Linda Brown, la Costituzione daltonica e una promessa non mantenuta
È morta all’eta di 76 anni Linda Brown, donna nera afroamericana. Il suo caso nel 1954 fu al centro della sentenza della Corte suprema Usa che ammise la giovanissima Linda ai corsi estivi della scuola elementare di Topeka, in Kansas, dove il padre Oliver volle iscriverla nonostante il divieto dell’autorità scolastica ad ammettere studenti neri. La sua vicenda rappresentò un momento topico della lotta contro la segregazione razziale negli Stati Uniti.
Il movimento per i diritti civili che si rafforzò nel decennio successivo aprì un ampio dibattito nelle comunità afroamericane sui limiti e le ambivalenze dell’integrazionismo. Questo inaugurò negli anni ‘60 nuovi processi di politicizzazione nel proletariato nero di fatto ancora segregato. Sui temi dell’autodifesa e dell’autodeterminazione a partire dal potere nero nuovi cicli conflittuali si aprirono affrontando, allora come oggi, lo scontro sulla linea della razza che ancora segna gli Stati Uniti. Un testo del 2003 dello scrittore afroamericano Ishmael Reed tratteggia alcune impressioni su questa storia aperta dal caso Linda Brown.
Color blind – Daltonica
di Ishmael Reed, traduzione italiana di Lorenzo Iervolino
Lessi della sentenza della Corte Suprema, che metteva fuorilegge la segregazione scolastica, sulla strada di ritorno dalla Buffalo Technical High School, dove il corpo studenti era integrato.
Non ero un buon ragazzo immagine per l’integrazione. Avendo scelto la scuola sbagliata, andavo male in diverse materie. Non ero assolutamente portato per materie come Commercio e Metallurgia, che rappresentavano il cuore dell’insegnamento nella scuola professionale. I miei voti però migliorarono notevolmente quando mi iscrissi a un’Academic High School. Lì incontrai il mio amico greco-americano Richard Mardirosian.
Prima di salire a bordo dell’autobus di Michigan Avenue che ci avrebbe riportato a casa, io e Richard ci fermavamo spesso a un chiosco di gelati a parlare di politica e fatti di cronaca con il proprietario ebreo. Ci mettevamo a fare un po’ i buffoni, lì davanti, per divertirci (Richard aveva un grande talento per queste cose, infatti finì per recitare a Hollywood).
Non potevo sapere che la Sentenza Brown, grazie alla quale era iniziato lo smantellamento della segregazione nelle scuole e in altre sfere della vita quotidiana, avrebbe messo fine anche alla scena nera che imperversava su Michigan Avenue, lo stesso luogo in cui io e Richard avevamo letto la notizia tra i titoli dei quotidiani.
La sentenza avrebbe avuto infatti un effetto immediato sugli affari dei neri e su altre attività presenti lì nella zona attorno al chioso di gelati. Per esempio il Vendome, un albergo il cui proprietario era nero, dove potevano dormire i giocatori delle segregate Negro Leagues di baseball, chiuse. Nei paraggi c’erano diversi locali, come il Club Moonglow, in cui suonavano i migliori musicisti. Sul muro esterno del Moonglow c’era un dipinto murale pazzesco che raffigurava gente in zoot suite e un mucchio di coriste. Qualche isolato più avanti c’era il Little Harlem Nightclub, anche qui il proprietario era nero, che sopravvisse a stento, finché non venne distrutto da un incendio.
Sono nato nel Sud, ma venni portato a Buffalo, nello stato di New York, quando avevo quattro anni. Al Sud non c’era niente da fare per noi ragazzini neri. Non venivamo portati ai musei o nelle biblioteche. Gli adulti si limitavano a intrattenersi raccontando storie o pettegolezzi di quartiere. O andando in chiesa, ai funerali, bevendo moonshine, e giocando a carte. Le rare volte in cui andavamo al cinema ci mettevamo il vestito delle grandi occasioni.
Quando vivevo nelle case popolari di Buffalo, vendevo l’Afro-American. Era un giornale di Baltimora di proprietà di un nero, pieno di storie di linciaggi e altre atrocità inflitte alla gente di colore. L’idea che mi ero fatto del Sud era che doveva essere un posto piuttosto brutto.
