InfoAut
Immagine di copertina per il post

Alcune considerazioni su tortura, leggi speciali e 41 bis

Da oggi la campagna “La tortura è di Stato! Rompiamo il silenzio!” sarà presentata in alcune città: alle ore 18 di oggi a Roma, all’interno del LogosFest presso il csoa Ex-Snia Viscosa, alla presenza di Enrico Triaca, dei giornalisti Paolo Persichetti e Geraldina Colotti, dell’avvocato Francesco Romeo; alle ore 21.30 sarà invece presentata a Firenze, presso il Cpa Fi-Sud, con l’avvocatessa Calia. Nei prossimi giorni seguirano altri appuntamenti: domani, venerdì 11 ottobre, la campagna sarà presentata alle ore 22 a Napoli, presso la Mensa Occupata di via Mezzocannone; sabato sarà il turno di Teramo (appuntamento alle ore 20 al Gagarin 61), lunedì 14 quello di Perugia (ore 17,30 presso il Macadam). Ricordiamo inoltre l’appuntamento di martedì 15 ottobre, alle ore 9, sotto il Tribunale di Perugia, per un presidio in sostegno a Enrico Triaca.

Alcune considerazioni su tortura, leggi speciali e 41 bis

(di Caterina Calia)

Dopo le dichiarazioni di alcuni torturatori che tra la fine degli anni 70 ed i primi anni 80, per contrastare la lotta di classe, hanno sottoposto a brutali sevizie decine di militanti delle Brigate Rosse e di altre organizzazioni, la stampa ufficiale è stata costretta a riconoscere che in quegli anni lo stato democratico italiano aveva “istituito” la tortura, facendo sue le pratiche (sequestri di persona, finte fucilazioni, violenze e sevizie di ogni genere, waterboarding etc.) fino ad allora notoriamente utilizzate in America Latina.

In realtà che la tortura fosse praticata in maniera organizzata e scientifica (e non per iniziativa estemporanea di qualche squadretta operante in caserme o commissariati, come sempre è accaduto e accade a centinaia di proletari, immigrati, ecc.) era noto a tutti: era noto ai compagni/e innanzitutto, era noto nei quartieri proletari, ma era noto anche alla stampa ufficiale. Tuttavia, se qualche giornalista osava avanzare l’ipotesi che la tortura fosse una pratica istituzionalizzata ed imposta a livello politico e non più addebitabile a “singole mele marce” finiva a sua volta per essere minacciato ed incriminato.
La TORTURA non solo esisteva, ma era anche interesse dello Stato che si sapesse della sua esistenza e del fatto che fosse massicciamente praticata (ai militanti delle organizzazioni combattenti innanzitutto, ma anche a molti compagni sospettati di aver fornito apporti di qualsiasi genere a queste organizzazioni o di avere dei contatti con le stesse) per coglierne al massimo i frutti in termini di deterrenza e di intimidazione. Nel contempo, tuttavia, doveva essere negata per non incrinare l’immagine dello stato democratico e rispettoso dei diritti umani.
L’Italia, non era certo la dittatura di Videla, e tuttavia quanto accaduto negli anni ‘70 dimostra che quando la lotta di classe – e non solo – mette in discussione i poteri costituiti anche lo stato democratico svela il suo vero volto.
Che siano stati gli stessi torturatori (forti dell’impunità derivante dal decorso del tempo) a svelare i meccanismi politici che consentirono di praticare su larga scala la tortura ci deve comunque far riflettere sul livello di smemorizzazione costruito ed imposto attraverso una serie di misure repressive che hanno impedito nei fatti una ricostruzione, da un punto di vista di classe, dello scontro avvenuto negli anni ’70 in questo paese.
La legislazione speciale varata negli anni ‘70 non è stata affatto un coacervo improvvisato di norme tese solo a fronteggiare il c.d. “pericolo terrorista”, ma un vero progetto politico finalizzato a distruggere ed annientare un movimento rivoluzionario articolato in mille forme diverse che nel suo insieme metteva in discussione l’intero assetto economico e politico dello stato borghese.
Gli anni 70 non furono “anni di piombo”, ma anni di sconvolgimenti sociali, culturali, mentali che rompevano ogni ruolo istituzionalmente assegnato, all’interno delle famiglie, nelle scuole, nelle fabbriche, nei quartieri, che costruivano dal basso e concretamente autorganizzazione, nuove forme di relazioni sociali, mettendo profondamente in discussione il marciume delle relazioni borghesi ed il sistema economico e di potere che le teneva in vita.
Proprio per distruggere e disarmare questo movimento di massa nel suo insieme lo stato mette in campo una strategia complessa ed articolata di cui la tortura, insieme alla legge sulla dissociazione, non rappresenta che la punta dell’iceberg.
In realtà è sul piano politico prima ancora che giudiziario che vengono costruiti gli affondi sul movimento antagonista e rivoluzionario di quel periodo storico.
L’avanzare della crisi a partire dal 1973 impone allo stato borghese la necessità di ridefinire tutti i suoi apparati e le forme di rappresentanza; il P.C.I ed i sindacati, abbandonata ogni velleità di trasformazione sociale e di difesa degli interessi di classe, svolgeranno fino in fondo il ruolo assegnatogli, quello di garantire la pace sociale alla borghesia imponendo la politica dei sacrifici e svolgendo il ruolo di gendarmi all’interno delle fabbriche, facendosi carico di spezzare la resistenza operaia ai processi di ristrutturazione in atto. L’attacco a tutte le forme di lotta autorganizzate diventa sistematico: viene negata la libertà di organizzazione, di propaganda, di sciopero, di stampa, di parola.
L’esigenza del controllo sociale porta alla militarizzazione delle città con blocchi stradali, perquisizioni a tappeto, divieti di manifestazioni autonome, chiusura di spazi autogestiti, aumento della disciplina e della selezione nelle scuole e in tutti i posti di lavoro con incriminazione di tutte le avanguardie di lotta.

