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Dalla Francia all’Italia, la terra si ribella

Domenica 12 maggio una delegazione del movimento francese Soulèvements de la Terre era a Roma per incontrare altri movimenti ecologisti e invitare alle prossime mobilitazioni. Un racconto a più voci di un importante momento di scambio.

di Riccardo Carraro, da DinamoPress

Come evidenziare il nesso tra crisi ecologico-climatica che stiamo attraversando e lo sfruttamento capitalista ed estrattivista di terre e risorse? Il tema è stato al centro della tavola rotonda di domenica 12 maggio alla presenza di una delegazione dei movimenti francesi Soulèvement de la Terre e Bassines Non Merci.

Alla fine di un tour che ha permesso loro di conoscere la fabbrica GKN, il comitato per il Parco Don Bosco a Bologna e la lotta contro l’estrattivismo del marmo a Carrara, si sono raccontati in una tavola rotonda pubblica presso la Casa di quartiere di Quarticciolo. In quel contesto hanno interagito con la delegazione attivistx del Quarticciolo Ribelle, del Pratone di Torre Spaccata, e del Lago Bullicante di Largo Preneste.

Come nasce Soulèvements de la Terre?

La premessa è che il capitalismo estrattivista è un paradigma mondiale di tale potenza che è necessario che conosciamo reciprocamente le nostre lotte ma anche che ci ampliamo e ci alleiamo per essere all’altezza della sfida. Ora che il movimento internazionale è più debole, bisogna lavorare per rafforzarlo assieme.

Soulèvements è un movimento di ecologia politica che ha messo al centro la difesa della terra, dell’acqua, si oppone all’artificializzazione dei suoli e al modello agroindustriale. Il movimento è diventato di massa dopo i fatti di Sainte-Soline del marzo 2023. Lo stato francese ha cercato dopo quei giorni di dissolvere il movimento con una serie di leggi fasciste e islamofobe. Di fronte alla minaccia di dissoluzione abbiamo scritto un manifesto firmato da moltissime persone, inclusi scienziati e artisti. Sono stati fatti ricorsi giuridici e abbiamo ottenuto l’annullamento, mentre sono nati nel frattempo 150 comitati di supporto, dei quali 80 sono attivi.

La nascita di Soulèvements de la Terre è determinata da due elementi: uno è l’allargamento del neoliberismo che nega la possibilità di dialogo e ci fa retrocedere molto anche rispetto quanto ottenuto in passato. L’altro è prettamente francese cioè una situazione favorevole alla crescita di lotte conflittuali sulla scia di movimenti degli ultimi anni come quello per la Loi de Travail o i Gilets Jaunes o le manifestazioni antirazziste. Nessuno di questi movimenti ha ottenuto però delle vittorie e per questo abbiamo pensato che fosse necessario costruire nuove cartografie e alleanze.

Una parte di Soulèvements de la terre è composto da movimenti per il clima come XR e Fridays, che hanno ottenuto ben pochi successi e ricevuto paternalismo da parte delle istituzioni, incapaci di dare una risposta vera ai problemi climatici.

L’altra componente è quella degli agricoltori che vogliono costruire un movimento di massa che sia all’altezza dell’attacco dell’agroindustria. Infine vi sono i gruppi autorganizzati che seguivano il ritmo delle mobilitazioni nazionali che però rischiavano la dispersione nelle tante battaglie e hanno avuto con noi un fattore di coagulazione.

L’ultima componente è quella degli abitanti che vivono nel territorio e che sono stanchi di azioni inefficaci o non sufficienti per portare a casa vittorie, come i ricorsi legali, e sentono il bisogno di compiere azioni di impatto.

Soulèvements cerca di agire attraverso tre pratiche principali.

1) ll blocco di una infrastruttura o dell’accesso ad un sito o un cantiere

2) Il disarmamento, cioè la neutralizzazione di una infrastruttura che è finalizzata a distruggere la natura

3) l’occupazione di terra: andare a riprendere terre o zone umide abbandonate per creare luoghi alternativi in cui costruire pratiche di cura rispetto al territorio o per creare piccole realtà agricole.

Per noi è importante che questi gesti siano portati avanti da gruppi ampi dove soggettività diverse possano incontrarsi nonostante le differenze. Vogliamo usare metodi concreti che ci permettano di raggiungere gli obbiettivi e diffondere le pratiche. Quando c’è una mobilitazione deve esserci qualcosa di rivendicativo oltre il corteo, ad esempio si piantino alberi o si occupi un terreno, è importante tornare a casa con la sensazione di aver agito nel concreto.

