
Ecomarxismo e Prometeo liberato
Nel Prometeo incatenato di Eschilo, Prometeo è una figura rivoluzionaria. Dall’Illuminismo fino ad oggi, la sua sfida al divieto divino di portare il fuoco all’umanità è stata adottata per rappresentare le forze rivoluzionarie presenti nell’umanità. In questo articolo John Bellamy Foster si chiede che cos’è il “prometeismo” e come il termine sia stato usato (e abusato) nelle discussioni su Marx, sulla crisi ecologica e sullo sviluppo umano sostenibile.
In Occidente, la modernizzazione ecologica come modello per affrontare i problemi ambientali è da lungo tempo oggetto di critica da parte degli ecosocialisti e, in generale, degli ecologisti radicali. Al contrario, in Cina, il modernismo ecologico come modo per rimediare ai problemi ambientali gode del forte sostegno dei marxisti ecologici. La ragione che sta alla base di questi approcci divergenti dovrebbe essere evidente. In Occidente, il concetto di modernizzazione ecologica, pur non essendo in sé discutibile come parte di un processo complessivo di cambiamento ambientale, è venuta a rappresentare ideologicamente il modello restrittivo della modernizzazione ecologica capitalista. Secondo questo concetto, i problemi ambientali possono essere affrontati unicamente tramite mezzi tecnologici, all’interno delle consolidate relazioni sociali del capitalismo, in un contesto puramente riformista. Diversamente da ciò, la modernizzazione ecologica socialista, così come immaginata in Cina e in pochi altri stati post-rivoluzionari, è sostanzialmente diversa. Essa richiede una rottura con le relazioni sociali dell’accumulazione del capitale, in modo da rendere possibili le trasformazioni rivoluzionarie nel rapporto umano con la natura, finalizzate alla creazione di una civiltà ecologica orientata allo sviluppo umano sostenibile.
Un problema parallelo sorge in relazione alla nozione di “Prometeismo”, un termine ambiguo basato sull’antico mito greco di Prometeo, un Titano che dona il fuoco all’umanità. Nella visione capitalista contemporanea, il mito prometeico è stato trasformato in modo tale da rappresentare la tecnologia e il potere, persino le rivoluzioni industriali.[1] Eppure, nel mito greco originale così come presentato da Eschilo in Prometeo incatenato e successivamente adottato dai pensatori illuministi, compresi Percy Bysshe Shelley e Karl Marx, Prometeo – incatenato ad una roccia da Efesto su ordine di Zeus – rappresentava la sfida rivoluzionaria agli dèi, ed era fonte di illuminazione e autocoscienza umana.[2] Il prometeismo capitalista, quindi, non è lo stesso del prometeismo umanista rivoluzionario. Il primo riguarda la tecnologia e il potere ed ha poco a che fare con il mito greco stesso; il secondo riguarda l’illuminazione rivoluzionaria, lo sviluppo degli individui sociali e l’armonia dell’essere umano con la natura.
Nell’ideologia capitalista dominante dell’Occidente/Nord Globale, la questione dell’impatto del processo di accumulazione del capitale sull’ambiente – inclusa la crisi del Sistema Terra – è evitata del tutto, oppure considerata risolvibile tramite mere soluzioni tecnologiche, senza alcun bisogno di modificare le relazioni di classe, proprietà, capitale e consumo. La modernizzazione ecologica, come teoria e pratica, è in questo modo diventata il sinonimo di una posizione anti-ecologica, poiché antepone le relazioni sociali capitaliste ai bisogni dell’umanità e della natura, sostenendo che nulla debba cambiare se non le macchine, mentre l’accumulazione del capitale rimane l’obiettivo supremo del sistema. È questa modernizzazione ecologica, intesa nel suo ristretto senso ecotecnico, quella a cui si fa riferimento quando si parla di “rinverdire il capitalismo”. Nel suo rifiuto assoluto dei limiti ecologici all’accumulazione senza freni, la modernizzazione ecologica capitalista è una manifestazione della fatale incapacità di rispondere ai bisogni dell’umanità e della natura.
All’interno del marxismo ecologico cinese, al contrario, la modernizzazione ecologica non riguarda la conservazione del capitalismo né l’opposizione all’ambientalismo. È invece concepita come modernizzazione ecologica socialista, parte del processo di creazione di una nuova civiltà ecologica. Ciò non significa che le contraddizioni ecologiche dello sviluppo e della modernità spariscano magicamente. Ma il compito qui è visto in modo diverso, ed è mirato esplicitamente alla costruzione di una maggiore coscienza ecologica e di una nuova realtà ambientale. Come dice Xi Jinping, «acque limpide e montagne verdi» valgono quanto o più delle «montagne d’oro», e in ultima analisi ciò significa che devono essere fatte delle scelte per sostenere le prime, anche a scapito delle seconde.[3]
Ecosocialismo e mito prometeico
Ciò che rende così difficile districare il dibattito ecologico in Occidente è che la coscienza alienata e dualistica che storicamente ha caratterizzato l’ideologia egemonica è penetrata anche all’interno del movimento ecosocialista. Ciò ha generato ogni sorta di contraddizioni, derivanti non solo dal capitalismo, ma anche dall’eredità della Guerra Fredda e della sua ideologia antisocialista. Il marxismo occidentale ha spesso un ruolo ambiguo durante la Guerra Fredda, critico sia del capitalismo che del socialismo di Stato, vittima allo stesso tempo di ciò che possiamo definire: le quattro rimozioni (del materialismo, della dialettica della natura, della classe e dell’imperialismo).[4] Non sorprende quindi che l’ascesa dell’ecosocialismo come concetto definito negli anni ’80 fosse strettamente legato all’ideologia della Guerra Fredda. I principali ecosocialisti dell’epoca, come Ted Benton in Inghilterra e John P. Clark negli Stati Uniti, sostenevano che l’opera di Marx e il marxismo in generale fossero “prometeici” nel senso iperindustrialista, e quindi incompatibili con l’ecologia. Benton, che scriveva sulla New Left Review, accusava Marx di possedere una visione meccanicistica della storia, «prometeica e produttivista», in contrasto con una prospettiva ambientale.[5]
Per Marx, Epicuro era «il vero radicale illuminista dell’antichità».[6] Nel suo elogio di Epicuro nella tesi di dottorato, Marx lo paragonava a Prometeo (come raffigurato da Eschilo) – il rivoluzionario Titano che aveva sfidato gli dèi dell’Olimpo per portare il fuoco, simbolo di luce e conoscenza, all’umanità, che era stato punito e incatenato a una roccia per l’eternità su ordine di Zeus.[7] Qui Marx riprendeva il famoso elogio di Lucrezio a Epicuro nel De rerum natura, che aveva costituito la base per l’uso del termine “Illuminismo” da parte di Voltaire nella Francia del XVIII secolo.[8] Questo elogio, insieme ad una litografia contemporanea sulla censura presente nella Rheinische Zeitung, di cui Marx era redattore – raffigurante Prometeo incatenato a una macchina da stampa – generarono l’identificazione tra Marx e Prometeo.[9]
