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La Guerra e la terra di Lilliput

#Bakhmut cittadina di poco più di 72 mila abitanti situata nell’Oblast di Donec’k, e #Zelensky la voce stridente dell’Occidente.

da Noi non abbiamo patria

Il 24 febbraio prossimo sarà un anno che il conflitto sotto traccia, solcato dalla disperata cavalcata dell’Occidente verso l’Oriente, è sfociato in conflitto militare aperto. Un conflitto denso di incognite, che l’Occidente, nonostante le sue strategie messe in atto soprattutto negli ultimi 13 anni, non riesce a venirne a capo.

Biden si reca a Kiev a rassicurare che il mondo è con l’Ucraina, le democrazie sono a fianco dell’Ucraina, perchè l’America è al fianco degli Ucraini.

Uno <<sfavillante>> Zelensky, così lo descrive il giornale ”la Repubblica”, durante l’incontro con Biden conferma che l’Ucraina sta vincendo per la rafforzata ed ostinata volontà del suo popolo a resistere. Usa come esempio gli esiti sul campo di battaglia degli ultimi giorni, proponendo come emblema proprio quanto accade a Bakhmut, teatro di aspri combattimenti tra le forze militari russe e ucraine per il controllo strategico lungo il corso del fiume Bakhmutka, affluente del Dnepr. La cittadina si è svuotata, la maggior parte della popolazione è fuggita per scappare alle conseguenze della guerra. Zelensky dichiara che essa, a causa dei colpi della artiglieria russa, è ridotta ad un cumolo di rovine, nonostante tutto con poche migliaia è decisa a resistere a costo della vita.

Ma quali sono i caratteri di questa popolazione, composta originariamente, a seconda dei censimenti del governo centrale di Kiev, qual’è la storia di questa città?

Se indaghiamo con lo sguardo obiettivo i conti non tornano. La città ha origini antiche quando lo Zar Ivan fece costruire una cittadella fortificata per proteggere i confini del sud della Rus’, ormai Moscovia, dai continui raid operati dalle forze dell’Orda d’Oro e del Khanato di Crimea. Nella storia moderna dal 1924 al 2016 essa ebbe fino al 2016 una diversa denominazione Ucraina: Artemivsk. La cittadina già fu luogo di combattimenti tra le forze militari separatiste locali e l’esercito nazionale di Kyev durante l’estate del 2014, quando a seguito dei fatti di piazza Maidan nel Donetc’s e nel sud est Ucraino si infiammarono i moti separatisti e autonomisti. Quello che si puó ricostruire circa la storia recente di questa città è controverso. Nelle elezioni politiche del 2012 vinte dal Partito delle Regioni (del Presidente Yanukovic che quelle elezioni le vinse, e che poi fu costretto a dimettersi dalle rivolte di piazza Kieviana del dicembre 2013 e inizio 2014), lo stesso partito, di orientamento “euroscettico” e favorevole ad una ampia autonomia dei vari Oblast, si affermó con il 72% dei voti. Evidentemente se a Kiev e in Volina e Galizia pulsava una forza ribelle nazionalista che guardava alle forze del mercato ad Occidente ed ai suoi circuiti finanziari, gran parte del paese non era proprio di questo l’umore, e non lo era soprattutto nelle regioni dell’ Est del paese e nel Donbass dove ancora era forte la catena economica del mercato, che via carbone e via gas, guardava ad un “cartello” di alleanza tra produttori di materie prime energetiche con le corporation economiche Russe. A Kiev, Galizia, Volina, Donetc’s e Lughansk i lavoratori tutti attratti lungo le catene della produzione del valore.

Secondo gli ultimi censimenti precedenti ai fatti che vanno dal 2014 ad oggi, a Bakhmut / Artemivsk la popolazione era così composta:

  • 69% Ucraini
  • 27% Russi
  • 4% altri gruppi (Bielorussi, Armeni, Rom, Ebrei).

Raggruppati per lingua:

  • 62% Russo come prima lingua
  • 35% Ucraino come prima lingua
  • 3% altri gruppi etno linguistici

Allora a ben vedere, i conti non tornano; nella narrazione che Zelensky afferma di fronte al “capo supremo” dell’Occidente e al mondo qualche cosa non quadra.

Primo fra tutti le categorie di Ucraini e Russofoni, Ucraini e Russi residenti in Ucraina.

Qual’è il tratto che definisce l’Ucraino e il Russofono? Evidentemente per un Ucraino di Bakhmut che si definisce o si definiva etno linguisticamente Ucraino di lingua Russa, risulta incomprensibile la denominazione di “Russofono” così come il cattere distintivo di “Ucraino” che a Kiev o a Leopoli và per la maggiore. Le definizioni che vanno per la maggiore lì e qui sono maleodoranti e puzzano di sciovinismo e di una visione eurocentrica ed orientalista dal punto di vista Occidentale, per cui l’Ucraino che si dichiarava etno linguisticamente di lingua “Russa” (ora non puó più, perchè vietato dai governi succedutesi a Kiev dal 2014 in poi) è qualcosa di alieno cancellato nella sua specificità dal mercato e dalla guerra, da quella forza impersonale che Kostomarov nel 1861 definiva come circostanze della storia al riguardo dei due popoli russi.

A scanso di equivoci: le forze impersonali del mercato sono più forti di qualsiasi tradizione e di qualsiasi eredità culturale e “nazionale” del passato, il mercato ha la capacità di forgiare una identità asservendola alle necessità della accumulazione e della sua concentrazione laddove la forza economica attrae come un magnete il ferro. È già successo e per l’Ucraina non sarà più possibile tornare a quello che era prima del 2014, del 2001, del 1991, del 1939, del 1921, del 1917, quando a questa data essa era da secoli sradicata in due, la parte Occidentale sotto il dominio Polacco-Lituano, poi Prussiano Tedesco ed infine sotto il tallone di ferro della finanza imperialista. L’altra parte viveva la sua complicata identità come popolo produttore di grano della Piccola Russia, che lo rendeva vicino alle vicende del popolo del mir della Grande Russia.