Le mobilitazioni di Soulèvements rispondono alla necessità di superare delle soglie e coinvolgere così tante persone che possa avere senso fare un passo ulteriore nel conflitto. Per questo ci siamo incrociati con la lotta dei mega-bacini.

Ci potete raccontare questa lotta specifica?

Il problema dei mega-bacini nasce negli anni ‘70 per uno sovrasfruttamento delle falde acquifere che fece sì che il cuneo salino risalisse in falda rovinando le coltivazioni.

Ci sarebbero state due soluzioni, rivedere il sistema di produzione o una soluzione tecnologica. Hanno ovviamente scelto la seconda. Devono pertanto costruire degli enormi buchi nel terreno per far uscire la falda acquifera, buchi che vengono plastificati. La terra estratta è usata per creare delle dighe a lato del bacino. L’acqua viene stoccata durante l’inverno per poter poi irrigare durante l’estate. In momenti di siccità, anche quando c’è il divieto di estrarre acqua, loro possono comunque utilizzarla per le loro coltivazioni.

Il movimento “Bassines Non Merci” nasce nel 2018: fino a quel momento avevamo provato in tutti i modi di fermare il progetto, con ricorsi e denunce, di vario tipo. Nell’ottobre 2021 inizia però il primo cantiere nonostante il tribunale non si fosse ancora espresso. In quel momento abbiamo incontrato Soulèvements de la Terre e abbiamo iniziato a lavorare assieme.

Nella prima azione è stato invaso un cantiere, nella seconda abbiamo disarmato un bacino che era illegale, otto mesi dopo eravamo mille persone, e nel marzo 2023 eravamo in 30mila a disarmare il secondo cantiere.

Dovevano finire 16 mega-bacini ma in realtà ne hanno finito uno, un altro è appena iniziato e 14 sono stati disarmati in azioni diurne o notturne. La battaglia mediatica è stata vinta, bisogna vincere quella sul campo e a questa vi invitiamo questa estate.

Dal 16 al 18 luglio ci sarà un “villaggio dell’acqua”, per avere un momento di incontro, formazione e dibattito per rafforzare le lotte per la tutela del bene idrico.

Una settimana dopo ci saranno i giochi olimpici, non vogliamo costruire una mobilitazione durante i giochi per non creare una scissione tra sportivi ed ecologisti. È importante riappropriarsi di un immaginario legato alla natura, allo sport popolare, e quindi le giornate successive di mobilitazione del 19 e 20 luglio saranno legate allo sport.

Stupisce la vostra capacità di costruire una convergenza allargata e trasversale, riuscendo al tempo stesso ad innalzare il livello del conflitto. Come è avvenuta questa “convergenza al rialzo”?

Non c’è una ricetta miracolosa e comunque non è qualcosa di assodato, bisognerà vedere se continuerà a dare i frutti come strategia.

Cercare di ricomporre le lotte è stata una scelta strategica, bisogna uscire dal settarismo dilagante, perché con un obiettivo preciso comune il settarismo viene meno.

Due fattori sono stati importanti, in primo luogo abbiamo tenuto assieme il livello nazionale con quello locale, infatti siamo movimento nazionale che si coordina con le lotte locali che spesso si trovano in impasse e hanno necessità di nuove energie, vogliono assumere un livello di conflittualità più alto ma non da soli. Infatti solo quando c’è una legittimità abbastanza diffusa di certi gesti, si possono portare avanti alcune posizioni radicali.

È importante dire che non è un processo definito, ma che va messo sempre in discussione. A Sainte- Soline eravamo 2.000 persone e non c’era il problema di quale livello di conflitto tenere. La seconda volta c’erano invece 30.000 persone con una fortissima repressione da parte dello stato e allora la questione del conflitto è stata messa in discussione. Quest’ultima va portata sul piano culturale. Usare la parola “disarmamento” anziché sabotaggio è finalizzato a tenere una posizione etico-politica. Non siamo noi ad agire la violenza ma disarmiamo chi la agisce, sovvertendo la logica tradizionale sul conflitto. Il movimento Soulèvements de la Terre si mette a servizio delle lotte che ne fanno richiesta a partire proprio dai tre tipi di azione possibile che propone.

In questa convergenza siete anche riusciti a tenere assieme il tessuto sociale rurale e quello urbano. Avete inoltre individuato, all’interno dello spazio urbano, i contesti più fragili, quelli che lo stato tende a ignorare. Quegli stessi spazi urbani dimenticati e marginalizzati, molto spesso sono impegnati in tante battaglie sociali da non riuscire a dare priorità alla questione ecologica. Come siete riusciti a costruire questa alleanza?

