
Una resa dei conti coloniale: come la guerra di Israele contro l’Iran riapre vecchie ferite
Riprendiamo di seguito questo articolo di Soumaya Ghannoushi, apparso su Effimera.
Condividiamo in gran parte quanto scritto nel testo e nell’introduzione di Effimera, ci teniamo a sottolineare per quanto riguarda il nostro punto di vista che sicuramente quello del multipolarismo rappresenta un orizzonte del desiderio tra le masse del sud del mondo (ed anche qui da noi in parte), ma, come già detto in altre occasioni, non è la condizione del presente e probabilmente neanche del futuro prossimo. La domanda che ci facciamo in prospettiva è se questo desiderio, con il procedere della storia e con il maturare delle contraddizioni, può maturare in un internazionalismo compiuto. Chissà, intanto vi lasciamo all’introduzione originale di Effimera.
Non è facile intervenire, in questo momento, sul tema delle guerre in corso. Ci sembra di poter accennare solo a pochi elementi: per primo, la questione della violenza che è stata completamente sdoganata come espressione “normale” del dominio contemporaneo. Perfino le forme di governo delle società antiche, che pure non si sono fatte mancare guerra, mantenevano un concetto di potere e di legge (isonomia, civitas) la cui essenza “non si basava sul rapporto comando/obbedienza e non identificava il potere con il dominio né la legge con il comando” (H.Arendt, Sulla violenza, trad. it., Guanda, Milano 2021, prima edizione 1969). Il secondo, è la crisi conclamata della società occidentale che non sa rispondere al proprio declino se non provando a imporre con la forza la propria egemonia, dentro un’idea centralista e unilaterale, oggi completamente perdente, fallimentare. Il terzo aspetto è infatti che le nazioni e i popoli del sud del mondo, pure con tutte le differenze, le complessità e le contraddizioni, dentro un orizzonte che si declina ormai come pienamente multipolare e desideroso di riscatto, non accetteranno passivamente la soppressione del proprio diritto all’esistenza e all’autodeterminazione.
Annichilisce che l’Europa, il continente del colonialismo ma anche delle rivoluzioni, non sappia incarnare una via alternativa a uno scontro che, date queste premesse assai sommarie, si preannuncia ricco di incognite inquietanti. L’Europa preferisce rappresentare una fortezza armata e respingente, schiacciata dai propri perturbanti incubi, incarnazione del nuovo volto mostruoso e tirannico del capitale sovranista, piuttosto che un ideale di dialogo e di negoziazione, uno spazio “altro” improntato ai concetti di pluralismo, convivenza, di costruzione di un modo diverso di pensare e di stare sul pianeta, che parte dal bisogno insopprimibile dei legami tra esseri umani, tra umano e non umano.
La situazione è, comunque, molto caotica e in costante evoluzione. Inseriamo al termine di questo articolo alcuni suggerimenti di lettura
* * * * *
Israele non nasconde più i suoi crimini. A Gaza, Israele perpetra un Genocidio aperto, radendo al suolo ospedali, scuole, moschee e condomini. Più di 55.000 persone sono state uccise. Un assedio totale soffoca il territorio devastato.
Dopo aver camminato per chilometri tra le rovine, esausti e affamati, i civili si precipitano sui camion degli aiuti umanitari in cerca di una possibilità di sopravvivenza, solo per essere abbattuti. Alcuni tornano con sacchi di farina, altri con i cadaveri insanguinati dei propri cari, uccisi a colpi d’arma da fuoco, bombardati, mentre si affannavano per procurarsi un po’ di cibo.
E Gaza è solo un fronte.
In Libano, Israele colpisce a piacimento: bombarda case, assassina oltre confine, occupa villaggi che non ha mai lasciato. Tiene il controllo delle Alture del Golan siriane, si espande più in profondità nella Siria meridionale e lancia missili ai confini di Damasco.
I confini non contano nulla. Le leggi contano ancora meno. Israele si muove come vuole, uccide chi vuole.
Ora si è rivolta all’Iran.
Dopo colloqui indiretti tra Teheran e Washington in Oman, Israele ha lanciato una guerra improvvisa e immotivata. Prima, omicidi: comandanti militari, scienziati, funzionari civili. Poi attacchi aerei: contro siti militari, centrali elettriche, aeroporti e persino infrastrutture pubbliche. La scusa? Il programma nucleare pacifico dell’Iran, che è pienamente monitorato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.
L’IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE
L’ipocrisia è sconcertante.
Il Presidente francese Emmanuel Macron si è precipitato al fianco di Israele, affermando che il programma nucleare iraniano rappresenta una minaccia per la sicurezza globale: lo afferma la stessa Francia che ha contribuito a costruire segretamente l’impianto nucleare israeliano di Dimona negli anni ’50 e ’60, consentendo la costruzione dell’unico arsenale nucleare non dichiarato della Regione, in violazione del Diritto Internazionale. Nessuna ispezione, nessuna supervisione, nessuna responsabilità.
