Guido Bianchini
20 agosto 1998
“Guido Bianchini nato nel 1926 mancato il 20 agosto1998 è stato una figura chiave dell’operaismo politico italiano, punto di riferimento delle lotte al Petrolchimico di Porto Marghera negli anni Settanta, instancabile formatore delle successive generazioni militanti. Le sue esperienze di inchiesta e le riflessioni sull’uso operaio del sindacato, su tecnologia e organizzazione produttiva, su rifiuto del lavoro e composizione di classe, fanno di Bianchini un personaggio di grande importanza, non solo per la storia delle lotte ma anche per la straordinaria attualità delle sue anticipazioni teoriche e pratiche.”
Pubblichiamo un’intervista a Lauso Zagato del novembre 2001:
“Ci puoi tracciare un profilo politico di Guido Bianchini?
Bianchini era una persona così straordinaria che è difficile tracciarne un profilo esclusivamente politico. Devo dire che ci si è provato, in morte si è parlato molto di lui, delle volte ho l’impressione che con il bene che gli volevamo abbiamo fatto così tanti medaglioni da semplificare raccontando episodi che, se fosse su una nuvoletta, ci manderebbe a quel paese. Guido è stato il più giovane partigiano d’Italia, era molto più vecchio di noi di esperienza di quanto non lo fosse come età. In un anno di guerra partigiana ai tedeschi ha fatto tempo a fare poco, ma quelli dell’Osoppo hanno cercato di ammazzarlo. La guerra tra partigiani era feroce, rispetto a queste recriminazioni reciproche che sono venute fuori dieci anni dopo la giusta linea è: ciascuno ha ragione a denunciare tutte le infamie degli altri. Guido era stato circondato da quelli dell’Osoppo che gli dicevano: “Vieni fuori Bianchini, ti faremo un giusto processo”. Però, non parliamo di come si potevano essere comportati quelli della Stella Rossa, per cui dalla guerra partigiana Guido era uscito sicuramente indurito.
Poi aveva fatto l’esperienza politica nel PSI, era sposato con Licia De Marco, di Monselice, compagna di università di mia madre di qualche anno più giovane, non una sua amica peraltro: quando Guido mi invitò per la prima volta a mangiare a casa loro ricordo la sorpresa che ci fu nel sapere di chi ero figlio io. Intanto era maturato il rapporto con Toni, lui poi per suo conto aveva sempre avuto una notevole capacità e curiosità, non si era laureato in chimica ma aveva lavorato con ditte farmaceutiche: aveva un tipo di preparazione e attenzione nel mischiare gli aspetti tecnoscientifici e politici delle cose che era molto rara in un mondo di operai e di umanisti, di lavoratori dipendenti e laureati in materie umanistiche, questo era infatti l’assetto culturale e ideologico allora prevalente. Ha cominciato la sua grande stagione che aveva già una certa età rispetto ai ragazzini che noi eravamo, ha iniziato a mettere in piedi questa grande esperienza girando tra Marghera e Ferrara, dove c’erano industrie del settore chimico.
Aveva un’umiltà spaventosa per una persona del suo livello, ciò legato anche ad una persona pesante, con un umorismo feroce, rompicoglioni, che mandava a quel paese spesso. Per tutti gli anni ’60 ha giocato un ruolo importante, aveva un linguaggio attraverso cui si capiva bene con gli operai: un’altra persona che aveva una grande capacità mimetica era Toni Negri, solo che a Guido veniva naturale, mentre in Toni era proprio capacità mimetica. A nessuno sarebbe passato per la mente di credere che fosse umiltà, era una pazienza di infiltrarsi e di capire gli atteggiamenti che era incredibile per una persona come Toni, ma a Guido queste cose invece venivano spontanee. Lui era per la linea di massa, era sempre stato assolutamente per la linea di massa. Io mi chiedo se non avremmo dovuto capire prima alcune cose che lui ha detto: ho in mente con assoluta precisione la rottura avvenuta nel convegno che facemmo a Torino nella primavera del ’71 in preparazione del congresso di Roma di Potere Operaio, in cui Guido poneva in maniera drastica la questione. Lui di solito non faceva grandi discorsi in certe sedi, era l’uomo delle riunioni di lavoro, luoghi in cui era prezioso ed aveva un ruolo fondamentale, mentre faceva raramente relazioni e interventi ufficiali ai convegni, ciò oltre ad aver scritto poco, non lasciando quindi molto per chi non lo conosceva. Infatti, Potere Operaio esisteva da anni e parecchi di quelli che c’erano fin dall’inizio non avevano percezione di chi fosse Guido e dell’importanza che aveva, lo consideravano un simpatizzante della generazione precedente, e anche da qui si capisce il suo mimetismo geniale. Aveva una capacità straordinaria di parlare in qualsiasi ambiente, in qualsiasi capannello e in qualsiasi punto del Nord Italia: magari al Sud sarebbe stato tradito per l’accento come foresto, ma in pianura padana in ogni sciopero e capannello a un certo punto si sentiva la voce dialettale veneta o veneta-lombarda di Guido, tutti stavano zitti e lo seguivano perché erano convinti che fosse uno della fabbrica vicina. Quindi, aveva una capacità straordinaria di fare lotta sociale, di viverla, di organizzarla.”
