Campo penale e psichiatria, uno sguardo sulla gestione della sofferenza psichica nel carcere
Ne discutiamo con Alvise Sbraccia, ricercatore in sociologia del diritto a bologna e membro dell’osservatorio nazionale sulle condizioni penitenziare “Antigone”.
Mercoledì 4 Marzo ore 19 e 30 @Spazio Z-32
Autolesionismo e suicidio sono problematiche che emrgono nella quotidianità penitenziaria. In termini più generali, il campo della giustizia penale sembra riconfigurarsi per una più marcata capacità di influenza da parte dei tecnici della psichiatria, peraltro storicamente radicati nelle istituzioni carcerarie e coinvolti, attraverso lo strumento delle perizie, nei processi decisionali del settore giudiziario.
Il carcere assorbe e gestisce sofferenza psichica. Il carcere produce e riproduce forme specifiche di sofferenza psichica: la patologizzazione delle condotte criminali e la crescente attribuzione di etichette di malattia agli autori di reato ci consente di avanzare l’ipotesi secondo la quale il sapere psichiatrico starebbe conquistando terreno nel campo della penalità e, in particolare, nella capacità di incidere più significativamente nella definizione del concetto-chiave di “pericolosità sociale”. Tale ipotesi sembra rinforzata ad esempio dai riscontri sull’uso di psicofarmaci nelle prigioni (contenimento puro? riduzione del danno da violenza istituzionale? pratica terapeutica o autoterapeutica?). Oppure dalla straordinaria pervasività del paradigma della “doppia diagnosi” nella definizione del rapporto tra tossicodipendenza e devianza. Ancora nell’ambivalenza strutturale tra le istanze di trattamento e di difesa sociale che caratterizza la pena detentiva e trova i suoi apici paradossali nelle “misure di sicurezza” e nella persistenza degli ospedali psichiatrico-
giudiziari (manicomi criminali).
Infine nel vissuto degli operatori penitenziari che non solo rivendicano di aver “ereditato” loro malgrado tanti “liberati” post-basagliani, ma si confrontano con una maggiore incidenza (percepita) della malattia mentale e con alcune tendenze di riorganizzazione sistemica (sezioni speciali, bracci “terapeutici”).
Sulla base di una serie di ricerche qualitative nelle istituzioni del controllo sociale, il seminario sarà focalizzato sulla discussione di questa ipotesi, con particolare riferimento anche ai conflitti comunicativi tra medici e altre figure istituzionali (educatori, magistrati, direttori di carcere, agenti di polizia penitenziaria), che evidenziano la natura instabile e contrastata del rapporto tra questi saperi nell’ambito più vasto degli assetti delle istituzioni totali.
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