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A proposito dei professori inquisiti..qualche considerazione

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Riprendiamo dalla pagina Facebook del Collettivo Universitario Autonomo di Bologna queste considerazioni sui fatti di ieri, con l’inchiesta che ha scoperchiato il velo su un diffuso sistema di favori e raccomandazioni tra docenti di diversi atenei di tutto il paese per orientare i concorsi pubblici per l’accesso a cariche di docenza o ricerca. Il contributo ragiona su fatti che riguardano la città felsiena ma allo stesso tempo amplia l’analisi al sistema universitario in generale e alla necessità impellenti che si agitino nuovi conflitti al suo interno. Buona lettura.

 

E’ notizia di ieri che, come riporta repubblica.it “ Sette professori universitari, titolari di cattedre di diritto tributario di diversi atenei italiani, sono stati arrestati per reati di corruzione. Altri 22 sono stati interdetti dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e di quelle “connesse ad ogni altro incarico assegnato in ambito accademico per la durata di 12 mesi”. “L’indagine è partita dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore, candidato al concorso per l’abilitazione all’insegnamento nel settore del diritto tributario, a ritirare la propria domanda allo scopo di favorirne un altro con un curriculum meno prestigioso. Da ulteriori approfondimenti sono emersi accordi sistematici tra molti professori di diritto tributario, alcuni dei quali pubblici ufficiali perché componenti di diverse commissioni nazionali, che avrebbero rilasciato abilitazioni in cambio di favori.” “Sono sei gli indagati a Bologna nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze e della Guardia di Finanza.”

Ora, precisiamolo fin da subito, non saremo certo noi, né ora né mai, a gioire per perquisizioni, interrogatori o arresti di chicchessia. Quella retorica manettara, che per tanto e troppo tempo ha affascinato intensamente e in via del tutto strumentale alcuni ambienti culturali della cosiddetta sinistra, legati per lo più all’esperienza parlamentare e para istituzionale, contribuendo alla costruzione della mitologia della legalità e della “magistratura buona”, garante della giustizia per il popolo, non ci è mai appartenuta. Siamo anzi stati noi spesso i primi a prendere marcatamente le distanze da questo genere di cultura politica, che abbiamo sempre considerato pericolosa per le lotte sociali, intaccata com’è da presupposti legalitari e tendenze reazionarie.

Eppure, in seguito a fatti così gravi per i temi che sollevano e le conseguenze che stanno comportando e comporteranno, riteniamo necessario dire alcune cose, tanto più perché, in quanto universitari, non possiamo che sentirci toccati da vicino da eventi di questo genere. Sul merito di quanto è emerso dalle prime informazioni che sono trapelate dalle indagini della magistratura, non possiamo far altro se non registrare, per quanto attiene al mondo accademico e della ricerca, l’ennesima conferma di un quadro complessivo vergognoso che andiamo denunciando da anni. E’ triste da dire, ma andare da un qualsiasi studente universitario a raccontare quel che è stato scoperto, pur portando con sé titoloni in rosso e punti esclamativi, che permettano di risaltare i più forti elementi di scandalo, risulterebbe nella maggior parte dei casi un’operazione un po’ pacchiana e, alla fine, completamente inefficace, se condotta con l’intento di stupire o generare improvvisa indignazione. Perché? Semplice, perché, che negli ambienti accademici sguazzi un intero mondo sommerso di raccomandazioni, scorrettezze e favoritismi è cosa, bene o male, già nota ai più.

Certo, ora abbiamo un registro degli indagati e delle ipotesi di reato; una serie di nomi e cognomi schedati, di fatti specifici documentati, di meccanismi ambigui – per usare un eufemismo – smascherati, ma che ci dice in più di quel che già, ahi noi, sulla nostra pelle abbiamo già sperimentato? Da prima dell’inizio delle elezioni siamo gettati in una foresta competitiva che, dal test di ingresso all’esame di laurea, per poi arrivare agli stage, ai tentativi di dottorato e a tutte le altre possibili opzioni post-laurea, passando per quasi ogni step formativo, ci costringe a barcamenarci in un mondo in cui domina la legge del “tutti contro tutti” e il mantra dell’uno su mille ce la fa. Eppure -chi ancora se ne illude se ne faccia una ragione- non basta il dispositivo tecnico politico della selezione, il potere algoritmico della macchina competitiva che, a tutti i livelli, organizza il dominio del sapere morto su base statistica per la soggettivazione capitalistica della massa di forza lavoro potenziale; no, perché ai più alti livelli della fabbrica accademica, permane la forma di potere neo-feudale.