La repressione agisce capillarmente attraverso “le istituzioni democratiche” schedando operai, tossicodipendenti, disoccupati, senza casa ed espellendo dai luoghi di lavoro ed in particolare dai consigli di fabbrica i delegati che non condannano esplicitamente ogni forma di lotta violenta.
Il progressivo aumento delle spese militari verrà in parte destinato all’ordine interno (modernizzazione di armi e mezzi tecnici di controllo, creazione di corpi speciali, ampliamento delle funzioni di polizia a corpi fino ad allora amministrativi, come i vigili urbani).
Vengono varate le leggi antiterrorismo che nei fatti significano perquisizioni senza mandato, fermo di polizia, interrogatori senza avvocato, carcerazioni preventive fino a 10 anni e 8 mesi, aumento di tutte le pene anche per reati minori (attraverso l’aggravante della finalità di terrorismo) militarizzazione delle aule dei processi con schedatura di tutti i partecipanti all’udienza, negazione del diritto di parola per gli imputati e addirittura arresti degli avvocati per impedire qualsiasi linea di difesa diversa da quella voluta e imposta dallo stato, cioè quella della dissociazione e del pentimento.
Le galere si riempiono di migliaia di compagni e avanguardie di lotta (operai, disoccupati, studenti) e sarà proprio nei confronti dei prigionieri e delle prigioniere che verranno sperimentate le pratiche più avanzate di controrivoluzione.
L’apertura delle carceri speciali (1977) con l’attribuzione di poteri speciali al generale Dalla Chiesa, la sistematica applicazione del trattamento differenziato nell’intero circuito carcerario con l’applicazione dell’art. 90 ai prigionieri cosiddetti irriducibili (dal 1980 al 1986), l’introduzione di nuovi reati come l’art. 270 bis (associazione con finalità di terrorismo), 280 c.p. (attentato per finalità terroristiche e di eversione), gli aumenti di pena per tutti i reati commessi “con finalità di terrorismo” (1980, Legge Cossiga), la tortura, come strumento di indagine finalizzato ad ottenere informazioni e a scompaginare e distruggere le organizzazioni combattenti (praticata dal 1978 al 1983), la conseguente legge sui pentiti (1982) e infine la legge sulla dissociazione rappresentano l’ampio ventaglio di strumenti repressivi utilizzati per distruggere le organizzazioni rivoluzionarie degli anni ‘70 e ‘80, ma che furono abbondantemente utilizzati anche per reprimere i movimenti di massa.
La dissociazione in particolare (su cui bisognerebbe aprire un capitolo a sé ed il cui concetto giuridico fu introdotto in un arco di tempo abbastanza lungo, dal 1978 al 1987 ) da strumento di ricatto e premialità rivolta ai singoli prigionieri, finirà per permeare il modo stesso di fare politica stabilendo rigidi confini al dissenso.