Rompendo con la millenaria concezione di Prometeo come portatore di luce/Illuminazione – anche se Pierre-Joseph Proudhon nel XIX secolo aveva promosso un prometeismo meccanicistico, e Mary Shelley aveva scelto Il moderno Prometeo come sottotitolo del suo Frankenstein – i combattenti della Guerra Fredda in Occidente, molti dei quali ex-militanti di sinistra che scrivevano per pubblicazioni finanziate dalla CIA, come Encounter, iniziarono a presentare Marx come un sostenitore di un prometeismo estremo.[10] Si trattava di un nome in codice per indicare l’apologia dello strumentalismo illimitato come obiettivo principale della società, e serviva a identificare Marx con la Russia di Stalin, con la sua rapida industrializzazione e la sua apparente enfasi sul titanismo. Biografia dopo biografia, il riferimento marxiano a Prometeo è stato enfatizzato senza alcun tentativo di spiegarne il contesto, ovvero il suo elogio di Epicuro come figura prometeica, nel senso del Prometeo incatenato di Eschilo. Epicuro era considerato il principale filosofo materialista dell’antica Grecia e per il suo impegno umanistico verso una comunità sostenibile e autocosciente, elementi che portarono Marx a paragonarlo al Prometeo del mito, ma nulla di ciò aveva a che fare con lo strumentalismo, l’iperindustrialismo o il titanismo.[11]
Da notare che, nella sua celebre biografia su Marx del 1918, Franz Mehring aveva definito quest’ultimo un «secondo Prometeo, sia nella lotta che nella sofferenza».[12] Quest’elemento fu, in seguito, adottato e distorto dai critici di Marx. In To the Finland Station (1940), Edmund Wilson presentava Marx come un Prometeo meccanicistico, che aveva come unico scopo la produzione, e alle cui spalle si stagliava l’ombra minacciosa di Lucifero.[13] Una delle prime e più influenti opere della Guerra Fredda che rappresentava Marx come un prometeico strumentalista fu Philosophy and Myth in Karl Marx (1961) di Robert C. Tucker, che vedeva sia Hegel che Marx come promotori di filosofie «la cui fede era la stessa di Prometeo».[14] Tale visione fu ripresa dai combattenti della Guerra Fredda come Lewis Feuer in Marx and the Intellectuals (1969) e Daniel Bell nel suo The Cultural Contradictions of Capitalism (1976), con il primo che accusava Marx di una compulsione prometeica “mitopoietica” devota all’assolutismo tecnologico.[15]
I propagandisti della Guerra Fredda che attaccavano Marx e il marxismo per il suo presunto prometeismo meccanicistico erano principalmente interessati a presentare il marxismo come antiumanista, strumentalista e iperindustrialista, in linea con la loro concezione del comunismo sovietico. Tuttavia, coerentemente con la loro visione capitalistica, tali critici del marxismo non erano nemmeno nemici del produttivismo né stavano dalla parte dell’ambiente. Bell, infatti, in The Coming of Post-Industrial Society, fu uno dei principali critici dello studio I limiti dello sviluppo (1972) del Club di Roma. Bell sosteneva che i limiti ecologici alla crescita non esistevano e che la scarsità delle risorse era impossibile nel nuovo mondo postindustriale[16]
Sebbene la critica mossa durante la Guerra Fredda al marxismo classico per il suo presunto prometeismo meccanicistico fosse originariamente volta ad affermare che il marxismo era intrinsecamente antiumanistico, ciò si trasformò nella successiva accusa che il materialismo storico era anti-ambientalista – grazie al lavoro di figure come il sociologo britannico Anthony Giddens che, in A Contemporary Critique of Historical Materialism, (1981), sosteneva che Marx aveva un «atteggiamento prometeico» in cui la natura era ridotta a termini puramente strumentali.[17] Questa tesi è stata sostenuta da diversi ecosocialisti di rilievo, che affermavano che Marx era un pensatore “prometeico” produttivista, e quindi un anti-ambientalista.[18] Ciò che oggi viene comunemente definito “ecosocialismo della prima generazione”, negli anni ’80 e ’90, rappresentava una posizione di rottura per ragioni ambientali con il marxismo classico, che paragonava (negativamente) Marx a Thomas Malthus e al neo-malthusianesimo moderno.[19]
Tuttavia, alla fine degli anni ’90 è emersa una seconda fase del marxismo ecologico, a partire dai lavori dell’Autore di questo articolo e di Paul Burkett, con lo scopo di scoprire la critica ecologica presente in Marx, confutando, al tempo stesso, le accuse secondo cui Marx avrebbe sostenuto un presunto “prometeismo” iperindustrialista.[20] È stata posta l’attenzione sulla critica ecologica del capitalismo in Marx presente nella sua teoria della frattura metabolica, e sulla sua concezione dello sviluppo umano sostenibile.[21] Questo ha portato al rapido sviluppo dell’ecologia marxiana o ecosocialismo della seconda generazione, pienamente integrato nella critica complessiva del capitalismo e nella dialettica marxiana. Utilizzando l’analisi della frattura metabolica derivata dalla critica ecologica di Marx al capitalismo, è stato pubblicato un consistente corpus di lavori – costituito da centinaia e centinaia di libri e articoli – che ha affrontato quasi ogni aspetto della moderna crisi ecologica planetaria, sia nella prospettiva storica che contemporanea.[22]
Marx e il marxismo ecologico possono essere considerati prometeici solo nel senso dell’antico mito greco di Prometeo, come descritto in particolare nel Prometeo incatenato di Eschilo, così come era stato concepito per millenni. Attraverso Prometeo, Marx rappresentava Epicuro come una figura proto-rivoluzionaria che aveva portato l’Illuminazione nell’antichità, sfidando «tutti gli dèi».[23] È con questo stesso spirito che Rachel Carson, nel moderno movimento ambientalista, ha sfidato ciò che chiamava «gli dèi del profitto e della produzione».[24]
La modernizzazione ecologica capitalista come ideologia
Se negli anni ’80 numerosi ecosocialisti della prima generazione accusarono Marx e Friedrich Engels di prometeismo meccanicistico o iper-industrialismo, bollando così il materialismo storico come produttivista e anti-ecologico, la realtà era che, a partire dagli anni ’50, molte delle lotte più radicali per l’ambiente furono guidate o ispirate da ecologisti socialisti, tra cui personaggi come Scott Nearing, Barry Commoner, Virginia Brodine, Shigeto Tsuru, K. William Kapp, Raymond Williams, Charles H. Anderson, Murray Bookchin, Allan Schnaiberg, Richard Levins, Richard Lewontin, Nancy Krieger e Rudolf Bahro. Negli anni ’70, l’ecologia socialista era già una forza potente a livello di movimento, in particolare negli Stati Uniti. Gli ambientalisti socialisti si distinguevano in particolare per il loro rifiuto del neo-malthusianesimo, ovvero l’idea che i problemi ecologici fossero principalmente riconducibili alla popolazione piuttosto che al sistema di produzione.