Le circostanze della storia hanno determinato nuove condizioni che inevitabilmente negano la possibilità di un ritorno al passato. Se il torto storico di Putin è quello di riferirsi al presente – dove l’Occidente è costretto a ridurre la Russia come mero paese produttore di materie prime – guardando al passato svanito per sempre; quello dei leader Occidentali e di Zelensky è di rinnegare le verità delle circostanze della storia.

Dunque Zelensky mente, ossia nasconde le verità storiche dietro una serie di mattoni bugiardi erigendo un muro.

Zelensky è la cattiva coscienza conseguente dell’Occidente, dell’Italia e dell’Europa che per puntare l’Oriente hanno trasformato l’Ucraina nelle proprie truppe ascare da sacrificare sul mattatoio della guerra. Zelensky si fa sfoggio di fronte all’Occidente del sacrificio della sua gente di cui non conosce il passato recente e la labile eredità culturale e materiale che essa contiene in un vaso composito riempitosi attraverso secoli, generazioni e nel secolo precedente.

Zelensky appare coraggioso perchè, al di là del “mondo unito” al fianco dell’Ucraina, l’Occidente e soprattutto l’America non trova nel mondo reale, nel capitalismo reale, le basi materiali per la applicazione pratica della sua strategia a lungo inseguita. Sembra svettare come un gigante, perchè l’Europa e l’America sono alle prese con i loro limiti e con l’isolamento da parte del resto del mondo che non intende sposarne la causa.

Allora Biden continua a recitare una parte che non riesce a sostenere e fa recitare il “giullare”. Al tempo stesso non puó cambiare copione e lascia Zelensky a prendere il centro della scena, declamando certezza nella vittoria, ma richidendo coerenza nella guerra contro l’Oriente e la Russia cui l’Occidente non riesce a dare seguito con la conseguenza delle premesse promesse già dal 2012 / 2014, tantomeno puó fare un dietrofont immediato totale. Come nel paese di Lilliput, tutti mentono e plaudono alla menzogna.

La tenacia armata dei produttori della materie prime energetiche, un cartello capitalista che si muove tra Mosca e Riad e che potrebbe anche lusingare Tel Aviv (in preda ad una crisi sociale che colpisce la sua coesione nazionale come Stato Sionista) è una corda di cuoio dura da masticare. Mentre Cina osteggia apertamente, India, Pakistan parte dell’Asia e dell’Africa in crescita voltano le spalle all’Occidente.

Nel frattempo lavoratori, uomini, donne, bambini, immigrati e la povera gente soffrono le morti per una guerra che non si sa per quale popolo si combatta: “Ucraino, Russofono, Filo Russo, Ucraino di lingua Russa”, per le minoranze Kazare, Tatare, Turche, Ebree, Rom, Moldave e Bielorusse della cosiddetta Ucraina, per il vaso composito delle popolazioni di Bakhmut?

Lo stesso vale per i soldati coscritti di entrambi fronti.

In tutto questo solo una cosa avrebbe senso da fare qui, nel cuore della decrepita Europa e nell’Italia, che si vantano del loro liberalismo democratico storico (che gronda sangue della violenza coloniale lunga di 500 anni). In questa guerra, che si manifesta nella forma più violenta per un solco già arato anni prima del 24 febbraio 2022 e che la crisi dell’Occidente per l’emergente concorrenza dal continente Asiatico ha accelerato, ecco sarebbe necessario chiarire il 24 febbraio 2023, in ogni modo possibile e nelle piazze confuse e incoerenti che “anelano” preoccupate pace, che bisognerebbe opporsi con tutte le forze alla partecipazione dell’Italia alla guerra, una partecipazione che era in essere prima del 24 febbraio 2022 e continua oggi inviando le armi e gli aiuti militari al governo Ucraino. Ma l’anelito di pace sembra più rivolto a salvare l’Europa dal declino della sua partecipazione al dominio del mercato, sperando di salvare il salvabile dalla società che culla della democrazia liberale che per secoli e nel XX secolo in nome della civiltà ha saccheggiato il mondo.

Il modo di produzione capitalistico basato sulla più aspra e violenta concorrenza sul mercato mondiale e sullo sfruttamento dell’uomo e della natura non trova soluzioni alle sue contraddizioni, e con questa impossibilità anche il concorrente che resiste ad Oriente è destinato all’unico e comune logoramento, in quanto complementare nella comune e generale catena mondiale del valore e dello sfruttamento. Confidenti in questo, altre alternative non vi sono, se non la continuazione della barbarie.

Quindi rimane almeno nell’immediato la necessità di denunciare, senza se e senza ma, senza alcuna timidezza, nettamente l’Italia e il suo governo impegnato a piene mani nella campagna militare, inviando armi all’Ucraina ed adoperandosi con tutti i mezzi e per interesse proprio a sostenerla – come parte dell’Occidente – anche attraverso le iniziative economiche, politiche e diplomatiche, il cui unico esito certo è il perdurare della guerra e del suo macello in un tempo davvero lungo, per la conservazione della reazionaria Europa (al suo canto del cigno), culla del capitalismo e dell’oppressione degli sfruttati ed i lavoratori di ogni nazione, religione e colore, “modello” che per forza storica ha forgiato il resto del mondo a sua immagine e somiglianza attraverso le trame del mercato.

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