Che la legislazione di emergenza non abbia rappresentato una deroga provvisoria allo stato di diritto, circoscritta ad un determinato periodo storico, lo dimostrano gli sviluppi degli anni successivi e dell’oggi.
Ogni qualvolta lo stato democratico si misura con le espressioni più avanzate del conflitto sociale utilizza gli strumenti repressivi forgiati proprio negli anni 70-80: la tortura quando è necessario (vedasi la macelleria messicana di Diaz e Bolzaneto) e a seguire, sempre e comunque, la politica della dissociazione, ossia la pretesa di una presa di distanza dalle forme più radicali di lotta (vedasi la criminalizzazione di ogni dichiarazione di solidarietà con la lotta NO-TAV).

Insomma la democrazia borghese non smantella assolutamente nulla: né l’insieme delle “leggi speciali” né le norme penali di chiara matrice fascista del codice Rocco. Le une e le altre risultano infatti funzionali e assolutamente adattabili alle necessità repressive e preventive che si pongono nei vari momenti storici.
Basta volgere lo sguardo all’oggi! Analizzando l’elevatissimo numero di denunce e di condanne che hanno interessato diverse centinaia di compagni (decine di procedimenti per reati associativi, imputazioni e condanne per i reati di devastazione e saccheggio con pene fino a 15 anni, migliaia di denunce per reati minori che però in concreto si tramutano anch’essi in anni di galera) si potrebbe pensare di vivere anni di conflitto sociale non dissimili dagli anni ’70.
Anche la gestione dell’ordine pubblico nelle ultime manifestazioni di piazza e nelle contestazioni contro le nocività e le devastazioni ambientali ricorda il livello di repressione di quegli anni: largo uso dei reparti antisommossa e dei militari provenienti dai corpi speciali delle missioni all’estero, cariche selvagge ed accanimento brutale soprattutto nei confronti dei più giovani, di figure istituzionali (sindaci in Val di Susa, Campania, Terni) e dei soggetti meno politicizzati. Lo stesso uso di contestazioni quali quelle di devastazione e saccheggio appare funzionalmente teso a isolare e depoliticizzare ogni iniziativa di resistenza e di lotta veicolando nell’immaginario collettivo l’idea che si tratti di meri atti di vandalismo.
Insomma lo stato attraverso i suoi apparati giuridico-militari, mettendo in campo una forza assolutamente sproporzionata rispetto al livello del conflitto, agisce in maniera preventiva al fine di impedire che lotte settoriali e di resistenza sfocino in un conflitto generalizzato e di critica all’intero sistema capitalistico.

E’ già evidente a questo punto come lo stato non ha mai avuto alcuna intenzione di dismettere le misure repressive varate dal ‘77 all’82 che anzi, negli anni a venire, saranno riutilizzate e calibrate sia per affrontare in modo autoritario le nuove emergenze che per arginare il dissenso dentro steccati di compatibilità.
Solo l’art. 90, applicato a partire dal 1980 a centinaia di prigionieri rivoluzionari, fu abrogato, ma si introdusse contestualmente ( con la Legge Gozzini, 1986) l’art. 41 bis.
Insomma cambiava il nome del contenitore, ma non il contenuto! Entrambi gli articoli disponevano infatti che “in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di grazia e giustizia, ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti.”