L’ampia critica ecologica socialista è stata fortemente influenzata dal materialismo storico di Marx e dalla Dialettica della natura di Engels. Essa nacque inizialmente nelle scienze naturali, a partire dagli anni ’50, in risposta ai test sulle armi nucleari, nell’opera di scienziati critici come Commoner, e acquisì ulteriore slancio negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, in risposta a una serie di problemi, manifestati da Science for the People (sia la pubblicazione che l’organizzazione).[25]
Nell’ambito delle scienze sociali, l’analisi ecologica radicale e marxista predominava nella sezione di Environmental Sociology dell’American Sociological Association (ASA), nata all’inizio degli anni ’70.[26] Tra le figure di spicco della sociologia ambientale figuravano i radicali William Catton, autore di Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change (1982), e Riley Dunlap, che, nel contesto del dibattito sui limiti della crescita allora condotto principalmente dagli economisti, introdusse (insieme a Catton) la distinzione tra il paradigma dell’eccezionalismo umano e il nuovo paradigma ecologico. Il paradigma dell’eccezionalismo umano, come definito criticamente da Catton e Dunlap, rappresentava la prospettiva egemonica della modernità capitalista. Era l’idea che l’umanità fosse in gran parte esente dai vincoli naturali e che, in ultima analisi, non esistessero limiti naturali o ecologici al progresso umano, considerato come dipendente soltanto dall’ingegno e dalla tecnologia umana.[27]
I principali rappresentanti dell’eccezionalismo umano nei dibattiti sui limiti della crescita negli anni ’70 e ’80 erano l’economista delle risorse Julian Simon, autore di The Ultimate Resource, e il teorico della crescita economica Robert Solow, vincitore del (cosiddetto) Premio Nobel per l’Economia. Simon, negando ogni vincolo ecologico all’accumulazione di capitale, affermava che «non esistono limiti fisici significativi [o limiti]… alla nostra capacità di continuare a far crescere [l’economia] all’infinito» nell’ambiente terrestre.[28] Solow scriveva: «È molto facile sostituire le risorse naturali con altri fattori. Perciò in linea di massima, non vi è alcun problema; il mondo può andare avanti anche senza risorse naturali. Il loro esaurimento è semplicemente un evento, non una catastrofe».[29] Fu proprio questo paradigma dominante dell’eccezionalismo ad essere messo in discussione da Limiti dello sviluppo, che indicava i crescenti vincoli ambientali (principalmente legati alle risorse) man mano che l’economia mondiale si espandeva e superava soglie critiche: una prospettiva che fu poi estesa per affrontare sia il problema dell’aumento dei vincoli sulle risorse naturali o “rubinetto”, sia il problema dello straripamento dei rifiuti ecologici o “pozzo”.[30]
Il nuovo paradigma ecologico era strettamente legato al concetto di limiti alla crescita e rappresentava quindi un attacco frontale al paradigma dell’eccezionalismo umano. Costituì la base comune iniziale della Environmental Sociology Section dell’ASA. Originariamente articolato da Catton e Dunlap, fu successivamente codificato in cinque principi: (1) limiti alla crescita, (2) non antropocentrismo, (3) fragilità dell’“equilibrio” della natura, (4) insostenibilità dell’eccezionalismo umano e (5) crisi ecologica. [31] Sebbene il nuovo paradigma ecologico rappresentasse per molti versi il punto di partenza, alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 esso venne integrato nella Environmental Sociology Section dell’ASA con le critiche marxiste del capitalismo monopolistico, del treadmill of production [la macina della produzione], della produzione/accumulazione e dello spreco ecologico, che si unirono così alla critica del paradigma dell’eccezionalismo umano. Teoricamente, la sociologia ambientale negli Stati Uniti prima del secondo decennio del secolo attuale era dominata dalla critica marxista del capitalismo e del suo degrado ecologico. Ciò includeva non solo coloro che, come Schnaiberg, aderivano al modello del treadmill of production, ma anche coloro che erano associati all’ecosocialismo della seconda generazione, molti dei quali erano identificati con la Environmental Sociology Section dell’ASA.[32]
Tuttavia, la forte critica del capitalismo che costituiva la base della Environmental Sociology Section dell’ASA iniziò a sgretolarsi nel 2003. Nell’ottobre-novembre 2003, fu organizzata una conferenza presso l’Università del Wisconsin in onore di Schnaiberg e del modello del treadmill of production, una tradizione neomarxista centrale nella sociologia ambientale statunitense che descriveva il conflitto tra le tendenze dell’accumulazione capitalista e l’ambiente. Tuttavia, la conferenza si rivelò avere una doppia agenda, poiché furono invitati anche gli ecomodernisti olandesi Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren.[33] Questi pensatori si misero a criticare gli approcci neomarxisti all’ambiente e a difendere la capacità del capitalismo di risolvere i problemi ambientali semplicemente con mezzi tecnologici, proponendo di fatto un nuovo e più sfumato eccezionalismo umano, nato dal movimento di riforma ambientale in Europa. Il dibattito continuò per anni. La modernizzazione ecologica, sebbene ampiamente riconosciuta come teoricamente ed empiricamente debole rispetto alle analisi ecologiche radicali ed ecosocialiste, finì alla lunga per acquisire una notevole preminenza grazie alla sua maggiore conformità al sistema, e al prestigio e al sostegno ufficiale che ne derivavano. Per Mol e Spaargaren era necessario allontanarsi dalla «corrente ecologicamente ispirata dalla sociologia ambientale». Il nuovo paradigma ecologico è stato accusato di «flirtare con l’ecologia», rappresentando un inaccettabile «ibrido tra sociologia ed ecologia». Mol e Spaargaren sostenevano che non vi era alcun «ostacolo chiave» alla riforma ambientale nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici.[34]
Nella migliore delle ipotesi, i modernisti ecologici capitalisti hanno avanzato l’idea che la tecnologia e i mercati potessero affrontare le sfide ambientali all’interno del sistema capitalista attraverso riforme moderate e leggermente ecologiche, senza cambiamenti nei rapporti sociali; nella peggiore delle ipotesi, hanno negato ogni necessità di strategie e movimenti ecologici radicali. Nel 2010, Mol, il principale rappresentante della teoria della modernizzazione ecologica, ha ricevuto il Distinguished Contribution Award (o premio alla carriera) dalla Environmental Sociology Section dell’ASA, a indicare che la teoria della modernizzazione ecologica – nonostante la sua opposizione alla critica ecologica radicale e la sua posizione generalmente anti-ambientalista – era ora considerata pienamente legittima nell’ambito della disciplina. Ciò rifletteva una crescita generale dell’anti–ambientalismo: la percentuale di statunitensi che si consideravano ambientalisti scese dal 76% del 1989 al 41% del 2021.[35]
La teoria accademica della modernizzazione ecologica affonda le sue radici nella teoria della modernizzazione della Guerra Fredda. Nell’attaccare le teorie rosso-verdi di pensatori come Bahro e Commoner, Spaargaren sosteneva che essi si opponevano erroneamente alla «teoria della società industriale» sviluppata da «Daniel Bell e altri» che celebra la modernizzazione capitalista e l’industrializzazione. In questo senso, la modernizzazione veniva associata al funzionalismo strutturale del sociologo conservatore Talcott Parsons e, ancor più, a una concezione che identificava la modernità con l’Occidente, caratterizzato come la cultura “universale” in senso weberiano.[36] Come sosteneva Edward Shils, sociologo di spicco della Guerra Fredda e antimarxista, modernizzazione significava Occidente. Nelle sue stesse parole, «‘Moderno’ significa essere occidentale senza l’onere di seguire l’Occidente. Il modello di modernità è un’immagine dell’Occidente in qualche modo staccata dalle sue origini geografiche e dalla sua posizione».[37] Naturalmente, “Occidente” in questo senso rappresentava anche il capitalismo, visto come intrinsecamente occidentale.