Ai tempi di Buffalo sapevo veramente poco della storia afroamericana. Non sapevo nulla delle battaglie che i neri avevano sostenuto contro la supremazia dei bianchi fin da quando erano comparsi i primi schiavisti. Non avrei saputo riconoscere i volti di Ida B. Wells, William Wells Brown, Benjamin Mays o W.E.B. DuBois.
Non avevo sentito parlare neanche del processo Plessy contro la municipalità di Ferguson del 1896.
Plessy contro Ferguson è un documento surreale che fa riferimento alla razza bianca come dominante, e che dà maggior peso alla presenza di sangue nero nelle vene di qualcuno, rispetto alla presenza di sangue bianco. Il 7 giugno del 1892, Homer Plessy, il querelante, acquistò un biglietto di prima classe per la East Louisiana Railway. Homer Plessy era nero per un ottavo e bianco per sette ottavi, ma per la legge dello stato della Louisiana, era considerato nero. Plessy, comunque, dato che aveva una carnagione così chiara, si era sentito «autorizzato a ricevere ogni riconoscimento, diritto, privilegio e immunità assicurati ai cittadini degli Stati Uniti della razza bianca da parte della Costituzione e delle leggi…» La compagnia ferroviaria «era incorporata dalle leggi della Louisiana come una società di trasporto comune e non era autorizzata a distinguere tra cittadini in base alla loro razza». Ma in contrasto con la politica aziendale, la polizia espulse con la forza Plessy dal vagone per bianchi.
Fu incarcerato, accusato di «[violare] in maniera criminale un atto dell’assemblea generale dello stato, approvata il 10 luglio 1890». L’assemblea aveva deciso per la segregazione dei vagoni ferroviari. La maggioranza della Corte della Louisiana e della Corte suprema degli Stati Uniti votò contro Plessy, il querelante. Così la Sentenza Plessy rappresentò il precedente secondo il quale i trasporti separati per neri e bianchi erano costituzionali e persino eguali. Da qui la dottrina del separate but equal, si estese rapidamente a coprire moltissime aree della vita pubblica, e non sarebbe stata abbattuta fino al 1954 nell’altrettanto importante sentenza del processo Brown contro il dipartimento dell’Istruzione di Topeka, che ribaltava esplicitamente la sentenza Plessy.
Un esempio di come la segregazione scolastica venne usata per giustificare quella nei trasporti fu un precedente citato dalla maggioranza della Corte nel processo Plessy contro Ferguson. Il caso citato era Roberts contro la municipalità di Boston, «in cui il giudice della Corte suprema del Massachussetts sosteneva che il comitato scolastico di Boston aveva il potere e la capacità di provvedere all’istruzione di bambini di colore in scuole separate e dedicate esclusivamente a loro, proibendo al contempo la frequentazione di altri tipi di scuole».
Homer Plessy e l’unico giudice dissenziente nel suo processo, John Marshall Harlan, non sarebbero stati vendicati finché le leggi sui diritti civili non fossero state approvate negli anni Sessanta, dopo che manifestanti neri e bianchi si opposero in massa alle leggi razziali, chiamate Leggi Jim Crow.
Nella sua dichiarazione dissenziente, il giudice Harlan aveva puntualizzato che gli afroamericani avevano rischiato le loro vite «per preservare l’integrità dell’Unione». Definì la decisione della maggioranza della corte come «funesta».
Plessy contro Ferguson, nello stabilire la dottrina del separato ma eguale, riguardava in particolare anche il tema degli alloggi. Sia Frederick Douglass che Ida B. Wells protestarono molto contro gli alloggi separati e inferiori destinati agli afroamericani. Erano tutto fuorché eguali. Mia madre, Thelma V. Reed, nel suo libro Black Girl from Tannery Flats, scrive dei vagoni segregati in cui i neri erano costretti a viaggiare.
Durante l’era Jim Crow, i neri dovevano sempre sedersi sul retro degli autobus, sul retro dei tram, dei treni, sul retro! sul retro! sul retro! Ma nei treni a vapore, i neri si dovevano sedere nelle carrozze davanti perché la locomotiva era agganciata nella parte anteriore del treno. Una volta scesi, i passeggeri neri sarebbero stati pieni di polvere e fuliggine e cenere e ferraglia sparsi sui vestiti e fra i capelli.
