Kurdistan: il problema della legge
Report sul rapporto tra rivoluzione e diritto da Istanbul, Cizre e Diyarbakir
(Prima parte)
Il processo di autonomia avviato dal Rojava e le dichiarazioni di autogoverno in molte città del Kurdistan turco (Bakur) dall’estate 2015 hanno colpito l’attenzione dei movimenti occidentali, ma sono parte di un processo politico che viene da lontano. La nozione di autonomia e quella di “autogoverno”, naturalmente, pongono problemi pratici e teorici non indifferenti, al punto che non pochi compagni da tutto il mondo stanno organizzando viaggi in Kurdistan per comprendere e apprendere di più su e da questo processo politico.
Uno degli aspetti maggiormente controversi, e non a caso talvolta minimizzati o marginalizzati con imbarazzo dagli ambiti di movimento europei, è quello dell’impianto normativo che può o deve avere un processo rivoluzionario, ancor più in presenza di un programma politico come quello del Pkk turco e del Pyd siriano che, aderendo all’idea di confederalismo democratico propugnata da Ocalan, comprende lo sforzo di superare un’ istituzione secolare come lo stato-nazione.
Tanto nel Kurdistan turco, quanto in quello siriano, esistono leggi che, con maggiore o minor successo, i rispettivi stati tentano di imporre alla popolazione. Esistono, poi istituzioni autonome che il movimento curdo ha creato per permettere alla popolazione di esprimersi e scegliere sulla propria vita; ed esistono anche tribunali popolari, codici penali autonomi e una concezione alternativa e rivoluzionaria del diritto che, concependo i sistemi penali tradizionali (occidentali e orientali) come espressione delle gerarchie capitalistiche, tenta (non senza difficoltà) di immaginare forme normative nuove ed espressione delle necessità popolari.
Pubblichiamo qui di seguito l’intervista rilasciata a Infoaut da un membro della Commissione giustizia del Parlamento cittadino di Cizre (istituzione autonoma espressione dell’autogoverno, considerata di matrice “terroristica” dallo stato turco), cui abbiamo chiesto di spiegarci come funziona un “codice penale” autonomo e come il movimento rivoluzionario curdo sta tentando di applicarlo. La città di Cizre sta pagando, al momento, uno dei prezzi più alti, in tutto il Kurdistan, per le sue coraggiose scelte di rivoluzione e resistenza a oltranza.
A Cizre, come in molte località del Bakur, diversi quartieri hanno dichiarato l’autogoverno. Nell’ambito di questo processo, come vi comportate quando ci sono comportamenti “criminali” (furto, violenza, etc.)?
Anche se la nostra lotta ha ormai quarant’anni il nostro sistema giudiziario è molto nuovo. Intanto dovete capire che il 99% dei problemi li risolviamo senza nemmeno ricorrere ai tribunali. Quando vedi un avvocato della giustizia turca sai già che ha studiato vent’anni un sistema complicato e lontano dalla gente. Qui invece lottiamo per tenere le decisioni tra le mani delle persone. Studiamo. Stiamo imparando dai libri, dai sistemi già esistenti, dai nostri eroi in Rojava…
Esiste qualcosa di simile a un vostro “codice penale”?
Sì, ma è molto generale e, visto che il Kurdistan è così grande, non se ne fa un’applicazione rigida.
Chi produce questo codice?
I legislatori sono in montagna.
Puoi dirci qualcosa in più?
È un codice molto generale quindi noi qui stiamo iniziando a scrivere il nostro, in questo quartiere. Si tratta comunque di un codice che cambia perché è la gente che decide, anche se poi di fatto gli imam o i militanti politici possono avere più importanza in questi processi decisionali vista la loro posizione.
Per quanto riguarda le sanzioni invece come vi comportate?
Se ci sono problemi in famiglia li risolviamo informalmente, ma in futuro vogliamo fare in modo che si possa andare in tribunale subito. Una donna, ad esempio, è venuta al tribunale popolare dicendo che voleva troncare la relazione con il marito. Un tempo una questione simile avrebbe preso molto tempo e non erano esclusi i delitti d’onore. Noi stiamo rendendo tutto molto semplice e rapido, si arriva subito al divorzio e la comunità assicura protezione alla donna divorziata.
Per capire l’insieme della questione, occorre comprendere che, per il sistema statale del diritto, ci sono due lati in ogni vicenda: c’è chi ha ragione e chi deve essere punito. Invece per noi esistono sempre molti lati; per questo la gestione della giustizia è più complicata per noi, e per questo la comunità intera deve essere in qualche modo coinvolta, segnalando, secondo molti punti di vista, i diversi aspetti e interessi che tocca un problema.
Tuttavia, per ora, siamo pochi a volerci prendere la responsabilità di gestire queste questioni. Dovremmo invece essere tutti capaci di esaminare le prove ed emettere un giudizio giusto ma per ora non c’è abbastanza educazione in questo senso. Va detto anche che, per i problemi più complessi (ad esempio reati gravissimi come il tradimento) esiste una corte cittadina, e sopra di lei una corte in montagna.
Esiste un sistema detentivo?
Per quanto riguarda le punizioni la prigione esiste solo come custodia cautelare, in montagna non si usa e noi non vogliamo assolutamente utilizzarla come una punizione. Sono stato io stesso rinchiuso per più di dieci anni nelle prigioni turche e odio le prigioni, qui stiamo lavorando perché non ne esistano più.