La teoria occidentale della modernizzazione ecologica è quindi procapitalista ed eurocentrica. Tuttavia, una tesi fondamentale sia di Spaargaren che di Mol era che la modernizzazione ecologica fosse del tutto indipendente dalle relazioni sociali ed economiche. Come affermò Mol, «l’ideologia della modernizzazione ecologica» consiste nell’idea che sia possibile creare «una società rispettosa dell’ambiente» senza fare riferimento a «una serie di altri criteri e obiettivi sociali quali la scala di produzione, il modo di produzione capitalistico, l’influenza dei lavoratori, l’equa distribuzione dei beni economici, i criteri di genere e così via. Includere quest’ultima serie di criteri potrebbe portare a un programma più radicale (nel senso di allontanarsi ulteriormente dall’attuale ordine sociale), ma non necessariamente a un programma più radicale dal punto di vista ecologico».[38] L’implicazione era che l’avvento del socialismo non avrebbe migliorato materialmente la situazione dal punto di vista ecologico. Oppure, come ha scritto altrove, «i teorici della modernizzazione ecologica credono… che l’ambiente possa essere protetto all’interno della logica e della razionalità del capitalismo… Un ‘capitalismo verde’ è possibile e, per certi aspetti, persino auspicabile». Ciò significa «reindirizzare e trasformare il ‘capitalismo di libero mercato’ in modo tale che ostacoli sempre meno e contribuisca sempre più alla conservazione della base di sostentamento della società». Più in generale, egli affermava che la modernizzazione ecologica significa «l’incorporazione della natura come terza forza di produzione [dopo il lavoro e il capitale] nel processo economico capitalista».[39] Per l’ecomodernista Maarten Hajer, era possibile vedere «la modernizzazione ecologica come l’interpretazione della natura quale nuovo ed essenziale sottosistema» del capitalismo industriale.[40] Come l’intero sistema terrestre potesse diventare un «sottosistema» della società industriale in termini spaziali e temporali, non è stato spiegato.
La modernizzazione ecologica capitalista e la sinistra occidentale
Nel 2007, gli ecomodernisti Michael Shellenberger e Ted Nordhaus, autori del saggio “The Death of Environmentalism” del 2004, pubblicarono il loro libro Breakthrough: From the Death of Environmentalism to the Politics of Possibility [La svolta: dalla morte dell’ambientalismo alla politica delle possibilità], lanciando contemporaneamente il Breakthrough Institute, un think tank filo-imprenditoriale, filo-capitalista, ecomodernista e antiambientalista.[41] Con il proposito di portare sulla scena l’ecomodernismo, il Breakthrough Institute sostiene un programma che mira a risolvere i problemi ecologici attraverso tecnologie basate sul mercato e sovvenzionate dallo Stato capitalista, mantenendo intatte le relazioni sociali esistenti. Questo approccio è antiambientalista nel senso che rifiuta il movimento ambientalista e promuove il mito dell’ecologizzazione del capitalismo. Nel 2015, il Breakthrough Institute ha promosso An Ecomodernist Manifesto: From the Death of Environmentalism to the Birth of Ecomodernism [Il manifesto degli ecomodernisti: dalla morte dell’ambientalismo alla nascita dell’ecomodernismo], in cui si sostiene che l’unica soluzione alle sfide ambientali sia il «disaccoppiamento accelerato» dell’economia dall’ambiente, attraverso forme di produzione più intensive che richiedono un «progresso tecnologico accelerato». Pur sostenendo che il loro approccio non può essere ridotto al sistema di accumulazione del capitale o al conservatorismo del libero mercato, esso si oppone a qualsiasi cambiamento delle relazioni sociali esistenti. La risposta migliore al cambiamento climatico, afferma il Manifesto degli ecomodernisti, è l’energia nucleare, pubblicizzata come «unica tecnologia odierna a zero emissioni di carbonio con la capacità di soddisfare la maggior parte, se non tutti , i requisiti di fabbisogno energetico».[42]
Nei suoi numerosi resoconti sull’ecomodernismo, il Breakthrough Institute presenta il capitalismo come l’unica via per una soluzione verde. Nel suo libro Green Delusions (1992), in cui attaccava l’ambientalismo radicale e l’ecosocialismo, Martin Lewis, senior fellow del Breakthrough Institute, sosteneva un “ambientalismo” meccanicistico prometeico, che si identificava con l’approccio “tecnocratico” ed eccezionalista-umano espresso da [Julian] Simon nel suo The Ultimate Resource.[43] Patrick Brown, senior fellow del Breakthrough Institute sosteneva, contro ogni logica ed evidenza, che «l’adattamento climatico è stato un successo clamoroso nell’era della rapida crescita economica capitalistica». Secondo Brown non esiste «nessuna tendenza uniforme nelle inondazioni globali», né nelle siccità globali o negli incendi boschivi globali. Il «bilancio del carbonio» non è stato «superato». Egli nega categoricamente la critica secondo cui il capitalismo sta modificando il clima «molto più rapidamente di quanto noi ci stiamo adattando ad esso».[44] Nordhaus e Alex Smith, membri senior del Breakthrough Institute, scrivendo per la rivista “socialdemocratica” Jacobin, sostengono che l’agrobusiness in stile aziendale è il modo più efficiente per affrontare l’agricoltura in modo ecologico ed è il modello per un ecomodernismo “disaccoppiato”.[45]
