Cos’è il Fascicolo Sanitario Elettronico e perché dovrebbe interessarci.
C’era una volta il Fascicolo sanitario elettronico…
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) rappresenta uno strumento che consente alle persone di monitorare e visualizzare l’intera cronologia delle proprie condizioni di salute. In termini tecnici, il FSE viene definito come “l’insieme dei dati e dei documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventi clinici presenti e passati, riguardanti l’assistito” (DPCM n.179/2015). Lo strumento copre una vasta gamma di attività, dalla prevenzione alla valutazione della qualità delle cure e conterrebbe in futuro l’intera storia clinica di una persona, anche proveniente da diverse strutture sanitarie e, se possibile, arricchita da ulteriori documenti caricati online dalla persona stessa.
A partire da Maggio 2020, con i decreti emanati dal governo Conte durante il periodo Covid-19, sono state semplificate le modalita’ di implementazione di dati e informazioni che, da quella data, vengono registrate in automatico e senza il bisogno di un consenso esplicito da parte dell’interessato. Oggi ogni cittadino italiano possiede un FSE, alimentato quotidianamente, sebbene le modalità e le tempistiche con cui ciò avviene appartengono a una zona grigia non ancora decifrabile ai più.
Recentemente, il FSE è stato al centro di numerosi dibattiti, riforme legislative e pareri del Garante della Privacy. ll sistema informatizzato, già attivo in diverse Regioni, diventa nazionale ed entro il 2026 sarà obbligatorio.
Attualmente, sono state avviate campagne pubblicitarie che promuovono tale strumento, cercando di renderlo accettabile e familiare ai cittadini. La campagna informativa, con i suoi materiali promozionali, vuole minimizzare le novità introdotte e le implicazioni per la privacy. Questo atteggiamento solleva preoccupazioni circa la trasparenza e l’eticità dell’implementazione del nuovo sistema. Nonostante le rassicurazioni sulla sicurezza e sulla privacy dei dati, è fondamentale essere consapevoli della possibilità di opporsi all’inserimento dei dati antecedenti al 19 maggio 2020. Tale opposizione è prevista dalla legge, ma il processo per esercitare questo diritto è complesso e poco intuitivo e deve essere portato a termine entro il 30 giugno.
L’idea che il medico possa consultare la nostra storia clinica con pochi click o che ci sia un monitoraggio istantaneo e recuperabile in ogni spazio e tempo delle proprie condizioni sanitarie può essere confortante. Pensiamo, ad alcune casistiche come ai soggetti fragili, a chi soffre di malattie croniche o ha rischi di salute immediati, chi non ha la possibilità di fare memoria del proprio stato sanitario, chi non può spostarsi fisicamente, o ancora chi, a causa di mancanza di informazioni, non riceverebbe un pronto intervento adeguato. Più banalmente: se si stesse male lontano dal proprio luogo di residenza, tutti i dati necessari sarebbero subito a disposizione per essere curati coerentemente, senza doversi affidare unicamente al proprio codice fiscale, che in alcuni casi potrebbe rallentare le operazioni di soccorso. In tali circostanze, avere accesso ai propri dati sanitari potrebbe essere cruciale.
E fin qui tutto bene..
Come spesso accade, non è in sé lo strumento il problema, ma piuttosto come venga utilizzato e la destinazione dei dati messi a disposizione. Sorge allora una domanda: i dati in possesso della Pubblica Amministrazione sono adeguatamente protetti? Sono archiviati su sistemi sicuri e impenetrabili da ingerenze informatiche, sono accessibili unicamente a personale adeguatamente formato e responsabilizzato, che utilizza i dati esclusivamente per finalità d’ufficio? Sono riservati ai professionisti della sanità ai quali ci si rivolge per diagnosi e terapie? Oppure, i sistemi della Pubblica Amministrazione sono vulnerabili, frequentemente violati, con informazioni riservate facilmente accessibili a chiunque e con un controllo degli accessi carente e inefficace?
Come spesso accade, anche in questo caso, viene trascurato l’importante fattore umano che potenzialmente può compromettere i buoni propositi legati alla raccolta dati. Affinché la raccolta sia efficace, è necessaria una preventiva digitalizzazione degli stessi. I dati dovrebbero essere inseriti nel sistema dalle diverse unità ospedaliere, dalle ASL, dai medici di base e dagli specialisti, secondo diversi stadi di digitalizzazione posti da ciascuna regione.
