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Frammenti di vita di un comunista

5 agosto 1977

“Centro di comunicazione comunista veneto (Cccv)

Via via che si moltiplicano gli strumenti di informazione diretti dai Cpv, il Cccv riesce a dare struttura a un’informazione organica sull’intero territorio veneto: Radio Sherwood triplica le sue frequenze di trasmissione impiantando a Thiene e a Mestre due nuovi studi completamente autosufficienti e autogestiti dai Collettivi e compagni delle strutture di movimento facenti capo agli specifici territori, la libreria Calusca, la rivista «Autonomia» e il Cuc come motori culturali e di socializzazione del fiume carsico del risveglio di lotte dei giovani proletari veneti.

Dopo gli arresti del 7 aprile 1979, la tragedia dei nostri compagni Alberto, Antonietta e Angelo, morti l’11 aprile ’79 e poi qualche mese dopo quella di Lorenzo, che determina anche lo sconquasso dei Collettivi politici vicentini, e i 30 e passa arresti dell’11 marzo 1980, questa necessità si fa talmente imperante che il Cccv rappresenterà uno snodo, anche di coordinamento organizzativo, fondamentale per la tenuta/rappresentazione dell’organizzazione.

La base processuale parte dal ’77 (prima inchiesta del Pm Calogero) per arrivare all’87, una mole enorme di materiale da vagliare e gestire di cui praticamente da subito i Collettivi hanno contezza ma che verrà affrontata come specifico ragionamento a partire dalla direttissima del 1980 quando, con l’arresto di più di 30 militanti dei Collettivi, a Padova si apre una crisi nell’articolazione sia dell’organizzazione che dell’intervento politico.

La gestione dell’informazione viene forzatamente centralizzata, per maturare in forma più organizzata nel 1982.

Il peso dei processi a mezzo stampa rovesciatici addosso da tutti i media nazionali, cartacei, radiofonici e televisivi associati a un uso micidiale della carcerazione preventiva ci costringe a chiuderci in difesa per rintuzzare sul piano degli iter processuali il progetto dell’accusa (Pci-Calogero).

La pressione dell’inchiesta Calogero è enorme e soprattutto ideologica tanto che ad esempio per ben 3 anni consecutivi, ’81-82-83, praticamente ogni primavera dopo il mio rilascio di fine Ottanta con una sospensione pena per motivi di salute vengo comunque riarrestato mediante la reiterata emissione di mandati di cattura che riformulavano il reato associativo di banda armata.

L’effetto sul piano processuale era nullo ma impattante sulla vita e l’organizzazione dei compagni colpiti dal provvedimento che subivano la ripartenza di una nuova carcerazione preventiva. Per me fortunatamente si riduceva a una quarantina di giorni ogni volta, il tempo tecnico perché gli avvocati del nostro grande collegio di difesa presentassero i ricorsi al giudice istruttore, che com’era giuridicamente corretto, nell’ambito dello stato di diritto fin lì sopravvissuto al tritacarne delle leggi speciali, li accoglieva.

In questa complessità del quadro politico e repressivo avviene la venuta meno del progetto originario dei Collettivi e l’apertura di una fase di ripiegamento e riflessione nella ricerca di modelli interpretativi e organizzativi che diano nuovamente respiro alle lotte territoriali che non si sono fermate.

Questa possibilità di riflessione e di mantenimento di una certa presenza politica si incardina sul radicamento sociale costruito negli anni e sugli istituti di massa messi in piedi. I compagni della Bassa Padovana, praticamente l’unico collettivo (il Collettivo politico Padova sud) uscito pressoché indenne dalle inchieste mantengono, in piedi i processi di lotta ed organizzazione ancora possibili.

Una grande responsabilità e peso affrontati con dedizione e capacità a cui i compagni del movimento comunista veneto porteranno sempre riconoscenza.

Quando vengo rilasciato contribuisco al buon funzionamento e rafforzamento del Cccv

che già conta su bravissimi compagni e che si arricchisce di nuove presenze rappresentanti le diverse realtà territoriali venete (Guido, Dario, Loris per Rovigo, Gianni, Sandro, Stefano, Davide per Padova…). I compagni non solo gestiscono i flussi informativi nei diversi media (Radio Sherwood, il settimanale Autonomia, le testate giornalistiche nazionali e locali) ma articolano la presenza dei Collettivi all’interno delle strutture messe in piedi per gestire la fase processuale: il collegio degli avvocati difensori, il comitato dei familiari e sono portavoce verso l’esterno dei compagni ancora detenuti.