Per i primi sei anni della mia istruzione, ho frequentato una scuola con tutti studenti neri, nel ghetto. Era considerata integrata, perché gli insegnanti erano bianchi. Gli insegnanti mi consideravano un problema, dal punto di vista disciplinare. Mi accusavano di fare il “figo” e lo “splendido”. Comunque, un’insegnante nera di nome Hortense Butts, oggi Nash, mi regalava biglietti per andare ai concerti e mi incoraggiava molto. Lei fu l’unica insegnante nera che ebbi nei miei dodici anni di istruzione. Ma ce n’erano altri, esterni alle scuole, di insegnanti.
Questi esterni erano i nostri tutor nelle associazioni giovanili della nerissima YMCA, l’Associazione cristiana giovanile per ragazzi di Michigan Avenue. Dopo che la nazione si mosse verso l’integrazione, venne deciso che non c’era più alcun bisogno di una YMCA solo per neri.
L’integrazione spinse questi insegnanti nelle aree più esterne della città, molto lontano rispetto ai nostri quartieri. Uno dei risultati dell’integrazione è l’attuale generazione dell’hip-hop [siamo nel 2003, N.d.T.]. Phyllis Chesler chiama questi giovani “feriti-dai-padri”. Questi ragazzi accusano la mia generazione di averli abbandonati. Sebbene ci siano molti intellettuali e professionisti rimasti nelle retrovie a dare servizi per le necessità dei quartieri poveri, molte figure modello sono svanite. Il Dr. Lawson Bush autore di Can Black Mothers Raise Our Sons?, il 28 giugno del 2002 a Berkeley ha detto a un gruppo di impiegati dell’assistenza sanitaria, che avendo distrutto «la comunità nera, la desegregazione è una delle peggiori cose che potevano accadere ai neri». Molti potrebbero essere d’accordo.
Data l’esperienza della generazione di mia madre, la segregazione aveva anche un lato terribile. Era psicologicamente oppressiva e spesso portava ad azioni brutali contro gli afroamericani. Durante la segregazione gli afroamericani erano alla mercé della “razza dominante”, i cui componenti potevano fare ai neri tutto ciò che gli passava per la mente, con il consenso ammiccato di quel sistema giudiziario che aveva fatto sì che Homer Plessy potesse perdere il processo.
Nuovamente, il Dr. Lawson Bush ha la sua visione delle cose. La generazione dell’hip-hop non conoscerà mai famose zone nere come la Dodicesima strada e Vine a Kansas City, oggi letteralmente ammutolite. Le zone del ghetto che sono rimaste, molto raramente dispongono di bei parchi, biblioteche ben fornite e strutture per la sanità facilmente accessibili. Molto di ciò che rimane di quelle che una volta erano state solide black cities uno se lo può immaginare solo attraverso i film o le registrazioni che si trovano nei musei. Né i ragazzi di oggi conoscono le varie “città nere” che un tempo formarono una sorta di nazione nella nazione. Molte sono state rase al suolo in nome del “rinnovamento urbano”, che era, in altre parole, una rimozione dei neri, a black removal.
L’integrazione inoltre ha portato all’ammissione dei neri in college e università storicamente per soli bianchi, con un effetto opposto rispetto alle università e college tradizionalmente neri, che avevano addestrato migliaia di professionisti di colore, artisti e leader. Mentre molti studenti neri hanno avuto insegnanti neri durante la segregazione, venivano adesso esposti agli insegnanti bianchi che erano privi di qualsiasi strumento per relazionarsi con studenti che avevano background razziali completamente differenti. Questo problema ancora esiste. Solo il sedici percento degli insegnanti della scuola pubblica negli Stati Uniti appartengono alle minoranze razziali. A livello di insegnamento universitario la percentuale è molto inferiore.
Nel 1992 il giudice della Corte suprema Clarence Thomas scrisse un giudizio difforme rispetto al processo Stati Uniti contro Fordice [sentenza del 1992 contro le università del Mississippi, accusate di non essere ancora sufficientemente integrate, N.d.T.], per esprimere il suo punto di vista secondo il quale il mantenimento delle istituzioni storicamente nere non avrebbe dovuto essere giudicato illegale. «Non ha mai smesso di impressionarmi» ha detto, «che le corti siano così desiderose di dare per scontato che tutto ciò che sia prevalentemente nero sia anche inferiore».