Nel 1992 all’art. 41 bis, già introdotto nel 1986, fu aggiunto un secondo comma che consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica le regole di trattamento e gli istituti dell’ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parti delle organizzazioni mafiose.
Subito dopo decine di detenuti accusati di appartenere alla camorra, alla ‘ndrangheta, alla mafia, fino ad allora detenuti nei circuiti di massima sicurezza vennero deportati a Pianosa e sottoposti ad angherie e sevizie di ogni genere.
Tutta l’operazione richiamava alla mente la deportazione dei prigionieri rivoluzionari nel campo dell’Asinara ed i massacri e le vessazioni a cui furono sottoposti per anni dal famigerato direttore Cardullo e dalle sue squadrette.

Nel 2002, a seguito degli attentati a Biagi e D’Antona, veniva estesa l’applicabilità del regime del 41-bis, ai detenuti e ai condannati per reati con finalità di “terrorismo ed eversione”.
Infine nel 2009 l’art. 41 bis, secondo comma è stato definitivamente istituzionalizzato entrando a far parte dell’ordinamento penitenziario. La prima applicazione è prevista per 4 anni, con successive e infinite proroghe di due anni.
Con la versione definitiva sono stati introdotti limiti anche alle visite degli avvocati, è stato sottratto il controllo giurisdizionale al giudice naturale precostituito per legge (il magistrato di sorveglianza competente alla vigilanza sul singolo istituto penitenziario) stabilendo che sul reclamo avverso il decreto applicativo del 41 bis è sempre competente il Tribunale di Sorveglianza di Roma.
L’istituzione di tale tribunale speciale richiama alla memoria ancora una volta quanto accaduto negli anni ‘70, quando si stabilì che doveva essere la Corte di Assise di Torino a processare tutti gli imputati per reati di sovversione.

Il regime del 41 bis è attualmente applicato a circa 700 detenuti, tra cui sei donne.
Dal 2005 viene applicato ai prigionieri politici arrestati nel 2003 e successivamente condannati per appartenenza alle cosiddette nuove brigate rosse: Nadia Lioce detenuta a L’Aquila, Marco Mezzasalma detenuto a Parma, Roberto Morandi detenuto a Terni.
L’altra detenuta a cui è stato applicato il 41 bis per parecchi anni era Diana Blefari; dopo quasi quattro anni di carcere duro e di totale isolamento il 41 bis gli venne revocato, ma le sue condizioni psico-fisiche erano ormai definitivamente compromesse. Abbandonata a se stessa Diana “si è suicidata” in carcere il 31 ottobre del 2009.
La finalità del 41 bis è secondo la norma quella di recidere i rapporti con le organizzazioni di appartenenza, ma è evidente che la vera funzione è quella dell’annientamento psicofisico dei prigionieri. Riguardo ai due prigionieri e alla prigioniera politica in 41 bis dal 2005 è ancora più evidente come la finalità delle condizioni di vita imposte sia finalizzato a distruggere la loro identità politica ed intellettuale e ad interrompere i legami non con una organizzazione che non esiste dal 2003, ma più in generale con quei settori di classe che ancora resistono e si oppongono allo stato di cose presenti. Negargli la possibilità di leggere, di scrivere, di tenersi informati su ciò che accade al mondo per questi prigionieri è una condanna a morte.
Tutte le tecniche di deprivazione sensoriale e sociale, ossia di tortura bianca, applicate negli anni 70 ed 80 ai prigionieri rivoluzionari per perseguirne l’annientamento gli vengono applicate ormai da oltre otto anni.
Siamo di fronte ad una tortura di lungo periodo: totale assenza di socialità (per Nadia Lioce e Marco Mezzasalma), impossibilità anche per Roberto Morandi di incontrare altri compagni, una sola ora d’aria al giorno, una sola ora di colloquio al mese con il vetro con i prossimi congiunti, divieto di ricevere libri o stampati anche dalla famiglia, limitazione nel possesso dei libri (non più di tre in cella), controllo e blocco continuo della corrispondenza, sia con i pochi amici e parenti che con gli altri prigionieri rivoluzionari.
Questi prigionieri vivono una condizione completamente diversa da quella vissuta dai detenuti politici del ciclo di lotte degli anni ’70-80. In quasi undici anni di detenzione non hanno mai incontrato altri compagni, non hanno mai potuto discutere, confrontarsi, commentare una semplice notizia, vivere un barlume di quotidianità insieme.
Tutte le forze politiche sono compatte nel ritenere necessaria questa forma di tortura legalizzata (e anche questo richiama l’unanimità con cui furono votate le cosiddette leggi antiterrorismo): il 41 bis è ormai un presidio della cosiddetta legalità da cui non si torna indietro. Ci sono solo due modi per uscire dal circuito del regime cosiddetto speciale: la morte (come è avvenuto per Diana) o la scelta di rinnegare la propria identità politica e collaborare con la giustizia.
Oggi, come nel periodo fascista, come nel periodo dell’emergenza mai finita degli anni 70 e 80, per quanto riguarda i prigionieri politici uno degli imperativi degli apparati di repressione e controllo è quello di impedire il flusso di comunicazioni e di scambi culturali, umani, politici e solidali con l’esterno e tra prigionieri per annichilire e distruggere questi ultimi, ma anche per impedire che si tessano fili che ricongiungano esperienze di ieri e di oggi e che la memoria storica venga anche per tale via ricostruita.
Non a caso anche ai circa 20 prigionieri detenuti da oltre 25 anni, molti addirittura da oltre 30 anni, nelle sezioni di alta sicurezza di Terni, Siano e Latina viene ancora censurata la posta ed impedito di avere contatti con chi non sia un familiare stretto.
*******
Le questioni accennate meritano indubbiamente maggiore approfondimento e necessità di confronto, credo però si possa intanto affermare che le misure repressive contro i movimenti di lotta, oggi come ieri, così come le condizioni imposte ai prigionieri rivoluzionari sono una scelta obbligata finalizzata a mantenere in vita un sistema di potere che nel divenire della crisi non può che accentuare la propria vocazione autoritaria e reazionaria.
Gli scenari di guerra che si intravedono all’orizzonte necessitano di una pace sociale che lo stato democratico dovrà garantire con ogni mezzo, anche con quelli più cruenti.
Quanto sta accadendo in medio-oriente deve farci riflettere su quale sarà il livello dello scontro, anche qui in Europa, negli anni a venire e su quanto oggi sia importante ogni iniziativa tesa a ricostruire la memoria della lotta di classe perché solo conoscendo il proprio passato si può tentare di orientare e determinare il futuro.