“Il discorso teorico e politico di rottura (non di rottura formale, perché non era per queste cose) fu a Torino nel ’71, quando lui disse una cosa che lì per lì mi parve stupida, la prima volta che Guido diceva una cosa che mi appariva tale: poi mi sono accorto che era una cosa intelligente, anche se credo che fu giocata male politicamente. Guido disse: “La fine dello sviluppo in un posto è sviluppo altrove”. Lui non voleva assolutamente lasciare il discorso classico operaista sullo sviluppo, mentre noi ci preparavamo ad affrontare lo Stato-crisi, con ciò che sul piano dell’elaborazione teorica, politica e dei nostri anni successivi intendevamo noi per superamento dello Stato-crisi. Ma quello di Guido non era un discorso opportunista, e si mise in quella sede a parlare di ciò che stava avvenendo in India e degli investimenti lì. Io resto del parere che c’è una forma non di opportunismo soggettivo ma di opportunismo politico detta così, però c’era anche un’intuizione politica notevole sull’unità dell’economia-mondo. Come discorso di fase non poteva reggere e non aveva senso, si mandava tutti a casa; però, magari facendo lo stesso una parte delle cose che dovevamo fare in quel momento, ma avendolo come punto di riferimento teorico e generale non sarebbe stato male, perché in realtà su alcune di quelle cose alla lunga, vent’anni dopo, è venuto fuori che aveva ragione. Eravamo un po’ prigionieri di una visione eurocentrica, anche se l’operaismo è stato il primo a superare certi limiti della nazionalità, però è rimasto prigioniero del mondo sviluppato occidentale, per cui cosa significassero gli investimenti nel Terzo Mondo all’inizio degli anni ’70 non lo avevamo ben capito, se non come modo di sfuggire alla forza qui. Comunque, eravamo un po’ prigionieri della lunga polemica con i guevaristi, con gli m-l ecc. e quindi non lo capivamo. Mi ricordo questo discorso di Guido così ricco di futuro lungo, anche se non era elaborato per essere un’alternativa alle proposte di breve termine dell’ultimo periodo di Potere Operaio e poi dell’Autonomia, non aveva quella caratura, non lo aveva nemmeno pensato così; però, aveva moltissima ricchezza strategica sul futuro del capitalismo mondiale, come spesso capitava Guido era parecchio avanti.
Lui si è trovato a disagio in carcere, perché era dentro con persone che erano di gran lunga più giovani di lui, con i ragazzi del ’77 insomma. Se io mi trovassi in galera con i miei studenti di adesso sarei sicuramente molto a disagio; lui invece se la cavò alla grande. A distanza di anni i detenuti comuni di Padova ancora si ricordavano delle battute di Guido sulla colpa delle loro mamme e delle loro fidanzate perché facevano tutto loro e li lasciavano incapaci di farsi il letto, di pulire, perché quelli ne combinavano una peggio dell’altra.
Un’altra cosa da mettere in rilievo è il Guido didattico, docente culturale, politico, scientifico e via dicendo, questo è anche il lavoro che ha fatto a Scienze Politiche ed è descritto in quell’elogio che ne fa Luciano. In realtà, scritta da lui abbiamo questa cosa per certi versi geniale ma così lontana quando è uscita che è “Sul sindacato e altri scritti”: bisogna che passino altri anni perché la si apprezzi in pieno, è necessario provare a ripensare quel periodo di dibattito sul sindacato e allora il libro di Guido apparirà in tutta la sua importanza. E’ uscito almeno dieci anni troppo presto, quando queste cose avevano perso di importanza, fa i conti con una dimensione storica, ma bisogna aspettare che torni in primo piano per essere resa in tutta la sua brillantezza. Devo dire che mi interessa molto dell’ultimo Guido ciò che scrisse sulla scienza e sulla tecnica, quella è la cosa che mi sta più a cuore e che mi ha anche creato alcune rotture psicologiche con il mondo di Seattle e simili. Ci sono suoi scritti dell’ultimo periodo e soprattutto degli anni ’70 che ha lasciato fra adepti e adepte scientifici quando lavorava nel movimento dei precari sull’uso delle nuove tecniche e sull’immateriale. Gli appunti, le cose che ha scritto, detto o pensato Guido tra il ’76 e il ’79 io non ho mai avuto il privilegio di vederle; la fase elaborativa e la sua riflessione su quel periodo in corso non l’ho vissuta perché si erano diversificati i percorsi. Questi scritti dopo il ’77 sul lavoro precario all’università e con alcuni elementi di riflessione sull’immateriale non sono dattiloscritti ma sono appunti di lezioni e dibattiti a cui ha partecipato: sono sicuramente cose che andrebbero recuperate.”
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