Migranti in Kurdistan. Voci dell’esodo dal Levante all’Europa_Prima parte
In Turchia esistono molti campi profughi la cui gestione, stando alle testimonianze che abbiamo raccolto, è totalmente militarizzata: l’uscita dei profughi dalle strutture è severamente limitata e disciplinata, mentre è molto difficile che osservatori esterni possano farvi ingresso. Tuttavia esistono istituzioni in Turchia che, benché di diritto amministrativo turco, possiedono una sostanza politica diversa: si tratta delle municipalità curde del Bakur che, vedendo la plebiscitaria vittoria, alle elezioni, del partito filo-curdo di sinistra Hdp, mantengono l’involucro amministrativo legale per difendere e rafforzare i processi di autogoverno e resistenza che si danno a livello sociale sui loro territori. Non a caso proprio queste città (Diyarbakir, Cizre, Sirnak, Silopi e molte altre) subiscono in queste ore coprifuoco violentissimi, e sono teatro di scontri armati molto duri tra il movimento per l’autogoverno e lo stato turco.
Infoaut ha visitato due campi profughi situati nella provincia di Batman e ha intervistato i profughi, nonché il personale addetto alla gestione dei campi e i funzionari comunali che si occupano del problema. L’intento è presentare delle voci che giungono dai luoghi di stazionamento dei migranti che sono in procinto di organizzare, in molti casi, un viaggio (spesso mortale, sempre irto di difficoltà) per l’Europa, oltre a presentare quali sono, in concreto, le difficoltà che incontrano le municipalità nel gestire questi flussi e le contraddizioni con cui si confronta qualsiasi movimento rivoluzionario quando deve confrontarsi con le dinamiche della guerra.
Chi sono questi migranti?
La testimonianza che segue è quella di un migrante proveniente dalla città di Singal, nel nord-ovest dell’Iraq,tristemente nota per il massacro ivi compiuto dallo stato islamico nell’agosto 2014. La città è stata occupata in quei giorni e la maggior parte della popolazione è stata assassinata o seviziata a causa del suo credo religioso ezida, quindi non musulmano, mentre migliaia di donne e bambini sono stati rapiti e condotti in qualità di schiavi in località sconosciute (spesso in località siriane controllate dall’Is, come Raqqa o Deir-el-Zor). L’occupazione, che fu permessa da un sospetto e repentino ritiro dalle truppe Peshmerga affiliate al partito conservatore curdo-iracheno Pdk (con cui collabora attivamente, tramite 200 soldati, il governo italiano), si è conclusa il 13 novembre 2015 grazie a una guerriglia di oltre un anno del Pkk e delle Ypg contro lo stato islamico. Sono state proprio queste due organizzazioni a permettere ai migranti qui intervistati di guadagnare le montagne nell’agosto 2015, salvando la vita, a costo di difficili combattimenti, migliaia di persone.
Quando hai lasciato il tuo villaggio nei pressi di Singal eri da solo o con la tua famiglia?
Tutta la mia famiglia è fuggita. Siamo una quindicina di persone.
Siete stati inseriti direttamente in questa struttura dalla municipalità di Batman?
Prima siamo stati alloggiati in stanze di pensione e nutriti, poi condotti qui. In origine questa era una struttura sportiva, un campo da calcio, ma è stato riadattato per noi.
Il comune di Batman ti ha informato sui tuoi diritti? È stato difficile avere il permesso di soggiorno? I vostri figli possono frequentare le scuole?
Siamo stati nutriti e alloggiati. Per quanto riguarda le scuole dello stato turco, non vi abbiamo accesso legalmente. Ci sono però degli insegnanti curdi, del luogo, che giungono qui volontariamente e danno delle lezioni ai nostri figli. Il problema in questa situazione è che i progressi fatti dai nostri figli non verranno mai legalmente riconosciuti. Anche se seguissero queste lezioni indipendenti per dieci anni, non ne risulterebbe alcun diploma. Sono lezioni informali, non hanno valore di legge.
Da quanto sei in questo campo?
Siamo al quindicesimo mese.
Quando hai ottenuto un documento d’identità dal governo turco?
Nell’ottobre 2014. È stata inizialmente una carta d’identità temporanea, che di recente ci hanno sostituito. Nella prima non c’era un numero di serie, ad es., in questa seconda sì.
Avete accesso alle cure sanitarie?