Ed ecco che, come ultimo step, in cima alla scalata nel mondo accademico, al netto di tutta la disciplina che si è stati costretti ad auto imporsi per arrivare fin li, l’ultima selezione si tinge di un carattere ancestrale, una domanda più semplice ma ineludibile, nella maggior parte dei casi si scontra con i pochi sommersi al termine dei cicli selettivi: “ Qual è il tuo cognome?” . E’ questo, come uno schiaffo in faccia finale, l’ennesimo segno della promessa tradita, perché in quest’università, per essere l’uno su mille che ce la fa, non basta rinunciare, sopportare,accettare ma, nella maggior parte dei casi, occorre anche avere i così detti contatti giusti.

Se questo è un altro triste squarcio di colore del triste ritratto dell’università italiana nel 2017 lasciateci concludere constatando come, quel che ancora manca, almeno qui a Bologna, sia colui che dovrebbe avere l’onere e l’onore di fare le veci del pittore. Eh già, perché, questa volta, il rettore Ubertini, ancora non ci ha degnato di un commento sull’accaduto, cosa tanto più grave in quanto, come si è riportato precedentemente, la faccenda tocca e non poco l’università di Bologna. Strano che il nostro egregio Rettore non senta la necessità neppure di esprimere un commentino quando, proprio lui, ha voluto mostrarsi, fin dai primi giorni del suo mandato, come alfiere della giustizia e del rispetto delle regole. Segnalandosi fin da subito come inflessibile legalista e moralizzatore, ha avviato la sua carriera dedicandosi a una lunga serie di sgomberi e iniziative repressive di ogni genere, dagli attacchi contro la libertà di parola e contestazione all’interno dell’Ateneo fino alla complicità con gli interventi efferati degli apparati di polizia in assetto anti-sommossa, cosa che, come è stato già sottolineato da più parti, inserisce a pieno titolo il presente rettorato tra i più repressivi della storia della nostra Università, almeno dalla seconda metà dello scorso secolo.

E allora ci chiediamo, come mai il rettore Ubertini, che tiene tanto al funzionamento normale della macchina universitaria da decidere di dirottare il primo Senato Accademico dell’anno in direzione dell’approvazione di pesantissime sanzioni – per altro, lo ribadiamo, del tutto illegittime – contro tredici dei sui studenti, non ha nulla da dire su quanto sta avvenendo in questi giorni? La risposta, temiamo, è fin troppo semplice: questi episodi di corruzione, il Rettore lo sa bene, sono strutturali nella sua Università, cosa per altro confermata dalle uniche dichiarazioni emerse in queste ore dall’interno dell’Unibo e, nello specifico, dai vertici di giurisprudenza che sono, manco a dircelo, parole di completo sostegno ai professori imputati.

Quanti, tra coloro che hanno accusato gli studenti che si sono mobilitati negli scorsi mesi di turbare il corretto funzionamento dell’Università, facevano parte del sistema indebito di corruzione che sta emergendo in questi giorni? Quanti, di questi illustri professori, hanno votato in favore delle sospensioni comminate negli scorsi giorni a danno dei propri studenti, ergendosi a tribunale all’infuori di qual si voglia principio di legittimità e di legge? Domande inquietanti che restano sullo sfondo. Per quel che ci riguarda, il sistema emerso in questi giorni ci disgusta molto, ci sorprende poco e non cambia la nostra prospettiva in nulla.

Per quel che sta a noi sappiamo che è solo la parte spuntata della punta di un sistema che, fin da tempi non sospetti, abbiamo deciso di abbattere dalle fondamenta, a partire dal basso.

 

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