Si ritiene che Israele possieda ora tra le 80 e le 90 testate nucleari, oltre alla capacità di secondo attacco tramite sottomarini e aerei. Rifiuta le ispezioni e non ha mai firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Eppure bombarda incessantemente l’Iran in nome della non proliferazione nucleare.
La Gran Bretagna ha rapidamente seguito la Francia, inviando aerei della Royal Air Force in Medio Oriente per sostenere Israele. Gli Stati Uniti hanno intensificato ulteriormente l’azione, spostando due cacciatorpediniere verso il Mediterraneo Orientale, aumentando le spedizioni di armi e sincronizzando le operazioni militari con Israele in tempo reale. Washington non sta guardando; è in guerra.
La Commissione Europea ha seguito ciecamente, ripetendo la stessa linea: “Israele ha il diritto di difendersi”, anche ora, che è l’aggressore e l’Iran si sta difendendo da un attacco straniero.
È lo stesso copione usato per giustificare il Genocidio a Gaza; la stessa copertura per i Crimini. Il Diritto Internazionale e le norme umanitarie sono sospesi per Israele.
E così l’Occidente continua ad armarlo fino ai denti, non per proteggere i civili, ma per dominare la Regione. Per garantire che Israele rimanga l’unica potenza nucleare. Per controllare, annientare, espandere.
Sia chiaro: Israele non è mai stato solo uno Stato. È stato creato come Colonia Occidentale per sostituire gli imperi in ritirata di Gran Bretagna e Francia. La Gran Bretagna ha ritirato le sue truppe, ma non le sue ambizioni. Gli Stati Uniti sono intervenuti, assumendo il ruolo di esecutore regionale, sostenendo i tiranni, assicurandosi il petrolio e reprimendo la Resistenza.
L’obiettivo non è mai cambiato: soggiogare la Regione, estrarne le ricchezze, mettere a tacere la sua popolazione.
Ma questa volta, la strategia sta fallendo.
IL MONDO ARABO INFURIATO
Israele è ora governato da fanatici, apertamente e orgogliosamente. I ministri minacciano l’annientamento. I coloni gridano slogan di Genocidio. I soldati si filmano mentre demoliscono palazzi e posano con la lingerie delle donne che hanno sfollato e ucciso. Famiglie sepolte nel cemento, bambini cancellati dalle aule: tutto in nome della “sicurezza”.
A Gerusalemme, la Moschea di Al-Aqsa, uno dei luoghi più sacri dell’Islam, viene ripetutamente presa d’assalto. Folle israeliane marciano per le strade gridando: “Possano i vostri villaggi bruciare”. Celebrano la distruzione delle scuole a Gaza. Il Genocidio non viene più negato; viene dichiarato.
E il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, l’architetto dell’Apartheid e della guerra, si presenta davanti alle telecamere affermando di difendere il “mondo libero”.
In tutto il mondo arabo, la gente osserva: amareggiata, disgustata e infuriata. I loro rappresentanti stringono la mano ai Criminali di Guerra. Normalizzano mentre Israele incenerisce. La Regione è rimasta paralizzata, impotente.
Fino ad ora. Perché questa volta, qualcuno si è fatto avanti.
L’Iran non è Gaza. È uno stato sovrano di circa 90 milioni di persone, che si estende su 1,65 milioni di chilometri quadrati. Il suo territorio ostacola le invasioni, la sua profondità assorbe gli attacchi e i suoi missili penetrano in profondità in Israele. È stato sanzionato, sabotato, assassinato, eppure resiste ancora, continua a contrattaccare.
Per la prima volta dal 1948, le città israeliane sono sotto un fuoco continuo. L’illusione di immunità è svanita.
E Israele non può dichiararsi vittima, non quando detiene le bombe, le armi nucleari, il sostegno di ogni potenza occidentale. Non quando ha trascorso decenni ad attaccare gli altri impunemente.
RIAPRIRE VECCHIE FERITE
In effetti, la Resistenza dell’Iran ha infranto le illusioni: il mito dell’invincibilità di Israele, il silenzio della Regione, la menzogna della neutralità occidentale.
Persino coloro che un tempo erano ostili all’Iran per motivi religiosi o politici ora esultano, non perché l’Iran sia perfetto, ma perché finalmente qualcuno ha detto: basta.
E in Iran, qualcosa di più profondo si è risvegliato. Questa guerra ha riaperte vecchie ferite.