 

da militant

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

41 biscarcereprocessotorturatriaca

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il cambiamento climatico è una questione di classe/1

Alla fine, il cambiamento climatico ha un impatto su tutti.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il coltello alla gola – Inflazione e lotta di classe

Con l’obiettivo di provare a fare un po’ di chiarezza abbiamo tradotto questo ottimo articolo del 2022 di Phil A. Neel, geografo comunista ed autore del libro “Hinterland. America’s New Landscape of Class and Conflict”, una delle opere che più lucidamente ha analizzato il contesto in cui è maturato il trumpismo, di cui purtroppo tutt’ora manca una traduzione in italiano.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Controsaperi decoloniali: un approfondimento dall’università

n questo momento storico ci sembra inoltre cruciale portare in università un punto di vista decoloniale che possa esprimere con chiarezza e senza peli sulla lingua le questioni sociali e politiche che ci preme affrontare. Sempre più corsi di laurea propongono lezioni sul colonialismo, le migrazioni e la razza, ma non vogliamo limitarci ad un’analisi accademica: abbiamo bisogno dello sguardo militante di chi tocca questi temi con mano.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Stati Uniti: soggetti e strategie di lotta nel mondo del lavoro

L’ultimo mezzo secolo di neoliberismo ha deindustrializzato gli Stati Uniti e polverizzato il movimento operaio.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’intelligenza artificiale. Problemi e prospettive

L’Ai attuale è una grande operazione ideologica e di marketing, confezionata per aumentare il controllo delle persone e restringere il margine di libertà digitale” (1) Intervista a Stefano Borroni Barale, da Collegamenti di Classe L’Intelligenza artificiale (Ai) è un tema oggi talmente di moda che persino il papa ha ritenuto indispensabile dire la sua sull’argomento. […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’enigma Wagenknecht