La strategia ecomodernista è spesso presentata come “progressista” ed è stata sempre più esplicitamente celebrata dai pensatori liberali e socialdemocratici come “prometeica” in senso iperindustrialista.[46] In questo contesto, la parola “prometeismo”, introdotta propagandisticamente nella Guerra Fredda per caratterizzare il marxismo come forma di strumentalismo e produttivismo estremo, e quindi antiumanista – successivamente adottato dagli “ecosocialisti della prima generazione” per criticare Marx definendolo antiambientalista – è stato trasformato in un distintivo d’onore nei circoli socialdemocratici. Così, i cosiddetti ecomodernisti “socialisti democratici” Matt Huber e Leigh Phillips, scrivendo per Jacobin, si presentano con orgoglio come appartenenti a una lunga tradizione di “marxisti meccanicisti prometeici”. In linea con l’idea dominante che il problema ecologico sia gestibile senza cambiamenti sostanziali nelle relazioni sociali, essi rifiutano la teoria della frattura metabolica di Marx. Seguendo l’eccezionalismo umano di Simon, Huber e Phillips sostengono che gli unici «limiti insuperabili» all’espansione economica sono «le leggi della logica e della fisica».[47] Phillips, imitando l’eccezionalismo umano antiambientalista di Simon, da lui elogiato, scrive che «si può avere una crescita [economica] infinita in un pianeta finito». E afferma che: «Il socialista… deve difendere la crescita economica, il produttivismo, il prometeismo [iperindustriale]».[48] Il pianeta, ci viene detto, ha una capacità di carico che può sostenere «282 miliardi» di persone, o anche di più. «L’energia è libertà. La crescita è libertà». L’obiettivo della società è «avere più cose».[49]
In quest’ottica, l’espansione economica viene prima di tutto, l’umanità e il pianeta vengono dopo. Il programma ecologico di questi pensatori, apparentemente di sinistra, non differisce sostanzialmente da quello dei neoliberisti del Breakthrough Institute, con i quali sono strettamente allineati.[50]
Huber e Phillips non ignorano del tutto le relazioni sociali. Tuttavia, si astengono dal mettere in discussione l’accumulazione illimitata di capitale o la crescita economica esponenziale infinita. Tutto ciò che serve per affrontare il cambiamento climatico, ci viene detto, è una pianificazione “socialista” (cioè socialdemocratica) basata sul lavoro organizzato, in particolare quello dei lavoratori del settore elettrico.[51] Huber si oppone fermamente a ciò che definisce «radicalismo ambientale antisistema» e propone come soluzione una «democrazia anti-carbonio». In linea con l’ex sinistroide Christian Parenti, egli sostiene che una «rivoluzione ecosocialista che rovesci il capitalismo» non è un’opzione praticabile in un arco di tempo ragionevole. Pertanto, la strategia adottata deve conformarsi alla logica interna del sistema capitalista stesso. Huber sostiene che se il capitalismo fosse “decarbonizzato” e l’industria dei combustibili fossili fosse “soppressa” come parte di un Green New Deal capitalista, il cambiamento climatico antropogenico cesserebbe semplicemente di esistere e non ci sarebbe bisogno di una «riduzione complessiva del consumo energetico» o di riduzioni dell’accumulazione di capitale, nemmeno nei paesi capitalisti sviluppati.[52] L’accumulazione di capitale potrebbe presumibilmente continuare come prima, raggiungendo livelli sempre più elevati, ma su una base decarbonizzata.
L’argomentazione che concepisce la crescita/accumulazione economica infinita come forza motrice di una soluzione capitalistica verde al cambiamento climatico, è legata alla riduzione dell’emergenza del Sistema Terra al solo cambiamento climatico. Questo è confermato dalla significativa affermazione di Huber e Phillips – in contrasto con tutta la scienza contemporanea del Sistema Terra – secondo cui gli altri otto limiti planetari non rappresentano un ostacolo al progresso umano.[53] Limiti planetari come la perdita di integrità biologica (compresa l’estinzione di massa delle specie), la frattura nei flussi biogeochimici (interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo), il cambiamento dell’uso del suolo (compresa la deforestazione), la perdita di acqua dolce, le nuove entità (inquinamento chimico da radionuclidi e da plastica) e l’acidificazione degli oceani – tutti limiti che secondo gli scienziati naturali sono ormai stati superati – vengono semplicemente ignorati.[54] L’ecomodernismo socialista democratico (o socialdemocratico), concepito in questo modo, «non raggiunge la sua vera espressione se non quando diviene una mera figura retorica», smentendo qualsiasi relazione razionale con l’ecologia.[55]
Ciò che è chiaro in tutto ciò è che un approccio socialista all’emergenza ecologica planetaria o ha una portata rivoluzionaria oppure è una contraddizione in termini: nella migliore delle ipotesi è una strategia per far funzionare meglio l’attuale società accumulativa, negando al contempo la totalità dialettica della crisi del Sistema Terra.
Vale la pena sottolineare che, virtualmente, non esistono pensatori ecologici di sinistra che si oppongano completamente al processo di modernizzazione ecologica – quando concepito come parte di una strategia globale di promozione della sostenibilità ecologica – che include cambiamenti sia nelle relazioni sociali che nelle forze produttive. L’opposizione ecosocialista è diretta, piuttosto, contro la modernizzazione ecologica capitalista in quanto teoria e pratica che include visioni regressive quali: (1) il rifiuto di riconoscere che il problema ecologico fondamentale è legato al capitalismo e richiede cambiamenti rivoluzionari nelle relazioni sociali; (2) il postulato irrazionale dell’eccezionalismo umano secondo cui la tecnologia – in accordo con il cosiddetto “libero mercato” e lo “Stato ambientale” – costituisce la soluzione totale alle contraddizioni ambientali, indipendentemente dalle relazioni sociali prevalenti; (3) la convinzione che l’esclusivo ricorso alla tecnologia meccanica renda possibile un approccio puramente riformista alle crisi ecologiche; e (4) la negazione dei limiti planetari critici e dei limiti ecologici critici, il cui superamento crea fratture nei cicli biogeochimici del pianeta, mettendo in pericolo l’umanità e innumerevoli altre specie.