In un primo tempo sì, avevamo cure e medicinali gratuiti; ma da quando ci è stata data questa nuova carta d’identità, non otteniamo le cure di cui, tra l’altro, avremmo effettivo bisogno. Dovremmo pagarci le medicine, ad esempio, di tasca nostra, se ci vengono prescritte.
Chi vi ha detto di pagare da soli le medicine?
Gli uffici dell’ospedale.
Avete il diritto di lavorare in Turchia?
No, se lavoriamo lo facciamo illegalmente. Non siamo autorizzati a lavorare in Turchia.
Sappiamo che in Turchia le scuole ricadono sotto la diretta autorità del governo, quindi non è possibile per le municipalità curde inserirvi nelle scuole. Avete provato a richiedere al governo turco che i vostri figli venissero ammessi nelle scuole?
No. Tanto per cominciare, nessun funzionario del governo turco si è mai manifestato qui, quindi, anche volendo, non avremmo potuto rivolgere alcuna richiesta. C’è anche da dire che noi non abbiamo fatto alcun passo in questo senso, perché non vogliamo vivere in Turchia.
Sappiamo anche che, se pure i vostri figli avessero accesso alle scuole turche, avrebbero notevoli difficoltà di inserimento perché l’insegnamento in curdo è vietato, ed è questa la lingua dei vostri figli, l’unica che conoscono nella maggior parte dei casi. Qual è, quindi, il vostro progetto, la vostra destinazione?
Non vogliamo vivere in paesi musulmani. Per quel che ci riguarda, la Turchia è ad oggi un paese “arabo”, nel senso che, pur non essendo arabi, i turchi ci vedono nello stesso modo in cui ci hanno visti gli arabi musulmani d’Iraq, della Siria, ecc. Non vediamo alcuna differenza sostanziale, per noi, tra Turchia e Iraq, Turchia e Siria. Questa è la ragione principale per cui non vogliamo restare qui.
Nel caso specifico dei profughi ezidi, la cui religione è diversa tanto dal cristianesimo quanto dall’Islam, una ragione diffusamente addotta alla volontà di arrivare in Europa è la paura delle persecuzioni (gli storici ezidi hanno calcolato che, dalle epoche pre-cristiane in poi, questa comunità oggi ristretta a 500.000-800.000 persone ha subito settantacinque genocidi). Le testimonianze raccolte mostrano come le violenze del 2014 non siano imputate dagli abitanti ezidi di Singal soltanto all’Is come organizzazione politica, poiché esse fanno riferimento a una partecipazione attiva e un supporto, nell’organizzazione e perpetuazione del massacro, anche da parte delle famiglie arabe situate nei villaggi attorno alla città, così come di alcuni curdi musulmani residenti nella città.
Non a caso oggi, dopo la liberazione di Singal dall’Is, permangono nella città conflitti dovuti all’accertamento delle responsabilità politiche di ciò che è avvenuto. Abbiamo già pubblicato l’intervista a un migrante stanziato oggi in un’altra località, ma sempre proveniente da Singal, che ha affermato: “I villaggi arabi circostanti Singal li hanno aiutati [l’Is, Ndr]. Una persone per famiglia si è unita ai convogli dell’Is e ha mostrato loro la strada per raggiungere la nostra città. Vorrei anche rimarcare il fatto che i curdi musulmani di Singal non ci hanno aiutato. Alcuni di loro, addirittura, hanno aiutato Is contro di noi. Il maggior supporto logistico, in particolare come guide, è arrivato però a Is dai villaggi arabi circostanti”. Ecco alcuni stralci di una conversazione con un migrante, in un altro campo dello stesso distretto, circa i rapporti con i musulmani e la profonda specificità dell’identità e della religione ezide:
Come ti trovi qui ora?
Qui ci trattano bene. Non è facile ma ci aiutano.
Qual era la relazione tra Ezidi e arabi prima dell’attacco?
Non c’erano violenze aperte, ma ricordo un episodio, che mi ha fatto temere quello che sarebbe accaduto. Ho capito che qualcosa di brutto sarebbe accaduto quando, un giorno, sono stato a Erbil [capitale del Kurdistan iracheno, Ndr]. Mentre passavo per strada, due arabi mi hanno guardato male e si sono messi a bisbigliare tra di loro. Io ho fatto finta di non accorgermene, ma ho sentito bene che uno diceva all’altro: “E’ uno Ezida”.
Ci puoi dire qualcosa della vostra religione, che sembra essere così odiata da molte persone in questa regione?