Dopo le elezioni regionali del Brandeburgo, il partito di Sahra Wagenknecht (BSW) ha confermato di essere una presenza consolidata nel panorama politico tedesco. di Giovanni Iozzoli, da Carmilla Il profilo stesso di questa aggregazione non autorizza la sua collocazione nel campo delle performance elettorali effimere o occasionali: le radici sociali sono solide e si collocano […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Ribellarsi per la Palestina è possibile e necessario più di prima: una riflessione dal casello di Roma Ovest su sabato 5 ottobre e DDL 1660

Con questo articolo vogliamo proporre una riflessione sulla giornata di mobilitazione per la Palestina di sabato 5 ottobre a partire dall’esperienza di lotta e conflitto che abbiamo avuto come studentə e giovani di Pisa partitə con il pullman di Studentə per la Palestina, per arrivare a Roma.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il trattore torna al campo.. e adesso?

I primi mesi del 2024 sono stati segnati in molti paesi d’Europa dall’esplosione del cosiddetto “movimento dei trattori”.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico

Nessuno con un minimo di sensibilità umana può rimanere indifferente alla violenza esorbitante che viviamo in Messico, sono circa 30.000 le persone uccise solamente nel 2023, mentre nel maggio di questo 2024 ne sono state assassinate 2.657.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Abbecedario dei Soulèvements de la Terre – Composizione

Pubblichiamo di seguito un estratto del libro “Abbecedario dei Soulèvements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune” in uscita per Orthotes Editrice, curato nella versione italiana da Claudia Terra e Giovanni Fava.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Rivolta nel carcere di Cuneo

Da Radio Blackout: Nel pomeriggio di lunedì 11 novembre la quiete penitenziaria della Casa Circondariale Cerialdo di Cuneo è stata scossa da una rivolta improvvisa messa in atto, a quanto ci è dato sapere, dagli “ospiti” della sezione Nuovi Giunti del carcere del capoluogo. Data la odierna difficoltà di avere notizie sicure da dentro, quello […]

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Lettera di Anan Yaeesh dal carcere di Terni

Lettera di Anan dal carcere di Terni. E’ stata scritta il 24 settembre. Il 10 novembre si terrà un presidio sotto il carcere di Terni, dalle 14 alle 18

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La salute negata dell3 prigionier3 politich3 curd3 in Turchia

Lo scorso fine settimana abbiamo partecipato alla conferenza “Le condizioni di salute nelle carceri turche” organizzata dal Congresso Democratico dei Popoli (HDK), accogliendo con calore e gioia il loro invito ad Istanbul, insieme ad altre realtà sociosanitarie autonome provenienti dall’Europa, per lo più da Germania e Grecia.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Attenti al lupo!

Il governo Meloni, coerentemente con i suoi proclami, introduce un disegno di legge che ha lasciato carta bianca alle fantasie dei Ministri Piantedosi, Nordio e Crosetto che prevede nuovi reati e pene più pesanti per chi, come la levata di scudi conclude, “protesta”. E viene immediatamente da chiedersi, sì, ma chi protesta?

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Stati Uniti: Leonard Peltier, 80 anni di cui 48 di carcere

80° compleanno di Leonard Peltier, attivista per i diritti dei nativi americani e prigioniero politico.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Luigi Spera: cade l’accusa di terrorismo

La Corte di Cassazione ha fatto cadere l’accusa di attentato terroristico per Luigi Spera, annullando l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo, che aveva qualificato il reato attribuito a Luigi non come semplice incendio ma come attentato incendiario terroristico.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Lettera dalle detenute del carcere di Torino

Le detenute del carcere di Torino hanno iniziato uno sciopero della fame a staffetta. A comunicarlo è Nicoletta Dosio che ha ricevuto la lettera.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Carcere: suicidi, sovraffollamento, abusi in divisa. C’è chi evade per non morire

Nuove evasioni dalle prigioni italiane. Un detenuto originario della Puglia, è evaso nella serata di domenica 9 settembre dal carcere di Avellino.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Vietato protestare contro Leonardo spa!

Le lettere indirizzate a Luigi Spera, recluso nel carcere di Alessandria, sottoposte a censura!

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Luigi dal carcere: “siano i territori a dettare l’agenda politica delle istituzioni”

Pubblichiamo la lettera di Luigi in occasione del corteo NO Ponte svoltosi ieri a Messina..