Cina e modernizzazione ecologica socialista
Nell’ideologia borghese occidentale, il concetto di modernità ha sempre rappresentato gli ampi sviluppi economici, politici e culturali del capitalismo e dell’Occidente, spesso equiparati tra loro. Per Max Weber, le radici della modernità risiedevano nella razionalità formale che ha stabilito «la civiltà occidentale e… solo la civiltà occidentale» come cultura «universale», rappresentata dalla sua scienza, tecnologia, religione, metodo storico, musica, arte, architettura, diritto, politica e, soprattutto, capitalismo.[56] In Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri (1978) di David Landes, il capitalismo occidentale e la rivoluzione industriale erano visti come prodotti di un più ampio processo di modernizzazione in cui l’Occidente primeggiava.[57] In definitiva, nella concezione eurocentrica la modernizzazione non aveva altro significato se non il dominio sulla natura e sulla periferia globale attraverso istituzioni, soprattutto di natura economica e tecnologica, che si suppone abbiano avuto origine (e abbiano raggiunto il loro apice) in Occidente.[58] Come ha scritto il filosofo latinoamericano Enrique Dussel, «La ‘modernità’ [o almeno la concezione europea di modernità] inizia quando l’Europa si afferma come il ‘centro’ di una Storia Mondiale che essa stessa inaugura; la ‘periferia’ che circonda questo centro è di conseguenza parte della sua autodefinizione».[59] La modernizzazione ecologica viene vista dal nucleo imperiale occidentale come un’ulteriore aggiunta a questa concezione, una soluzione tecnocapitalista, modernista e riformista ai problemi ambientali, vista come il riflesso di un’altra fase della ricca maturità del nucleo imperiale occidentale. Essa nega ciò che Marx vedeva come la frattura metabolica inerente al processo di accumulazione capitalistica.[60]
Ma se nell’ideologia occidentale si sostiene che esiste un’unica modernità, basata sulla cultura europea e sul capitalismo, le vere origini storiche della modernità – intesa come rottura con le visioni più tradizionali del rapporto dell’uomo con il mondo – risalgono a molto tempo prima, all’identificazione dell’uomo come homo faber. L’idea che gli esseri umani fossero in grado di cambiare il mondo e quindi artefici della propria storia, indipendentemente dal “branco degli dei”, non è mai stata – come hanno affermato i critici marxisti dell’eurocentrismo come Joseph Needham e Samir Amin – un’esclusiva innovazione dell’Illuminismo occidentale. Si trattava piuttosto di un prodotto dello sviluppo culturale mondiale emerso durante la lunga Epoca Assiale* in cui, in diverse civiltà, poteva esser riconosciuto un orientamento analogo verso l’autosviluppo umano.[61] Ciò era evidente nella filosofia materialista di Epicuro, nella civiltà ellenistica e nella nascita del taoismo (e del confucianesimo) in Cina, nel periodo degli Stati Combattenti. La modernità, vista in questo senso storico più profondo, diviene il prodotto delle tendenze universali della civiltà, che si manifestano attraverso l’emergere e lo sviluppo dell’autocoscienza umana in senso hegeliano. Contrapposte a quelle capitalistiche, le concezioni socialiste della modernità sono il prodotto di questa concezione più globale, che risale a millenni fa, dove l’obiettivo, come nell’analisi marxiana, è lo sviluppo umano sostenibile e la piena realizzazione dei bisogni umani fondamentali.
È in questo senso che va intesa la modernizzazione socialista, e in particolare il modernismo ecologico [eco-modernismo] socialista, soprattutto in relazione al suo sviluppo in Cina. La Cina è una civiltà con 5.000 anni di storia, con una forte tradizione ecologica, che deriva dal taoismo e dal confucianesimo, ma che ora, sotto il “socialismo con caratteristiche cinesi”, sta introducendo un modernismo ecologico rivoluzionario legato al suo concetto di civiltà ecologica che trascende qualsiasi cosa immaginata in Occidente. Nella sua logica di fondo, la modernizzazione ecologica socialista, nonostante la familiarità di alcune delle sue forme di base – ad esempio, il tentativo di sviluppare tecnologie verdi e la sua attenzione al benessere economico – è concepita come l’opposto della modernizzazione ecologica capitalista. Come ha scritto Chen Yiwen in The Dialectics of Ecology and Ecological Civilization:
La modernizzazione in armonia con la natura è parte della concezione generale della modernizzazione cinese, il che significa: (1) dare priorità al coordinamento tra popolazione, risorse e capacità di carico dell’ambiente; (2) garantire la proprietà pubblica delle risorse naturali e la condivisione sociale del benessere ecologico nel processo di promozione della prosperità comune; (3) produrre prodotti ecologici e coltivare la cultura ecologica nel contesto della ricerca del coordinamento tra il progresso materiale e quello etico-culturale; (4) opporsi a qualsiasi forma di imperialismo ecologico ed estrattivismo; e (5) promuovere la creazione di un mondo pulito e bello, aderendo al percorso dello sviluppo pacifico.[62]
Nulla potrebbe essere più distante dal concetto occidentale di modernizzazione ecologica capitalista che affonda le sue radici nell’espropriazione della natura. La modernizzazione ecologica è generalmente vista in Europa e negli Stati Uniti come un’estensione del dominio tecnologico sulla natura volto a garantire l’eccezionalismo umano. Essa immagina un mondo di accumulazione capitalistica illimitata che, grazie alla tecnologia, è libera dai vincoli ambientali, con l’economia disaccoppiata dai processi biogeochimici e dalle condizioni elementari del Sistema Terra. Al contrario, come spiega Xi riguardo alla civiltà ecologica cinese, «la natura fornisce le condizioni fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità. Rispettare, adattarsi e proteggere la natura è essenziale per costruire una Cina moderna e socialista sotto tutti gli aspetti». Inoltre, egli scrive: «Per migliorare radicalmente i nostri ecosistemi, dobbiamo abbandonare il modello basato sull’aumento del consumo di risorse materiali, sullo sviluppo estensivo, sull’alto consumo energetico e sulle emissioni elevate».[63]
La modernizzazione ecologica socialista, che evita le illusioni del “capitalismo verde”, fa della costruzione di una civiltà ecologica un obiettivo diretto. Ciò si contrappone all’ecomodernismo capitalista, che mira a mantenere le relazioni sociali dominanti e la logica anti-ecologica del sistema di accumulazione senza freni del capitale, cercando semplicemente di mitigarne alcuni degli effetti peggiori – nel bel mezzo di un’emergenza ecologica planetaria! – attraverso normative di secondo ordine e nuove tecnologie. Nel capitalismo monopolistico statunitense, ad esempio, lo sviluppo della tecnologia solare è sempre stato ostacolato dalla minaccia che essa rappresenta per il sistema dominante dei combustibili fossili e, pertanto, è destinata, nella migliore delle ipotesi, ad integrarlo. In questo caso, modernizzazione ecologica significa: continua subordinazione degli obiettivi ambientali a quelli economici.[64]
