moltissimo L’origine della specie), delle lingue (ne imparerà una decina) e della filosofia. Dal 1883, anno della morte dell’amico Marx, che aveva mantenuto economicamente negli ultimi anni, permettendogli la stesura a tempo pieno dell’opera più matura, Il capitale, si occuperà dell’organizzazione e pubblicazione dei suoi inediti e dei suoi appunti. Grazie all’opera di Engels, l’unica persona abbastanza vicina a Marx da conoscerne le abbreviazioni grafiche sui quaderni, il pensiero del più grande teorico della rivoluzione non andò in gran parte perduto.

La figura di Engels appare oggi sfocata e lontana: come tutti i rivoluzionari della sua epoca, visse una vita di viaggi e di avventure, vedendo le città storiche dell’europa post-napoleonica da dietro le barricate costruite da artigiani e commercianti, operai e clochard, parigini e magiari, uomini e donne, filosofi e analfabeti, atei e devoti. Era l’epoca in cui la guerra urbana riusciva a sconfiggere gli eserciti armati di baionette, e in cui le rivolte si reprimevano a cannonate quartiere per quartiere; il secolo in cui l’assalto ai forni e l’insurrezione popolare finivano nelle pagine di Alessandro Manzoni e Victor Hugo. In questo senso appare fondamentale rileggere la biografia politica e gli scritti di un autore come Engels tenendo a mente il contesto storico e politico, nonché il clima filosofico e culturale, in cui egli si trovò ad operare.

In quell’epoca – per rimanere ad una delle questioni più celebri affrontate da Engels, quella dello stato – quest’ultimo era ancora un insieme di gradi e lustrini, armi e patti di fedeltà: era lo stato post-feudale di Mazzarino, divenuto quello giacobino di Robespierre, modernizzato da Napoleone. Di fronte a quella struttura in via di perfezionamento, ma ancora relativamente fragile, l’idea di un’estinzione quasi immediata dell’apparato statale dopo una rivoluzione operaia appariva credibile, così come quella di un’occupazione rivoluzionaria di esso che ne decretasse quasi immediatamente la fine, relegandolo quasi spontaneamente, come avrebbe scritto Lenin anni dopo, “nel Museo degli orrori della storia umana”.

Proprio gli anni della morte di Marx e Engels videro, tuttavia, l’inizio di una rapida trasformazione in senso burocratico dell’apparato statale europeo, occidentale e poi mondiale, che si accentuerà lungo il Novecento e oltre, facendone un mostro sempre più complesso, socialmente radicato e coadiuvato da avanzate tecnologie, oltre che una struttura non separata dall’istanza economica, ma potentemente compenetrata con essa. Non è un caso che la presa del potere da parte dei comunisti, ideali eredi di Engels, in moltissimi paesi nel XX secolo, non portò all’estinzione dello stato e al comunismo, ma anzi ad un’accelerazione spesso perversa della trasformazione in senso burocratico dell’apparato statale capitalista. L’azione e il pensiero di Engels non sono quindi, a 116 anni dalla sua morte, soltanto densi di suggerimenti teorici e pragmatici, ma anche di stimoli per l’elaborazione di teorie rivoluzionarie ex novo volte a riempire i vuoti che non il pensiero, ma la storia, ha scavato nella scienza sociale della pratica rivoluzionaria.

Guarda “Karl Marx and Friedrich Engels“:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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