Nella sostanza il Cccv diventa un nuovo aggregato fuoriuscendo dallo schema del nucleo e dell’attivo agganciato ad una zona territoriale omogenea come da tradizione dei Cpv.

Il suo territorio è virtuale e l’efficacia dell’informazione, la misura del suo intervento sono tremendamente concreti nel contrasto all’impianto accusatorio calogeriano e nella rivendicazione della legittimità dell’antagonismo e dell’illegalità di massa in oggetto.

Disciplina e militanza in continuità con il metodo politico dei Cpv, seppure nella problematicità della fase, costituirono il presupposto dell’efficacia della funzione del Cccv. Lo stile di lavoro e il metodo con cui si è gestita la materia permise al Cccv di tenere insieme diversi ambiti e soggetti sociali, anche culturalmente esterni fino ad allora alle rivendicazioni sociali sotto accusa.

Così diventa possibile costruire indicazioni, scadenze coinvolgenti una ampia stratificazione sociale, specchio del radicamento territoriale dei Collettivi.

Anche all’emersione di questa seconda leva di compagni, successiva alla nostra come fondatori dei Cpv, dobbiamo il riconoscimento di avere gestito al meglio delle possibilità la nostra linea difensiva; gestione che processualmente permetterà a noi sotto processo per banda armata a Padova e nel Veneto – rispetto ad analoghi processi a Milano, Roma, Torino – non solo tante assoluzioni, un forte contenimento delle pene complessive e dei massimali di pena ma anche la tenuta collettiva di tutti gli imputati con il rifiuto delle dinamiche dissociative che travolsero quasi tutte le organizzazioni rivoluzionarie in Italia.

La tenuta organizzativa di un centro che gestisce la comunicazione dei Collettivi (Cccv), per come ancora potevano darsi, ci dà il tempo di riprendere ed approfondire il nostro approccio con il mondo dell’immagine.

È in questa cornice che creiamo il Centro di documentazione antinucleare e antimperialista.”

“Perché erano i militanti a tutti i livelli a esserne convinti. Erano i militanti a decidere l’arma, se il sampietrino, la fionda, la sbarra oppure la pistola. È facile pensare, come è senso comune, che a decidere sia il capo ma noi non avevamo capi. A decidere era la situazione di movimento. Quanto alla pericolosità dell’azione, essa veniva assunta da chi aveva maggiore responsabilità politica. Era, questo, l’altro criterio discriminante ed è stato così che ci siamo guadagnati il rispetto e la stima dei compagni di movimento. Il tutto però dentro una sottovalutazione del nostro Stato democratico. Continuavamo a pensarlo tale, democratico per l’appunto, e di diritto, che ti arresta, ti processa, eventualmente ti condanna sulla base di un iter ben preciso, a partire dalla raccolta di prove documentate. Chi di noi avrebbe mai sospettato prima del 7 aprile il suo stravolgimento con l’introduzione dell’inversione dell’onere della prova? Forse avremmo dovuto pensarci già nel marzo del ’77 quando Calogero, sempre lui, ci accusa di associazione per delinquere, un reato associativo normalmente utilizzato nelle inchieste di mafia.

Una rappresaglia in probabile risposta alle prime azioni del Fronte comunista combattente. Un sentore di bruciato che non avevamo fiutato. È stato il fattore tempo a prendersi gioco della nostra ingenuità. Quali prove avevano contro di noi? Nessun compagno era stato preso in fallo, nessuna arma era stata mai trovata. Certo che eravamo noi a combinare tutto quel casino ma le prove? Paradossalmente proprio il flop di questa prima inchiesta rafforzava la nostra convinzione che ciò che avevamo davanti era pur sempre uno Stato di diritto. Ci sentivamo protetti dalla nostra stessa storia perché le cose erano state fatte bene, nel linguaggio della mala «in modo pulito»”.

https://www.machina-deriveapprodi.com/post/frammenti-di-vita-di-un-comunista#:~:text=perch%C3%A9%20erano%20i,in%20modo%20pulito%C2%BB

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