Grazie alla sua modernizzazione ecologica socialista, la Cina ha superato l’Occidente nello sviluppo di energie rinnovabili in quasi tutte le categorie. Nel 2023, la Cina rappresentava l’83% della produzione mondiale di pannelli solari, mentre gli Stati Uniti solo il 2%. Il sistema ferroviario ad alta velocità cinese è più esteso, più veloce e più efficiente di quello europeo; inoltre la Cina rappresenta il 90% del mercato mondiale degli autobus. Le vendite di veicoli elettrici in Cina superano ormai quelle dei motori a combustione interna. Secondo il Financial Times, entro i prossimi tre anni la Cina otterrà più della metà della sua energia da fonti a basse emissioni di carbonio ed “è sulla buona strada per diventare il primo ‘elettrostato’ al mondo”, con una quota crescente della sua economia sostenuta da elettricità ed energia pulita. Di conseguenza, le emissioni di carbonio della Cina hanno iniziato a diminuire, nonostante la forte crescita economica e la continua, anche se in diminuzione, e forte dipendenza dalle centrali a carbone. La Cina è leader a livello globale nell’aumento delle foreste, con una copertura forestale quasi raddoppiata dagli anni ’80.[65]
Tuttavia, sarebbe un errore, sulla base di tali risultati, considerare la modernizzazione ecologica cinese come una semplice forma di produttivismo verde, che, in Occidente, è sinonimo di modernizzazione ecologica capitalista. Piuttosto, la modernizzazione ecologica socialista volta a costruire una civiltà ecologica è, nelle parole di Xi, «la modernizzazione dell’armonia tra l’umanità e la natura».[66]
Fondamentale, per la sinizzazione del marxismo è l’obiettivo della formazione di una «comunità di vita» in tutte le sue dimensioni, dagli ecosistemi alle relazioni uomo-natura, al metabolismo umano con il Sistema Terra stesso. «È essenziale distinguere», ha scritto Chen, la modernizzazione ecologica socialista in Cina «dal concetto di “modernizzazione ecologica” emerso in Europa tra la metà e la fine degli anni ’80… prevalente nei paesi capitalisti sviluppati, [che] cerca di migliorare gradualmente la qualità ambientale attraverso miglioramenti economici e tecnologici e aggiustamenti della pubblica amministrazione (compresa la crescente applicazione di strumenti di mercato), spesso senza mettere in discussione i principi fondamentali del capitalismo».[67] Al contrario, l’enfasi della modernizzazione ecologica socialista è posta sulla «ricostruzione socialista delle relazioni sociali insieme a una sostanziale trasformazione ecologica degli attuali metodi di produzione». In tutto ciò, «l’obiettivo finale è la realizzazione del comunismo, che implica la liberazione sia dell’umanità che della natura».[68]
Natura e umanità senza catene
Abbiamo solo frammenti del Prometeo liberato, l’opera perduta in cui Eschilo narra della liberazione di Prometeo dalle sue catene.[69] Percy Bysshe Shelley, nella sua opera Prometeo liberato, scritta all’inizio del XIX secolo, conclude il suo poema epico con la riunificazione di Prometeo con la natura. Mary Shelley osservò nei suoi appunti sul poema: «Quando il benefattore dell’umanità viene liberato, la natura riprende la bellezza della sua giovinezza». Come scrisse l’ecosocialista Walt Sheasby, «Non potrebbe esserci immagine più dinamica della celebrazione romantica [rivoluzionaria] dell’intreccio tra natura e libertà».[70]
Durante la Guerra Fredda, la manipolazione dell’antico mito greco di Prometeo, con l’appropriazione decontestualizzata della citazione di Eschilo da parte di Marx nella prefazione della sua tesi di dottorato, fu un’espediente utilizzato per denigrare il marxismo caratterizzandolo come una filosofia di strumentalismo, produttivismo estremo e antiumanesimo. L’”ecosocialismo della prima generazione” trasformò il mito di un prometeismo strumentalista e meccanicistico, apparentemente radicato nel materialismo storico classico, in un’accusa di anti-ambientalismo, ignorando o minimizzando la critica ecologica di Marx. L’ecosocialismo della seconda generazione ha dimostrato che questa caratterizzazione del marxismo classico inteso come prometeismo strumentalista e meccanicistico era falsa sotto ogni aspetto, sia per quanto riguarda l’antico mito greco di Prometeo, sia per quanto riguarda il rapporto storico-materialista classico con l’ambiente. Nel frattempo, la teoria capitalistica della modernizzazione ecologica, nella sua polemica contro l’ambientalismo radicale e il marxismo ecologico, abbracciava apertamente un prometeismo strumentalista/meccanicistico come simbolo della propria visione. L’ironia della sorte era evidente nella ricomparsa presso i circoli socialdemocratici di un presunto ecomodernismo di sinistra sotto la falsa bandiera del marxismo prometeico, sostenendo erroneamente che per il marxismo classico l’obiettivo fosse semplicemente la crescita economica, piuttosto che lo sviluppo umano sostenibile.[71]
Il mondo capovolto e alienato dell’ecomodernismo capitalista, con il suo “prometeismo” meccanicistico, è una fuga dalla possibilità dell’ecomodernismo socialista e di un prometeismo rivoluzionario umanista-ecologico. Il modernismo ecologico capitalista, con la sua versione distorta e meccanicistica del mito di Prometeo, cerca invano di cambiare le forze produttive mantenendo intatte le relazioni sociali esistenti di accumulazione ed espropriazione della natura. Al contrario, l’ecomodernismo socialista, o prometeismo umanistico-ecologico, così come sviluppato oggi nel marxismo ecologico cinese – in linea con le tradizioni umanistiche-ambientaliste della Cina – rappresenta una posizione rivoluzionaria. In questo caso, l’obiettivo è quello di cambiare le relazioni sociali, produttive e ambientali in modo tale che venga abbandonata la società acquisitiva e in reciproco accordo, sia la natura che l’umanità siano libere da vincoli, come immaginato, in modi diversi, da pensatori umanisti come Lao Tzu, Eschilo, Epicuro, Shelley e Marx. Come afferma Marx nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844, il comunismo è allo stesso tempo «la compiuta consustanziazione dell’uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il realizzato naturalismo dell’uomo e il realizzato umanismo della natura».[72]
Note
* N.d.T. L’epoca assiale (o anche età, era o periodo assiale, in tedesco Achsenzeit) è quell’arco di tempo compreso tra l’800 a.C. e il 200 a.C., che il filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1969) ritiene contraddistinto da una profonda svolta culturale e filosofica della storia umana. (fonte: Wikipedia)
[1] Il “prometeismo” criticato dagli ecosocialisti occidentali, è il prometeismo meccanicistico, un prodotto dell’ideologia modernista ed ecomodernista della Guerra Fredda, che non ha alcun rapporto diretto con l’antico mito di Prometeo, che non riguardava l’industrializzazione.
[2] Eschilo, PV, pp. 965–975; Karl Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, in Marx – Engels, Opere vol. 1, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni (Mi), 2020, p. 75-76; John Bellamy Foster, Marx and the Environment, Monthly Review 47, n. 3, luglio-agosto 1995, pp. 108-123; Walt Sheasby, Anti-Prometheus, Post-Marx: The Real and the Myth in Green Theory, Organization and Environment 12, n. 1, marzo 1999, pp. 5-44.
[3] Xi Jinping, citato in Green Waters and Green Mountains, China Media Project, 16.04.2021, chinamediaproject.org; Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3, Foreign Languages Press, Pechino, 2014, pp. 419-420; Chen Yiwen, The Dialectics of Ecology and Ecological Civilization, Monthly Review 76, n. 11, aprile 2025, pp. 35-36; Xi Jinping, Selected Readings From the Works of Xi Jinping, vol. 1, Foreign Languages Press, Pechino, 2024, p. 51.
