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Hanau. Perché la Germania ha (ancora) un grosso problema con i nazisti

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Gli assalti, mirati a due bar del centro di Hanau, hanno provocato nove morti: tedeschi, turchi, bosniaci e bulgari. L’assassino si è barricato in casa, una modesta villetta working-class nella periferia di Hanau, ha sparato alla madre 72enne e poi a sé stesso.

Facendosi un po’ di coraggio, si trova in rete il documento che Thobias Rathjen ha pubblicato qualche settimana fa in rete – si definisce “controllato” e descrive le capacità di un “servizio segreto” di inserirsi nei suoi pensieri e sabotare ogni sua iniziativa, familiare, lavorativa, sentimentale, corredando le 24 pagine con esempi illustrati. Passa poi senza apparenti legami logici ad alcuni capitoli: “gli stranieri”; “le donne”, in cui sostiene di aver avuto pessime esperienze con “gli arabi”, e di aver “dichiarato guerra alle donne”. “Se potessi premere un pulsante per purificare il mondo, lo farei immediatamente: una purificazione di serie A, l’eliminazione di tutti gli Stati del Medio Oriente, l’India e le Filippine (…) certo, poi bisognerebbe passare alla purificazione di serie B, perché chi ha un passaporto tedesco non è detto che sia di razza pura”.
Non può essere lasciato da parte quel documento, trovato quasi immediatamente da molte testate tedesche, dalle agenzie internazionali e dai quotidiani italiani e preso a conferma del “gesto di un folle”, in tutte le sue declinazioni. Lungi da noi fare delle odiose “valutazioni psichiatriche”, che lasciamo volentieri a sbirri e giornalisti: di questa storia, conta solo che chi ha sparato odiava gli stranieri, e odiava le donne.

Facciamo un passo indietro.
Hanau è un piccolo borgo dell’Assia. In Assia è stato ucciso, a giugno, Walter Lübcke, politico della CDU che si era speso molto nel dibattito pubblico tedesco a favore del diritto di asilo concesso da Angela Merkel in occasione della crisi dei rifugiati di alcuni anni fa. L’omicidio di Lübcke arriva dopo una lunga scia di attentati ai centri di accoglienza: molotov, bombe artigianali. Un attentato fallito ad un profugo nordafricano fatto segno di colpi di arma da fuoco. Nel Land operano, come del resto in tutta la Germania, una serie di “Freie Kameradschaften” dotate di legami più o meno espliciti con i giri più militanti di Blood&Honour e Combat18 e degli hammerskins, e Stephan Ernst, l’assassino di Lübcke, ha il patentino del neonazista modello. Un passato nella NPD, il più grosso partito della destra nazista tedesca, fotografato da allora in parecchie manifestazioni, incluse quelle di Pegida, fino a comparire a braccio teso tra i membri del servizio d’ordine durante le “giornate della vergogna” di Chemnitz (per chi non ricorda: agosto/settembre 2018 – 2000 nazisti scatenano una caccia all’uomo durata giorni dopo l’aggressione mortale a un tedesco per mano di due stranieri).
Sempre in Assia, a dicembre 2018 viene sciolta una cellula neonazista all’interno della polizia federale. NSU 2.0, era il nome, richiamo evidente alla Resistenza Nazionalsocialista (NSU) che vanta una dozzina di omicidi negli anni 2000, il cui smantellamento ha portato al più grande scandalo del dopoguerra proprio perché decine di poliziotti, membri dei servizi segreti e dei vari organi dello Stato sono stati accusati di favoreggiamento, insabbiamento delle indagini, negligenza. Un rapporto di profonda simbiosi, quello tra le forze di sicurezza e la scena militante neonazista tedesca, destinato a far parlare di sé anche in altre occasioni: numerose cellule terroristiche vengono trovate, nel 2017, anche nell’esercito.

A fronte di una corroborata continuità – se non vogliamo parlare di complicità e quasi di sovrapposizione – tra settori delle forze dell’ordine tedesche e le organizzazioni di estrema destra, stupisce quanto poco in Germania se ne parli. È sentimento e conoscenza comune, almeno dai tempi dello scandalo NSU, eppure non viene trattata come un problema – fatte salve le posizioni del movimento, di alcuni coraggiosi deputati e religiosi e di qualche tutore dell’ordine dalla coscienza democratica. Anzi, il tentativo narrativo portato avanti in primis dai mezzi di stampa tedeschi e in maniera più capillare e raffinata dall’agenzia dei servizi segreti Verfassungsschutz (la sfinge che vigila sulla “dissidenza politica” della Repubblica Federale, e il cui giudizio è – letteralmente – legge), è sempre quello di ridurre la militanza neonazista all’interno della definizione di „scena“, descritta con tratti quasi folcloristici (“la scena di estrema destra”, “ancora concerti/manifestazioni/convegni della scena di estrema destra”). Un’operazione di perimetrazione e voluta minimalizzazione del peso politico del neonazismo organizzato tedesco, su cui il Verfassungsschutz si affretta a fornire cifre (“non più di 10 000 membri”) e periodici aggiornamenti dal carattere distensivo, oltre che decisamente ridicoli programmi di “abbandono dell’estremismo”, con tanto di numeri verdi e aiuto psicologico.
Piuttosto inutile sottolineare che l’attenzione investigativa tributata alla “scena” è esponenzialmente inferiore a quella attribuita – per esempio – al movimento curdo o ai collettivi, ma si sa, tra amici… e così salta fuori che Stephan Ernst, che in estate spara a Walter Lübcke, pur essendo in contatto con i gruppi più pericolosi ed avendo una quantità notevole di precedenti per la sua militanza neonazista, negli schedari di polizia e servizi segreti risultava “non tendente alla violenza”.

