Cinque su sei. Dopo mesi in carcere assolti gli antifascisti di Torino
Il 22 febbraio a Torino un corteo antifascista cingeva d’assedio il comizio finale di un partitino neo-fascista che aveva affittato un lussuoso hotel per chiudere la propria campagna elettorale. In tempi di vortici social, la memoria si fa corta e l’indignazione diventa merce deperibile quindi ricordiamo brevemente il contesto in cui quel corteo ebbe luogo.
Due settimane prima, a Macerata, un uomo di ventott’anni, già candidato con la Lega nord, prende la sua auto e comincia a sparare su tutti i neri che gli capitano a tiro e ferendone sei. Prima di arrendersi fa il saluto romano e si avvolge in un tricolore. Indignazione, lacrime di coccodrillo della politica ma la campagna elettorale va avanti. Anzi, l’agibilità dei vari partitini neo-fascisti, formazioni che spesso non potrebbero neanche mettere il naso fuori dalle rispettive sedi se non fossero protetti da ingenti schieramenti di polizia, viene garantita manu militari dall’allora ministro dell’interno Marco Minniti. È esattamente quello che succede il 22 febbraio a Torino quando centinaia di agenti in assetto anti-sommossa vengono schierati per difendere il nazi meeting. Nonostante la sinistra cittadina butti acqua sul fuoco da giorni chiedendo che l’antifascismo rimanga nel platonico regno delle idee, per ore una corposa marcia antifascista prima chiede a gran voce di passare poi prova concretamente ad arrivare all’hotel NH. Al corteo segue un’isteria nazionale senza precedenti. Una maestra elementare che ha avuto l’ardire di insultare la polizia dopo aver preso una manganellata viene licenziata tra le acclamazioni giornalistiche, l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi va in TV chiedendo bava alla bocca pene esemplari contro gli antifascisti, i sindacati di polizia pretendono la testa dei manifestanti sostenendo di aver subito attacchi con armi letali degne di jeeg robot. La procura di Torino si mette subito in moto e a qualche settimana dal corteo arresta sei persone riconosciute in piazza perché per lo più attive nella lotta notav, nei collettivi studenteschi e nei picchetti anti-sfratto. Poche settimane dopo Matteo Salvini, che con il partitino neo-fascista del comizio aveva scattato selfie e intrattenuto stretti rapporti, diventa ministro dell’interno.
L’impianto accusatorio mosso contro gli arrestati appare da subito semplicemente grottesco. Ad alcuni manifestanti vengono imputati interventi al megafono troppo “aggressivi” contro i fascisti, altri vengono riconosciuti fantasiosamente su alcuni video. Tutto ruota attorno al cosiddetto “concorso morale” di cui si sarebbero resi colpevoli i manifestanti partecipando a un tale corteo senza che siano imputabili loro singole condotte criminose. L’importante è comunque inscenare uno spettacolo che risponda alle attese di giustizia sommaria invocate dalla politica. Un liceale diciottenne viene arrestato all’alba, esibito come un trofeo di caccia nei video ufficiali della questura di Torino. Messo agli arresti domiciliari, per giorni gli viene impedito di frequentare la scuola. Una studentessa subisce una perquisizione domiciliare durante la quale il possesso di adesivi “io sono antifascista” del celebre fumettista zerocalcare viene considerata una prova della sua “radicalità ideologica”. Un falegname poco più che vent’enne viene tradotto in carcere dove viene detenuto per tre mesi e per poi essere messo agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Durante la detenzione la procura di Torino riesce a fargli perdere due posti di lavoro negando pervicacemente i permessi. Tutti vengono sottoposti a pesantissime misure cautelari chi rimane detenuto, chi è costretto all’obbligo di firma per mesi prima che inizi qualsiasi processo. Processo la cui sentenza è arrivata proprio ieri. Cinque dei sei arrestati sono stati semplicemente assolti per non aver commesso il fatto.
Poco ci interessa fare dei distinguo giuridici. Per noi quel corteo era giusto e necessario, le pratiche messe in campo la minima risposta necessaria davanti ai fatti di Macerata e alla palese connivenza delle autorità italiane alla presenza neo-fascista nel nostro paese. Tutti i manifestanti arrestati, l’abbiamo detto fin dal primo giorno, non avevano altra colpa se non quella di aver fatto seguire alle parole i fatti. Se altri come loro non avessero aspettato di avere i fascisti nelle istituzioni prima di riscoprirsi antifascisti probabilmente non ci troveremmo nella situazione attuale.
Rimane l’ennesima figura imbarazzante della Procura di Torino che usa ormai le misure cautelari come clava per le proprie personali crociate politiche. Procura che non si è fatta problemi a giocare con le vite di sei giovani torinesi separandoli dagli affetti, costringendoli per mesi dietro le sbarre o tra quattro mura per salvare la “democrazia”: quella che garantisce ai fascisti di continuare ad agire indisturbati, alla polizia di fare della prepotenza la cifra della propria azione e ai PM di continuare a fare porcate come questa senza che nessuno chieda loro di renderne conto. A pochi giorni dalla festa della Librazione ci sembra una buona fotografia dello stato dell’arte nel nostro paese.
CSOA ASKATASUNA
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