A essere onesti non ci siamo ancora riusciti. Uno dei focus che abbiamo al momento è provare a sciogliere questo nodo. Tra due settimane ci saranno le prime manifestazioni urbane, mentre ci sono state nostre intrusioni in fabbriche di cemento e della Bayern/Monsanto.

Non è per forza una priorità per chiunque l’ecologia. Per gruppi antirazzisti con cui ci siamo confrontati la cosa più importante era l’antirazzismo. Per questo ci siamo messi in relazione con gruppi che già sono attivi su altri temi per darci forza a vicenda, per esempio abbiamo sostenuto la lotta dei collettivi di solidarietà per la Palestina contro Carrefour. Quest’ultimo è un obiettivo perché collabora attivamente con l’apartheid. Ma è anche un nemico di classe perché vende cari i prodotti e impone la GDO che ha un impatto su contadini e agricoltori. Con il settore della logistica stiamo facendo il tentativo di creare una geografia comune e una alleanza. Ad esempio a Parigi la prima manifestazione urbana avrà come bersaglio la logistica e la faremo coi lavoratori. Il mais, coltivato in modo intensivo, è dipendente dalla logistica per reti di diffusione molto lunghe e per questo possiamo sentire nostra la loro lotta. Nel sistema capitalista tutto è legato e connesso. Dobbiamo costruire cartografie, individuare obiettivi e fare luce sui nodi che dobbiamo attaccare.

Essere un movimento implica presenza territoriale, mobilitazione, e pure a volte presenza in possibili tavoli di confronto con la parte istituzionale. Come si gestisce questa complessità?

Quarticciolo: Da quando abbiamo iniziato a fare attività qui abbiamo misurato la forte sfiducia verso la politica istituzionale. Abbiamo cercato approccio poco identitario e in risposta invece ai bisogni reali del quartiere. Abbiamo costruito una ipotesi a cavallo tra strutture autonome e la necessità di ripensare alcuni ambiti come sport, salute, educazione uniti a piani di interlocuzione istituzionale che siano parte della nostra voglia di cambiare la situazione. Sono uno strumento che apriamo e chiudiamo quando pensiamo sia necessario. Devono essere un piano pubblico, aperto e comunicato con tutti. Abbiamo creato un collettivo politico centrale e poi assemblee di progetto. Cerchiamo di essere infrastruttura dei bisogni del quartiere e di una ipotesi di lotta nei quartieri periferici. Abbiamo cercato di essere infrastruttura anche per altre realtà dentro e fuori il quartiere e di altri terreni di lotta.

Pratone: la domanda non è facile e ci continua ad interrogare. Cerchiamo di non indietreggiare rispetto alle richieste, mantenendo la loro forza indipendentemente dalla sede dove viene tenuta. É una complessità che ci porta a cercare punto di incontro a partire da situazioni anche molto divergenti. Cerchiamo coerenza nelle nostre azioni anche quando cambiano i piani del confronto, dalla manifestazione di piazza all’incontro in Campidoglio.

Lago Bullicante: Per noi la complessità viene da una lotta che ha 30 anni. Questo comporta una stratificazione dei livelli organizzativi. Tutto è partito da un comitato di quartiere che ha messo in gioco i propri corpi come forma di lotta per bloccare una speculazione edilizia. Ha dato poi luogo ad un centro sociale e una occupazione fino agli ultimi 10 anni in cui c’è stata la necessità di avere un soggetto più inclusivo, anche nei confronti di realtà che non stavano dentro a quella storia.

Nasce pertanto il Forum che voleva ribaltare l’idea che ci era stata proposta dall’alto, degli incontri su una scelta già fatta dalla amministrazione. L’azione di lotta aveva impedito la speculazione negli anni ‘90, i tentativi speculativi si sono sempre seguiti in questi anni e grazie alla capacità di aggregare persone con l’idea di un parco siamo riuscite a evitare questa speculazione.

Bisogna aumentare la capacità di dare fiato le lotte e va fatto un lavoro comunicativo per stare in diversi ambiti inclusi i tavoli che ci vengono promossi. Anche per noi i tavoli devono essere sempre pubblici.

Soulèvements: E’ essenziale la complementarietà dei gesti, è importante fare inchieste e al tempo stesso lavoro pedagogico che dà legittimità e fa conoscere la lotta.