Molti ricordano il 1953, quando la CIA e l’MI6 orchestrarono un Colpo di Stato contro il Primo Ministro Mohammad Mosaddegh dopo che aveva nazionalizzato il petrolio iraniano. L’Operazione Ajax rovesciò un governo democraticamente eletto e reintegrò Mohammad Reza Shah, un dittatore filo-occidentale. Seguirono 25 anni di repressione, attuata dalla polizia segreta Savak, armata e addestrata dall’Occidente.
Ma le ferite sono più profonde.
All’inizio degli anni ’90 del diciannovesimo secolo, una rivolta scosse l’Impero dopo che lo Scià cedette a una società britannica il controllo dell’intera industria del tabacco iraniana. Guidati da religiosi come l’ayatollah Shirazi, gli iraniani lanciarono un boicottaggio nazionale e la concessione fu infine annullata. La rivolta indebolì la dinastia Qajar e impresse nella memoria collettiva dell’Iran una lezione bruciante: mai più sottomettersi al controllo straniero.
Quel ricordo è ancora vivo, in ogni coro, in ogni protesta, in ogni funerale.
Ogni missile lanciato oggi porta con sé il peso di un secolo di tradimento e Resistenza. Ora, accade di nuovo.
Un filmato è diventato virale: una donna iraniana senza velo, con la voce rotta dalla rabbia, denuncia il Genocidio a Gaza, il silenzio dell’Occidente e decenni di degrado inflitti al suo Paese. Poi grida: “Vogliamo una bomba nucleare”.
Non si tratta di distruzione. Si tratta di dignità. Si tratta di dire: non saremo più distrutti.
Non si tratta solo di un conflitto militare, ma di una resa dei conti storica, di una rottura psicologica.
L’Iran non si sta limitando a reagire. Sta ricordando.
E il cambiamento si sta diffondendo.
AGGRAPPATI A UN’ILLUSIONE
Il Pakistan, l’unico Paese a maggioranza musulmana dotato di armi nucleari, ha lanciato l’allarme. Il suo Ministro della Difesa ha avvertito che la Regione è sull’orlo del baratro e che il Pakistan potrebbe essere il prossimo. Mentre Israele rafforza la sua alleanza con l’India, Islamabad prevede cosa sta per succedere.
Anche la Turchia è in allerta. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha avvertito lo scorso anno che Israele avrebbe “messo gli occhi” sul suo Paese se “non fosse stato fermato”. Poi è arrivata la gelida replica di Netanyahu alla Knesset (Parlamento israeliano): “L’Impero Ottomano non risorgerà tanto presto”. Questa non è una lezione di storia, ma un avvertimento. La Turchia sa che non si tratta solo dell’Iran; è una campagna per riaffermare il controllo a tutto campo sulla Regione.
Israele, forte del sostegno occidentale e di un potere incontrollato, ora crede di poter soggiogare l’intero mondo musulmano: bombardarlo, affamarlo, frammentarlo, umiliarlo.
Ma la Regione si sta svegliando. Questa è una guerra alla dignità, alla sola idea che qualcuno in questa Regione osi ergersi a testa alta.
Eppure, l’Occidente si aggrappa ancora a un’illusione. La BBC intervista il figlio dello Scià, chiedendo se gli attacchi israeliani potrebbero contribuire a “liberare” l’Iran. Come se gli iraniani aspettassero di essere salvati dal figlio di un dittatore, un dittatore che loro stessi hanno rovesciato. Come se la “libertà” derivasse da missili e monarchi.
Israele pensava di poter ripetere il passato: assassinare, bombardare, rivendicare la vittoria. Ma ora Tel Aviv, Haifa e Ashkelon sono sotto attacco.
La guerra è entrata in territorio israeliano. L’illusione di invulnerabilità è finita.
E l’Iran può Resistere. Si è preparato a questo momento per decenni. Il sogno che Israele potesse distruggerlo in pochi giorni è svanito.
Tel Aviv ha acceso un fuoco che non può contenere. E l’Occidente? Si schiera di nuovo con Israele, senza maschera. Armandolo, proteggendolo, usandolo. Non per la pace o la giustizia, ma per il controllo.
Ma questa volta la Regione è sveglia. E la resa dei conti è iniziata.
La storia si muove. E potrebbe non muoversi a favore dell’Occidente.
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Soumaya Ghannoushi è una scrittrice britannico-tunisina ed esperta di politica mediorientale. I suoi articoli giornalistici sono apparsi su The Guardian, The Independent, Corriere della Sera, aljazeera.net e Al Quds. Una selezione dei suoi scritti è disponibile su: soumayaghannoushi.com e su Twitter @SMGhannoushi.
Traduzione: La Zona Grigia
Fonte: https://www.middleeasteye.net/opinion/israels-attack-iran-brings-west-closer-its-day-reckoning
16 giugno 2025
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