Sebbene migliaia di studenti neri siano stati spediti a studiare nelle scuole bianche, hanno perso il genere di supporto, comprensione e sostegno che poteva essere dato loro da parte di insegnanti neri. Molto di ciò è avvenuto come uno dei risultati della Sentenza Brown. E siccome genitori e ragazzi neri sostenevano entrambi di volere un’istruzione e delle credenziali scolastiche in grado di fargli ottenere un buon lavoro con una buona paga, persino i ragazzini neri più giovani si sono dovuti accorgere rapidamente di aver bisogno di sviluppare una vera e propria strategia di sopravvivenza nelle scuole. Stereotipi negativi a proposito dell’intelligenza dei neri, talvolta perpetrati dagli insegnati nelle scuole integrate, avvilivano i ragazzi con continui test di abilità, dal quoziente intellettivo agli esami di ammissione alle facoltà.
La Corte suprema ha deciso in favore del reverendo Oliver Brown e di sua figlia, Linda. Il 17 maggio 1954, il giudice capo Earl Warren lesse la decisione unanime della corte: «Può la segregazione degli alunni nella scuola pubblica, accordata per esclusiva base razziale, deprivare i bambini dei gruppi minoritari di eguali opportunità di istruzione? Noi crediamo di sì… Concludiamo quindi che nel campo dell’istruzione la dottrina del “separato ma eguale” non debba avere nessuno spazio».
La campagna per l’integrazione è stata la mossa giusta? Sì e no.
Sì, perché ha dato della menzogna alla teoria della supremazia bianca. Quando ho iniziato a frequentare una scuola integrata, ho scoperto che i bianchi non erano dèi, ma carne e ossa come il resto di noi. C’era la stessa scala di valori nelle capacità dei bianchi e dei neri: da scarsi a mediocri a eccellenti.
L’integrazione ha significato inoltre meno umiliazioni per quelli della generazione di Martin Luther King jr. Finché se lo potevano permettere economicamente, agli afroamericani non potevano più essere negati quegli alloggi che erano off-limits ai vecchi tempi. Si dice che il presidente Lyndon Johnson si sia convertito alla lotta per i diritti civili dopo aver chiesto al suo autista nero di trasportare il suo cane beagle in Texas. L’autista disse che lui aveva già abbastanza problemi a trasportare se stesso in Texas senza bisogno di prendere a bordo dei cani. L’uomo raccontò poi al presidente delle difficoltà che devono affrontare i neri quando cercano di viaggiare tra uno stato e l’altro in automobile.
Subito dopo la Sentenza Brown e l’uccisione del presidente Kennedy arrivarono il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Right Act del 1965, che portò alle urne nel Sud migliaia di dipendenti pubblici afroamericani.
Sebbene l’integrazione sia stata una mezza vittoria, i benefici, credo, sono superiori agli svantaggi. Tutto il processo ha messo alla prova la nazione nell’essere all’altezza dei propri ideali, e ha dimostrato che la resistenza al cambiamento può essere dura e a volte intransigente. Alcuni studi dimostrano che la nazione sta affrontando una ri-segregazione (come se la completa integrazione sia mai stata compiuta!).
L’integrazione è stata una sfida per tutti i gruppi. Ma più di tutti ha messo alla prova i bianchi, molti dei quali trovano ancora impossibile rinunciare ai propri privilegi dovuti alla pelle bianca, la loro ereditaria discriminazione costruttiva.
Ciò che Justice Harlan ha sostenuto nel corso del Processo Plessy può essere applicato anche alla Sentenza Brown: «Considerata la Costituzione e agli occhi della legge, in questo Paese non c’è nessuna classe di cittadini che sia superiore, dominante o dirigente. Non esistono caste qui. La nostra Costituzione è daltonica e non conosce né tollera categorie tra i cittadini. In rispetto dei diritti civili, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Il più umile è un pari del più potente. La legge considera l’uomo come uomo, e non tiene conto del suo ambiente o del suo colore quando sono coinvolti i suoi diritti civili, garantiti dalla nostra legge suprema».
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