Gli agricoltori non son nemici, c’è un sistema dagli anni ‘50 che impone loro di coltivare in quel modo. Non siamo contro gli agricoltori ma contro i loro mezzi di produzione. Vogliamo concentrarci su un quadro più complesso, un sistema – quello dell’agroindustria — che include logistica e stoccaggio.

Avere questo sguardo ci permette di creare altre alleanze in maniera strategica. Pure il lavoro con le istituzioni deve essere complementare, si fa pressione nei confronti dei sindaci e al tempo stesso si va nei tribunali. Una volta abbiamo fatto una critical mass fino alla prefettura perché si esprimesse con una moratoria sui bacini. Mentre il prefetto riceveva delegati, abbiamo saputo che stavano facendo un nuovo cantiere e questo ha fatto sì che crescesse l’ostilità verso le istituzioni.

Una delle difficoltà è tenere assieme una visione macroscopica dell’emergenza climatica con la lotta per la difesa di un bene comune specifico (un parco, del verde pubblico, le terre). Quali percorsi sono possibili per riuscire a raggiungere questo obiettivo?

Lago Bullicante: è proprio quello che stiamo facendo in questa ultima fase di lotta. Stiamo diffondendo le ricerche scientifiche che dimostrano l’importanza di un ecosistema come quello del lago per affrontare la crisi climatica.

Una volta che si capisce il meccanismo per cui si è scatenata l’emergenza climatica, si comprende anche quanto è fondamentale intervenire. Stiamo cercando di fare un passaggio comunicativo che faccia capire che se al lago in estate ci sono 4 o 5 gradi in meno, allora sono da difendere per tutta Roma.

Pratone: Abbiamo visto che all’inizio la lotta era nei singoli territori ma era necessario ampliare lo sguardo perché quello che succede è legato a quello che accade in altre parti della città. Abbiamo portato esempi concreti dell’effetto della crisi climatica. Abbiamo mappato le isole di calore dimostrando che le chiazze rosse sono nei luoghi cementificati in contrasto con chiazze blu cioè i parchi.

Fare rete inoltre ti permette la connessione tra macro e micro. Un esempio recente è il lavoro che abbiamo fatto come Rete Ecosistemica per criticare il Piano Clima del comune di Roma. Nel documento abbiamo parlato di consumo di suolo, disboscamento, riforestazione e questo ha permesso di fare entrare il piano territoriale in un discorso macroscopico sul clima dimostrando che quest’ultimo senza il primo è manchevole.

Quarticciolo: per noi è complesso rispondere. Stiamo facendo delle ipotesi. Finora abbiamo costruito una comunità energetica, sappiamo però che non risolverà il problema del quartiere rispetto ai consumi. Quale transizione ecologica ci può essere se ci piove in testa durante l’inverno? Tuttavia grazie a questi bisogni concreti possiamo concretizzare il tema del climate change nei nostri quartieri. Queste soluzioni hanno risvolti sociali: ci sono negozi si alimentari che hanno chiuso perché non riuscivano a pagare le bollette. Anche per questo vogliamo dotare la palestra di pannelli solari. La questione energetica è un tema enorme. Bisogna partire da questi temi che però impattano con l’incapacità e la non volontà delle istituzioni. Per esempio l’Ater si rifiuta di mettere pannelli su case popolari perché ci sono occupazioni.

Credo che sulla questione climatica sia importante partecipare a momenti di lotta nostri territoriali o internazionali, perché aiutano a fare il passaggio tra quello che vive ciascuno e quello che accade a livello macro. Sentire che possiamo cambiare e riscattare le nostre vite, è un passaggio che fa costruire coscienza molto velocemente e in un modo che non vediamo nella nostra quotidianità. Resistere ad uno sgombero ha fatto molto di più di tante iniziative.

Soulèvements: La nostra ipotesi parte dal mettere assieme la questione locale con quella macro, toccando tutta una serie di aspetti e di attori.

La nostra velleità non era salvare il pianeta o il clima, non vogliamo essere supereroi ed è illusorio sperare che ci siano risposte dallo stato o da un governo. Mettere al centro la difesa della terra permette di avere una leva per territorializzare la questione ecologica e climatica.

Questa leva fa forza su tre aspetti:

– l’aspetto ecologico, poter prendersi cura dei territori e difenderli dall’estrattivismo e dall’artificializzazione.

– l’aspetto sociale, come ci si nutre? La ripresa della terra è in questo orizzonte Quale collegamento ci può essere tra operai e agricoltori che sono sempre più sostituiti da macchinari? Il cibo è ancora tema centrale. Il controllo del cibo da parte del sistema rende controllabile la nostra lotta. Avere sistemi di autoproduzione delle risorse è centrale nella resistenza al sistema.