Quanto siano state oneste e veritiere le “cadute dalle nuvole” della maggioranza della politica tedesca in occasione di ogni nuovo attentato di questi anni non sta a noi giudicare. Sta a noi notare, invece, che se l’operazione di minimizzazione del pericolo del neonazismo tedesco porta la firma dei servizi di sicurezza, quella della legittimazione del suo discorso politico è tutta imputabile alla CDU di Angela Merkel.

Il partito che oggi in Germania raccoglie il 20% dei consensi, l’Alternative für Deutschland, nei suoi programmi riassume pezzi interi del discorso storico dell’estrema destra tedesca. Un programma elettorale al primo sguardo moderno, sovranista diremmo alle nostre latitudini, che si schiera con intelligenza sulle contraddizioni in cui si contorce da anni l’Unione Europea. Uscita dall’euro, protezionismo, uniti a temi cari al conservatorismo storico, come la riscoperta delle proprie radici cristiane. Il fatto non trascurabile è che una parte notevole della base del partito – in prima istanza molti militanti – proviene dall’esperienza di Pegida del 2014 e dall’opposizione di piazza alla nuova politica migratoria di Angela Merkel. Piazze dove molti dei futuri elettori AfD si sono incrociati, forse per la prima volta, con i servizi d’ordine della NPD che garantivano la sicurezza. Con il rapido aumento dei rifugiati e la fossilizzazione del dibattito pubblico tedesco sul tema, che diventa per mesi monopolio di tutte le televisioni, i giornali, di twitter e di facebook, è l’AfD che assume il ruolo di opposizione all’“aprite i porti” di Angela Merkel. Lo fa con sempre maggiore durezza, conquistandosi una buona base di consenso, soprattutto nelle zone rurali della Germania, e compiacendo la rete delle organizzazioni neonaziste. L’intensificazione degli attentati contro centri di accoglienza e migranti parla chiaro, e altrettanto chiaro parlano le relazioni che numerosi esponenti di punta dell’estrema destra stringono con il partito, fino a candidarsi nelle sue liste e ad organizzarne, in molti paesi, la militanza di base. Altra cosa che rende famosa l’AfD sono le posizioni marcatamente omofobe, “antifemministe” (cit.) e la proposta di politiche discriminatorie nei confronti delle comunità lgbt. Gli iscritti al partito sono al 92% maschi.
Si può discutere sulla convenienza del “fenomeno AfD”, e su una cinica questione di calcolo politico da parte della CDU. Rendendo banali un paio di anni di politica: una forte opposizione di destra sposta i voti al centro, cosa che in effetti è avvenuta, e dopotutto con i settori „moderati“ della AfD si possono pur sempre cercare delle alleanze tattiche, come dimostra l’esperimento tentato in Thuringia questo gennaio, in cui la CDU tenta di eleggere un ultraconservatore con i voti dell’AfD per impedire un secondo mandato della Linke, salvo poi abbandonare il tentativo per le proteste degli elettori.
Quello che è innegabile è la copertura politica che dà l’AfD al terrorismo nazista, e la complicità della destra tedesca nel dare legittimità a fenomeni di razzismo “organizzato” (da Pegida in avanti) che da cinque o sei anni a questa parte hanno letteralmente sconvolto il clima politico del paese. L’aumento esponenziale degli attacchi, anche di quelli non provenienti dagli ambienti strettamente militanti, lo dimostra.

Per tornare al fatto di cronaca. Thobias Rathjen, l’assassino di Hanau, odiava gli stranieri, e odiava le donne. Thobias si premura molto bene di spiegarne i motivi, se si legge qualche stralcio di quel documento, per quanto ci disgusti citarlo: “Dai giornali, ad esempio, si legge di pestaggi di 5 stranieri contro un tedesco, con conseguenti ferite gravi, o addirittura morte”. Non avrebbe dato una risposta diversa alla domanda “perché sei qui?” un partecipante alle “giornate della vergogna” di Chemnitz, nel 2018. E ancora: dopo l’esperienza di una rapina (Rathjen era commesso di banca) “mi vengono mostrate al commissariato di Polizia una serie di schede, di svariate centinaia di potenziali sospetti: per il 90%, essi sono non-Tedeschi”. Chissà se il poliziotto che gliele ha mostrate è stato poi sospeso. Chissà, forse per partecipazione al NSU 2.0?

Quello di Rathjen è un gesto folle? Abbiamo visto tanti “gesti folli”, in questi ultimi anni. La narrazione della violenza fascista, dell’“uso della forza“ in chiave razzista si dà sempre in questo scompenso, in cui le armi del delitto e i giorni di prognosi fanno da spartiacque: esiste lo “squadrismo pericoloso”, ma alla fine minimizzato, e il “gesto squilibrato”, drammatico, fatale, a cui solo la malattia mentale può spingere.
E se dicessimo che l’assassino di Hanau è solo un fascista, e che in Germania c’è un grosso problema con l’estrema destra? Un problema talmente grosso da sedere in parlamento, nei commissariati di polizia, nell’esercito, nei servizi segreti e pure nelle case? Un problema con cui sta diventando complicato fare i conti, mentre le comunità contano i morti e si organizzano per autodifendersi dal paese in cui sono fuggite.

 

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