Gli arabi dicono che abbiamo due dei, ma non è vero. Crediamo anche negli angeli, questo è vero, ma ognuno ha i suoi costumi e le sue tradizioni religiose. Secondo me non c’è differenza tra le religioni: musulmani, cristiani per me non fa differenza, ognuno può fare ciò che vuole. Anche qui che la situazione è difficile continuiamo il nostro culto.
La lingua che parli è il curdo. Cosa vuol dire per te essere curdo? L’identità curda rappresenta qualcosa per te?
Sai, è una lunga storia, ma nella nostra religione non ci sposiamo con nessuno che provenga da un’altra religione [La stragrande maggioranza dei curdi credenti è musulmana, NdR]. Sentirmi curdo per me è impossibile. Sai perché? Non perché siamo meglio di loro. Noi Ezidi abbiamo tre caste, io per esempio sono Pyr, nella tenda accanto sono Shekh in quell’altra Mrid e non ci possiamo sposare neanche tra di noi. Pyr e i Mrid sono più numerosi e un po’ più importanti ma non è che ci siano tensioni tra noi. Comunque non siamo migliori dei curdi, siamo solo diversi.
Che accade se qualcuno vuole sposare qualcuno di un’altra casta?
(ride) Beh prima che uno si innamori veramente, per prima cosa, prima che l’amore diventi forte gli si dice “è impossibile, dovresti fare attenzione!”. Comunque è impossibile, non succede mai.
Come è organizzata, tuttavia, la vita di queste persone nei campi profughi gestiti dalle comunità curde? Come si supera la diffidenza che esiste tra Ezidi e curdi e qual è l’impatto, su persone già traumatizzate da eventi atroci, della guerra civile che si combatte dallo scorso agosto nelle città del Bakur (Batman compresa)? Abbiamo intervistato a questo proposito Semra Güneş, assistente della co-Sindaca di Batman Gülüstan Akel (arrestata lo scorso ottobre e destituita dall’incarico per le sue presunte vicinanze con il Pkk), che si occupa direttamente della gestione dei campi profughi.
Sappiamo che questa città, che sta accogliendo rifugiati dalla Siria e dall’Iraq, non riceve alcun aiuto dal governo nella gestione dei campi; vorremmo quindi sapere come è mutata la situazione durante l’ultimo anno, se le persone sono aumentate o diminuite nei campi, qual è la loro condizione.
Abbiamo quattro centri di accoglienza per persone arrivate da Kobane o per Ezidi fuggiti dall’Iraq. Questi ultimi, in molti casi, vogliono lasciare la Turchia per l’Unione Europea o altri paesi. All’inizio il loro numero si aggirava intorno ai 4.000, ora abbiamo 1.180 rifugiati ezidi. Alcuni hanno preso la via dell’ovest, altri si sono spostati in centri presenti a Diyarbakir, altri ancora hanno scelto di tornare in Iraq.
C’è un supporto da parte di associazioni umanitarie, dell’Unione Europea o delle Nazioni Unite?
Ci sono alcune associazioni, ed anche alcune città tedesche, che stanno fornendo aiuti.
Qual è la situazione delle donne nei campi? Sappiamo che, nei mesi scorsi, ci sono stati alcuni tentativi di suicidio tra di loro. Sappiamo anche che nella società curda è presente un movimento femminista molto forte, e che le donne nel movimento curdo sono molto attive. Ci sono delle attività svolte da donne in supporto alla vita femminile nei campi, progetti specifici animate da donne?
Anzitutto c’è un supporto psicologico e ci sono programmi d’intervento specifici, pensati per le donne. Oltre ai casi da voi menzionati, ci sono stati anche casi di violenze su minori, quindi interventi specifici sono necessari. Un progetto che vorremmo avviare riguarda l’apprendimento di capacità manuali di tipo artigianale, ma ci sono difficoltà sia economiche, sia di reperimento del personale che è difficile superare. Un supporto psicologico unito alla formazione di capacità lavorative sarebbe più efficace.
Dobbiamo anche tenere conto che la società ezida è particolare, le donne sono spesso tenute relegate dagli uomini. Dopo un intervento mirato sugli ospiti dei campi, però, siamo riusciti ad ottenere alcuni risultati anche in questo senso, ad esempio in un campo otto donne hanno assunto dei compiti in modo autonomo e collettivamente, nello specifico in una cucina.
Continua nella Parte seconda
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