– l’aspetto anticoloniale. Bisogna ridare le terre ai popoli a cui sono state sottratte. Il capitalismo è stata un’opera di vasta industrializzazione della presa delle terre.
Bisogna sostenere la resistenza palestinese, che è esempio di usurpazione coloniale delle terre, e offrire solidarietà ai migranti che arrivano qui perché le nostre aziende tolgono loro le terre, nei loro paesi di origine. Quindi mettere al centro la terra vuole dire fare collegamenti tra lotte locali, nazionali e internazionali e grazie a questo dare verticalità a un conflitto che può esprimersi a più livelli.

Sappiamo tuttx che la comunicazione è un campo di lotta. Quali caratteri deve avere oggi per essere coinvolgente, per uscire dalle cerchie militanti, per allargare la convergenza?

Quarticciolo: Su questo ci siamo abbastanza interrogate e cerchiamo di farne un aspetto centrale. Produrre narrativa “dalla borgata” che ribalti le narrative mediatiche e istituzionali sulle periferie è importante. Bisogna smontare la suddivisione tra abitanti di serie A e di serie B, ricostruire la verità sulle periferie senza nascondere i problemi, mettendo in crisi chiunque, a destra o a sinistra, dà forza alle nostre lotte. Bisogna comunicare con linguaggio unico, uscendo da formule identitarie e autorappresentative, permettendo di sentire chiunque parte del nostro discorso di lotta. Abbiamo usato alcuni slogan vincenti in questi anni “dalla borgata x la borgata” “Quarticciolo alza la voce”, “Quarticciolo siamo quello che facciamo”, “insieme tutto è possibile”.

Lago Snia: Non è mai sufficiente quello che fai per confrontarti con quel potere mediatico che permette l’aggressione ai territori. Bisogna destrutturare il concetto di degrado, per fare si che si evitino soluzioni come portare un centro commerciale in un luogo abbandonato. Bisogna destrutturare il greenwhashing, cioè soluzioni falsamente verdi che nascondono che si vuole ancora fare profitto a beneficio di pochi. Lo sforzo è poi tradurre gli studi scientifici per tutti quanti e renderli comprensibili ed efficaci. Un grosso strumento sono stati gli artisti che si sono messi in gioco, musica, grafica e teatro aiutano molto a potenziare la questa capacità informativa.

Pratone: È interessante usare lo strumento del ribaltamento. Abbiamo giocato sull’invertire il significato del pratone. Chi vuole costruirci dentro dice che è un vuoto: è bianco nelle carte urbanistiche. Invece abbiamo giocato dicendo che è un pieno, è biodiversitá, è un corridoio ecologico. Abbiamo fatto lo stesso con il concetto di selvatico. Se un’area non è addomesticata è vista come degrado, mentre il selvatico, con la dovuta accortezza per le questioni sociali, è una ricchezza.

Soulevements: Due questioni sono centrali. Anzitutto superare la feticizzazione: nei movimenti sembra che tradiamo qualcosa se si parla coi giornalisti o si hanno dei referenti o si va a un programma tv. Questa visione è da superare. L’importante è avere un messaggio coerente, con idee chiare e un discorso solido non importa dove lo si porti. In secondo luogo la comunicazione dipende come si costruiscono gli eventi.

Alla mobilitazione dei bacini si propose di vestirsi tutti di blu, per creare un immaginario differente, evitare la divisione tra ecologisti e lavoratori e la differenziazione di pratiche tra black bloc e pratiche più tradizionali. Bisogna evitare l’estetica dei gesti per rivendicarsi invece collettivamente le azioni. Vestirsi di animali è stato pure uno strumento utilizzato.

Abbiamo sostenuto un gruppo locale che era in impasse e non riusciva a comunicare che i fiumi erano inquinati. Per questo siamo andati con canoe nei fiumi, abbiamo raccolto pesci morti e poi li abbiamo portati in prefettura. Un altro esempio: gli agricoltori dei mega-bacini dovrebbero piantare siepi compensative dei bacini che costruiscono, ma non lo fanno. Quindi il movimento ha piantato le siepi per loro. Erano spiazzati perché o le tenevano dando continuità ai gesti del movimento, o le toglievano, non rispettando la legge.

Giocare su questo piano comunicativo è risultato vincente.

L’immagine di copertina tratta dalla pagina Facebook Soulèvements de la terre Nantes

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