Come si vive in una società senza prigioni? Cioè come vi comportate per esempio se c’è un furto, qui a Cizre, dentro un quartiere in autogoverno?
Se c’è un furto, l’idea generale è che al ladro cerchiamo di spiegargli (ma anche di spiegarci) perché il furto non dovrebbe aver posto nella società che stiamo costruendo. Il nostro obiettivo è rompere le abitudini. Se è un bambino ad averlo fatto, si cerca di spiegargli perché è sbagliato, anche attraverso buoni esempi. Per la gente che ha più responsabilità, che è già adulta, è importante trovargli un lavoro, se hanno rubato. La punizione a volte è solo andare a lavorare (pagati) con i compagni di lavoro, o magari uno in particolare, che controlla il comportamento della persona che ha sbagliato, svolgendo una funzione educativa, di formazione della persona.
(Il rapporto tra punizione ed educazione mi fa spesso pensare alla mia stessa esperienza carceraria. In quegli anni ho imparato molto, in prigione, in quegli anni, c’erano molti detenuti politici che mi hanno fatto crescere, mi hanno aiutato a formarmi, anzitutto prestandomi o consigliandomi dei libri. Per me questo è stato “il lato buono” del carcere).
Talvolta la persona punita, ad esempio per un furto, nel nostro sistema, non può uscire dal quartiere per il periodo di educazione. Per me tanti problemi sono dovuti solo al fatto che non c’è abbastanza educazione. L’educazione è sempre la risposta perché agisce sulle cause e non sulle conseguenze del crimine. Infatti un’altra possibilità di punizione è nel levare alcuni privilegi di cui beneficia la persona punita, ma non leveremmo mai l’educazione. L’educazione non può mai mancare in un sistema autonomo.
Cosa intendi per “educazione”?
Educazione per me vuol dire solidarietà, imparare a stare bene con le altre persone: è qualcosa di sociale. I medici e gli avvocati hanno ricevuto un’educazione, in teoria, ma rubano e uccidono: significa che il vero senso di “educazione” non è quello. Magari noi che stiamo qui solo a berci un chay sappiamo come vivere insieme meglio di loro. C’è una storia che mi piace molto di un bambino che cresce e prende tanti pezzi di carta con sopra il suo nome fino a diventare ministro dell’interno. Torna dal padre e dice “Guarda papà sono diventato Ministro dell’interno”. E il padre gli risponde “Sì, ma non vuol dire che sei diventato una persona”.
Come vi rapportate, ad esempio, a un fenomeno come la prostituzione?
Noi guardiamo alle conseguenze secolari della prostituzione quindi è un delitto che secondo i casi può anche essere considerato poco grave. Una grande differenza è se si tratta di una decisione libera o forzata. Per me, ad esempio, se è forzata non se ne può incolpare la persona, mentre se è volontario qualcosa deve essere corrotto dentro di lei, e bisogna capire cosa. Spesso la gente, tuttavia, legge questo genere di delitti come crimini religiosi, perché nei quartieri la religione ha un’influenza, e allora tutto il peso dell’aspetto religioso viene riversato sul problema concreto.
Comunque cerchiamo sempre di cambiare le abitudini, veramente qui le punizioni sono poca cosa. Io qui vedo gente di religione diversa e di origini diverse che vivono insieme. Se arriviamo ad avere una società che abbraccia tutte queste differenze penso riusciremo ad avere un sistema di giustizia che funziona.
Chi scrive le regole? Chi sceglie, come sono scelti i legislatori?
I legislatori non sono eletti, sono scelti in base alle loro capacità e qualità. Chiunque può diventarlo, basta far parte del popolo e possedere le giuste qualità. Conoscere il diritto e aver studiato la giurisprudenza è un vantaggio, ma non è necessario. Chiunque ricopra questo ruolo, invece, deve conoscere perfettamente l’ideologia del partito e conosce le persone, la natura umana. È la gente che sceglie, ma per ora in ben pochi si stanno prendendo questa responsabilità.
Cosa significa che è “la gente” a scegliere? Come può essere la gente a “nominare”, e non eleggere, persone che svolgono la funzione di legislatori o giudici?
Le assemblee di quartiere mandano delegati al parlamento cittadino, dove tutte le comuni di quartiere sono rappresentate, ma anche le associazioni delle donne, i sindacati, le organizzazioni religiose, ecc. Nell’ambito di questo parlamento cittadino si decidono le commissioni (ne abbiamo per la scuola, per la cultura, per la sanità, ecc.), tra cui la commissione per la giustizia. La commissione giustizia forma i tribunali popolari; i quali, tuttavia, sono formati da persone originarie di tutte le commissioni.
Qual è secondo te il cuore della differenza tra il sistema di giustizia che state costruendo qui rispetto a quello del “vecchio mondo”?
Nel sistema dello stato le leggi non sono fatte dalla gente per la gente. Ci sono troppe regole e punizioni, che per di più arrivano dall’alto, e le punizioni sono uniformi. Nel nostro sistema giudiziario tutti sono coinvolti e tutti hanno un ruolo da giocare, questo è il cuore del nostro nuovo sistema. Cominciando da una società che sia vicina alla natura, che dia spazio alle donne e ai bambini. Quando costruiamo un nuovo edificio dobbiamo sempre ricordarci delle montagne intorno, degli alberi, dei sassi, degli animali, di tutto quanto. Noi abbiamo i piedi per terra, ma sogniamo molto forte.
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