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Le Piazza Statuto degli operai edili

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Nel luglio 1962 gli scontri di Piazza Statuto a Torino degli operai sotto la sede del sindacato Uil che aveva firmato un accordo separato con la Fiat, spezzando la lotta operaia in crescita, hanno aperto una nuova epoca: il riscatto della classe operaia!

La breccia si è aperta: Corso Vittorio Emanuele a Bari e Piazza SS. Apostoli a Roma

È il 9 ottobre 1963, in Piazza SS Apostoli in Roma

I primi lanci di agenzia nel pomeriggio così battono «Disordini a Roma: Scontri a Roma durante una manifestazione dei lavoratori edili per il rinnovo del contratto. 168 i feriti, numerosi gli arresti».

I lavoratori dell’edilizia di Roma erano da più di un anno in lotta per il rinnovo del contratto di lavoro.

Si doveva modificare la struttura del salario, ancora molto segnata dal cottimo, da paghe striminzite, da orari infiniti, da straordinari obbligatori, da giornate di “sospensione dal lavoro senza paga” per le avverse condizioni meteorologiche, da un clima da caserma, da incidenti continui ecc.

È una delle più grandi “specificità” italiane di quegli anni l’industria edile. L’aggressione alle città di grandi, medi e piccoli costruttori, che nascono come funghi, ottengono licenze di costruzione con una “strizzatina d’occhio”. Nessun controllo. Piani regolatori non ne esistono e là dove ci sono vengono totalmente ignorati. Le città, a causa della massiccia urbanizzazione, crescono in modo caotico, spazzando via quel poco di vita collettiva, di socialità e di verde che ancora esisteva.

Costruttori senza scrupoli crescono. È una nuova borghesia rampante, senza conoscenze tecniche né cultura che non sia quella dell’arricchimento e della corruzione. I suoli vengono acquistati con quattro soldi, gli edifici vengono costruiti con materiali di scadente qualità, centinaia di migliaia di edili vengono ‘assunti’ al di sotto della paga contrattuale e senza contributi previdenziali. – “al nero” -, sui cantieri vi è totale assenza di norme di sicurezza che fa registrare un’impressionante sequela di lavoratori infortunati e assassinati che vengono eufemisticamente definiti: ‘morti bianche’.

Le ostilità erano state aperte l’anno prima a Bari, dove i costruttori –al pari di quelli di Roma- erano tra i più intransigenti, antisindacali, fascisti e mafiosi.

Il 23 agosto 1962 migliaia di edili della provincia di Bari erano entrati in sciopero. Chiedevano l’applicazione di alcune norme contrattuali firmate l’anno precedente, una riduzione di 3 ore di lavoro settimanale ed un superminimo (un aumento del minimo sindacale fermo a quattro anni addietro nonostante l’aumento del costo della vita) giustificato soprattutto dall’aumento dei ritmi di lavoro, dell’espansione del mercato e dai superprofitti degli imprenditori. Gli industriali non solo ignorarono la richiesta di un incontro sindacale ma rifiutarono ogni forma di trattativa. Quel 23 agosto, gli edili organizzano una protesta sotto la sede dell’Associazione degli industriali e il 24, perdurando il silenzio arrogante degli industriali, esplode la rabbia operaia. Lo scontro è violentissimo tra dimostranti e forze dell’ordine. I dirigenti della Polizia sapevano che quella rabbia sarebbe esplosa di fronte al NO padronale e si erano preparati, con camionette e idranti. Caroselli polizieschi e scontri tra l’una e l’altra parte, continuarono anche la domenica 25. Per due giorni, il centralissimo Corso Vittorio Emanuele a Bari è un campo di battaglia. Oltre 220 arresti, più di 100 feriti quasi tutti dimostranti, anche se i poliziotti conobbero dal vivo la rabbia operaia, anche semplici cittadini, come il fotoreporter della Gazzetta del mezzogiorno.

L’anno dopo è la volta degli edili di Roma. I padroni, al colmo dell’arroganza per frenare gli scioperi, sempre più partecipati, proclamano la “serrata”. L’8 ottobre 1963 si sciopera contro la serrata decisa dai costruttori. Manifestano sotto la sede dell’Acer (Associazione Costruttori Edili Romani), sono operai edili, sono tanti e incazzati. La manifestazione è repressa con durezza “ingiustificata” dalle forze di polizia e dai carabinieri. Quaranta lavoratori vengono arrestati senza nessun indizio concreto che non sia quello di essere operai in lotta per il lavoro, per il contratto, per una riforma del settore edilizio. Al processo 33 operai vengono condannati. Proteste del PCI e del PSI. La Cgil propone uno sciopero di protesta, ma poi lo revoca per la mancata adesione degli altri sindacati (Cisl e Uil).

Pochi giorni prima era avvenuta un’altra azione repressiva di stampo fascista: il 17 settembre, il sindacalista comunista Giuseppe Bresciani era stato denunciato, per “invasione di domicilio” poiché era entrato in un cantiere senza l’autorizzazione del proprietario.

[la foto in alto è presa al processo agli operai edili per gli scontri di Piazza SS Apostoli. E’ bello vedere i sorrisi con cui gli operi affrontano i giudici. Sorrisi e orgoglio di aver fatto quello che andava fatto, consapevolezza di appartenere alla classe operaia che da allora aveva deciso di alzare la testa e non subire più!]

Quella della classe operaia edile è stata una lotta importante, ha sconfitto l’intransigenza dei padroni del mattone, costringendoli all’accordo, ha fatto fare un salto in avanti alla condizione del lavoro edile. Ma ha anche risvegliato le coscienze degli abitanti delle città sul degrado che queste subivano a causa delle politiche dissennate e mafiose dei costruttori edili e dei corrotti amministratori locali.

Sui cantieri il dibattito e la partecipazione dei lavoratori all’attività sindacale e politica si impennò. Si realizzò quella partecipazione operaia che mancava da troppi anni.

Una pagina importante della lotta operaia, purtroppo oscurata dal grande evento tragico che in quello stesso giorno attirò l’attenzione di tutto il paese:

LA FRANA DEL VAJONT. Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, la frana si stacca. Non in due tempi, bensì come corpo unico, compatto: 260 milioni di metri cubi di roccia. In quel momento il livello dell’acqua è a quota 700,42 m slm. L’onda di 50 milioni di metri cubi provocata dalla frana si divide in due direzioni. Investe da una parte i villaggi di Frassen, San Martino, Col di Spesse, Patata, Il Cristo. Quindi arriva ai bordi di Casso e Pineda. Dall’altra parte, superando la diga, raggiunge Longarone, Codissago, Castellavazzo. Infine Villanuova, Pirago, Faè, Rivalla, per poi defluire lungo il Piave. L’onda provoca 1917 morti: 1450 a Longarone, 109 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 persone originarie di altri comuni, di cui la maggior parte lavoratori e tecnici della diga con le rispettive famiglie.

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