“La Stampa” è bugiarda anche sulla Palestina
Per ciò che riguarda le preferenze politiche, Jaber ha affermato che a Dicembre la tendenza era simile a quella del 2006, con un testa a testa tra Fatah (partito di Abu Mazen) e Hamas, e una grande percentuale di indecisi. Come allora, però – ha aggiunto – probabilmente la maggioranza degli indecisi decreterebbe la vittoria di Hamas, dal momento che la tendenza generale è a sostenere un cambiamento dello scenario iniziato con gli accordi di Oslo. La religione c’entra poco: “Il problema è politico. Abbas ha avuto dieci anni per offrire qualcosa ai palestinesi e non è arrivato nulla. I prezzi sono molto alti nei Territori, ma i salari si aggirano sui 2.500 NIS al mese [poco più di 600 euro, Ndr]. È un mistero come molte famiglie possano a tutt’oggi sopravvivere”. L’alternativa, spiega Jaber, non può che essere un movimento forte e legato a pratiche di resistenza, perché ad oggi il 65% dei palestinesi vuole lo scioglimento dell’Anp ed è favorevole a un’Intifadah violenta. “Votare Hamas è una questione pragmatica: anche molti ex elettori di Fatah – che nel frattempo non sono diventati islamisti – votano Hamas, come tante persone atee e di sinistra”.
I palestinesi, spiega, detestano in maggioranza sia Fatah che Hamas (se si fa esclusione, com’è ovvio, per i rispettivi militanti politici): “Il fatto che a dieci anni dallo scontro seguito alle elezioni del 2006, in cui Hamas ha preso il controllo di Gaza ma è stata sostanzialmente bandita dalla Cisgiordania, i due partiti non abbiano trovato una riconciliazione, non è guardato dal pubblico come un’appassionante querelle politica, ma come una volgare spartizione di potere – mentre il popolo piange”. In questo scenario, la sinistra versa in una crisi estrema. Una coalizione a tre guidata dall’Fplp ottenne nel 2006 pochissimi seggi in parlamento e, afferma Jaber, nuove elezioni potrebbero essere anche più punitive. Come è possibile, gli chiediamo, che un’organizzazione così rispettata dai palestinesi, come l’Fplp, abbia raggiunto tali risultati? “La sua leadership non si è rinnovata, anzitutto; e soprattutto oggi più che mai i palestinesi non perdonano la tendenza alla divisione politica, come detto, e potete immaginare quanto trovino interessanti micro-partiti (ce ne sono molti di sinistra, in Palestina) che non fanno che litigare e dividersi con percentuali da prefisso telefonico”.
Il processo di Oslo, durato vent’anni, sembra aver fatto il suo tempo, e la popolazione sembra decisa a far pagare un prezzo a Israele “perché non vede altra opzione sul terreno, anche in termini di rapporti di forza”. Per questo appare necessario, ai più, archiviare un’intera fase storica e un’intera classe politica. Sarà possibile? L’Anp, per molti, vista dall’Europa, è il prodromo di un futuro stato palestinese; ma vista da Ramallah, a due passi dalla Muqata e dal Mausoleo di Arafat, è un cadavere tenuto in vita dai soldi dell’occidente. “I voti che prende Fatah sono nei fatti, oggi, quelli di chi lavora per l’Anp, e dall’Anp ottiene un posto fisso e un salario”. Da questa situazione, per una concatenazione di fattori, sembrano poter trarre un fragile beneficio soltanto gli islamisti. Anche quelli esterni alla Palestina, come lo stato islamico? “I palestinesi pensano che lo stato islamico non rappresenti l’islam, e sono molto dubbiosi su come questo gruppo abbia potuto svilupparsi. La tesi che i più condividono è che sia un prodotto dell’occidente. In ogni caso l’opinione pubblica è qui estremamente concreta: il califfato non ha mai attaccato Israele, e per questo non ottiene, qui, alcuna simpatia. Se questo o altri gruppi agissero concretamente contro Israele, però, le cose potrebbero cambiare”.
dai corrispondenti di Infoaut e Radio Onda d’Urto – Ramallah, 15 Febbraio 2016
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