Considerati questi presupposti, come funzionerà e cosa cambierà nei prossimi mesi per i cittadini e per i medici non è chiaro. Soprattutto in un frangente in cui il tentativo di razionalizzare le spese avverrà con l’ausilio dell’intelligenza artificiale studiando i bisogni della popolazione e prevedendo le cure future. In compenso, è ben chiaro che a indirizzare questa gestione sia la prospettiva dei benefici economici che possono derivare dalle informazioni contenute in questi dati e non la presa in carico del diritto alla salute. E questa non ci sembra una novità. Sul medio-lungo periodo è possibile che questi dati, nonostante la loro finalità primaria, possano essere utilizzati per altri scopi.
Un’ultima carta da giocare
I margini di manovra per porre un freno all’accaparramento dati in corso sono piuttosto stretti e riguardano soltanto l’inserimento dei dati antecedenti al 19 maggio 2020. La premessa è che, com’è noto nella galassia della burocrazia italiana, i sentieri da percorrere sono particolarmente tortuosi e macchinosi. Per esercitare il diritto di opposizione, l’utente deve districarsi all’interno di un labirinto tridimensionale, richiedente ben 17 click nella sequenza corretta. Al contrario, per revocare l’opposizione, rinunciando dunque al tentativo di impedire l’accesso ai propri dati, sono sufficienti pochi passaggi, con link facilmente accessibili in più punti del processo. E’ evidente lo squilibrio, che manifesta l’intenzione di orientare e condizionare le scelte degli utenti, configurando una forma di potenziale coercizione.
Dal punto di vista tecnico, secondo la prospettiva del Responsabile della Protezione dei Dati (DPO), tale procedura costituisce una violazione del principio di trasparenza; rappresenta una grave e manifesta compressione del diritto alla libertà di scelta e di esercizio dei diritti garantiti dal GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati). E’ possibile affermare che non tutti, anzi sicuramente una minoranza, siano riusciti ad opporsi a questo inserimento. Gli ostacoli sono onnipresenti, sia di natura tecnica sia di natura che si potrebbe definire subdola, lo stesso linguaggio e la scelta del design informatico della procedura risulta manipolatorio.
Infine, considerato che per accedere a questo iter occorre la tessera sanitaria, la gestione dovrebbe spettare interamente al Ministero della Salute. Eppure, ad un certo punto del processo di opposizione, la denominazione si trasforma in “RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO“. Potrebbe dipendere da ragioni di natura tecnica ma sta di fatto che il sistema tessera sanitaria 2.0 si trova sul sito finanze.it. Un elemento che potrebbe confermare la tendenza a considerare l’ambito sanitario una questione di denaro e contabilità più che di salute, benessere e cure.
In conclusione, mentre il FSE può essere un ottimo strumento per monitorare le condizioni sanitarie di alcuni soggetti, per altri potrebbe non essere strettamente necessario. Ma ciò che pone più dubbi non è tanto la sua potenziale funzione ma la gestione dei dati e la disinvoltura con la quale questi vengono prelevati senza mettere al corrente di eventuali rischi, senza chiedere consenso e ignorando la trasparenza.
In un panorama di tagli e privatizzazioni e basandosi sui trend passati, il rischio che questi dati vengano utilizzati per scopi diversi da quelli previsti risulta pericolosamente plausibile, a maggior ragione in assenza di un piano chiaro e preciso per evitare questa possibilità. Al contrario, la creazione di un archivio così vasto di dati sensibili implicherebbe massima attenzione alla loro gestione e protezione. Non è semplice fare previsioni precise ma sulla base di questi elementi ci sono tutte le ragioni per credere che occorrerà monitorare questi aspetti.
Che ne sarà di questi dati socio-sanitari (ancora non si sa cosa si intenda con socio-sanitari nell’esattezza) lo scopriremo in futuro, di certo con i continui tagli alla sanità previsti, non ci immaginiamo che su di essi si saranno investite ingenti protezioni.
We will see…
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.
COVID19datifascicolo sanitario elettronicointelligenza artificialeprivacysanitàsanità privatasanità pubblica