[4] Va notato che alcuni marxisti – in relazione a Marx – hanno utilizzato il concetto di prometeismo nel senso originario di umanesimo, illuminismo e creatività, piuttosto che come sinonimo di strumentalismo e iperindustrialismo come nell’ideologia della Guerra Fredda. Vedi, per esempio, Hal Draper, The Principle of Self-Emancipation in Marx and Engels, The Socialist Register, Merlin, Londra, 1971, pp. 81-109.
[5] Ted Benton, Marxism and Natural Limits, New Left Review 178, novembre-dicembre 1989, p. 82; John P. Clark, Marx’s Inorganic Body, Environmental Ethics 11, n. 3, 1989, p. 258.
[6] Karl Marx, L’ideologia tedesca, in Marx – Engels, Opere vol. 5, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni (Mi), 2022, p. 164.
[7] Marx leggeva Eschilo ogni anno, in lingua originale, e greco e lo considerava il suo poeta antico preferito. Ciò aveva a che fare non solo con il Prometeo incatenato, ma anche con il fascino che il giovane Marx provava per Epicuro, che egli paragonava a Prometeo. Karl Marx, Confessions, in Late Marx and the Russian Road, a cura di Teodor Shanin, Monthly Review Press, New York, 1983, p. 140; Paul Lafargue, Reminiscences of Marx, in Reminiscences of Marx and Engels, Institute of Marxism-Leninism, Foreign Languages Press, Mosca, s.d., p. 74.
[8] Peter Gay, The Enlightenment, Alfred A. Knopf, New York, 1966, vol. 1, pp. 102-103.
[9] Karl Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, in Marx – Engels, Opere vol. 1, p. 75-76, 402-404; Sebbene i curatori delle Opere complete affermino correttamente che l’immagine raffigura Prometeo legato alla macchina da stampa, alcuni interpreti hanno tendenzialmente visto in essa l’immagine di Marx barbuto nei panni di Prometeo, dato che all’epoca era redattore della Rheinische Zeitung.
[10] Marx era fortemente critico dell’introduzione del prometeismo meccanicistico da parte di Proudhon. Vedi John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, Monthly Review Press, New York, 2000, pp. 126-133. Sulle pubblicazioni di sinistra finanziate dalla CIA, vedi Frances Stoner Saunders, The Cultural Cold War: The CIA and the Congress for Cultural Freedom in the Early Cold War, Routledge, New York, 2016.
[11] John Bellamy Foster, Breaking the Bonds of Fate: Epicurus and Marx, Monthly Review Press, New York, 2025, pp. 52-63.
[12] Franz Mehring, Karl Marx, University of Michigan Press, Ann Arbor, 1979, p. 31.
[13] Edmund Wilson, To the Finland Station, Doubleday, Garden City New York, 1940, pp. 111-119.
[14] Robert C. Tucker, Philosophy and Myth in Karl Marx, Cambridge University Press, Cambridge, 1961, pp. 77-78, 81.
[15] Lewis Feuer, Marx and the Intellectuals, Doubleday, Garden City New York, 1969, pp. 9-10, 29; Daniel Bell, The Cultural Contradictions of Capitalism, Basic Books, New York, 1976, 1996, p. 160.
[16] Daniel Bell, The Coming of Post-Industrial Society, Basic Books New York, 1973, pp. 463-466.
[17] Anthony Giddens, A Contemporary Critique of Historical Materialism, vol. 1, University of California Press, Berkeley, 1981, pp. 59-60.
[18] Anche molti di coloro che in quel periodo sostenevano il materialismo storico vedevano in Marx una rozza strumentalizzazione della natura. Vedi Stanley Aronowitz, The Crisis in Historical Materialism, Palgrave MacMillan, Londra, 1990.
[19] John Bellamy Foster, prefazione a Paul Burkett, Marx and Nature, Haymarket, Chicago, 1999, pp. viii–x.
[20] Foster, Marx and the Environment; Burkett, Marx and Nature.
[21] Foster, Marx’s Ecology, pp. 141-177; Paul Burkett, Marx’s Vision of Sustainable Human Development, Monthly Review 57, n. 5, ottobre 2005, pp. 34-62.
[22] Vedi John Bellamy Foster e Paul Burkett, Marx and the Earth, Brill, Boston, 2016, pp. 3-4, 10-11; The Metabolic Rift: A Selected Bibliography, MR Online, 16.10.2013.
[23] Eschilo, PV, 975; Karl Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, in Marx – Engels, Opere vol. 1, p. 76.
[24] Rachel Carson, Lost Woods, Beacon Press, Boston, 1998, p. 210.
[25] Vedi John Bellamy Foster, The Return of Nature, Monthly Review Press, New York, 2020, pp. 502-526.
[26] Riley E. Dunlap, A Brief History of the Environment and Technology Section, Environment, Technology, and Society, ASA Section Newsletter, n. 100, iInverno 2001, pp. 1, 4-5, envirosoc.org/Newsletters/Winter2001.pdf.
[27] William R. Catton, Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change, University of Illinois Press, Urbana, 1982; William R. Catton e Riley E. Dunlap, Environmental Sociology: A New Paradigm, American Sociologist 13, n. 1, 1978, pp. 41-49; Riley E. Dunlap e William R. Catton, Struggling with Human Exemptionalism: The Rise, Decline, and Revitalization of Environmental Sociology, American Sociologist 25, 1994, pp. 5-30.
[28] Julian Simon, The Ultimate Resource, Princeton University Press, Princeton, 1981, p. 346.
[29] Robert Solow, The Economics of Resources or the Resources of Economics, American Economic Review 64, n. 2, 1974, p. 11. Solow ha poi preso in considerazione il caso contrario, in cui la sostituibilità era limitata. Ma lo scopo della sua argomentazione era quello di sottolineare livelli molto elevati di sostituibilità. Pertanto, ha fatto riferimento alla «nozione di William Nordhaus dell’inevitabilità di una ‘tecnologia di sostegno’», in cui «a un costo contenuto, la produzione può essere completamente liberata dalle risorse esauribili» – una visione che Solow non ha trattato come assurda, ma in qualche modo molto più vicina alla verità rispetto al suo contrario.
[30] Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William Behrens III, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano,1972; Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows e Jørgen Randers, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano, 1993.
[31] Sull’importanza dell’ecologia radicale e dell’ecologia neomarxista, vedi la prima parte di, Special Issue on the Environment and the Treadmill of Production in Environmental Sociology, Organization and Environment 17, n. 3, settembre 2004, e la seconda parte di Organization and Environment 18, n. 1, marzo 2005.
[32] Tra i sostenitori dell’ecosocialismo della seconda generazione figurano personaggi quali l’autore del presente articolo, Richard York, Brett Clark e successivamente Hannah Holleman.
[33] Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren, From Additions and Withdrawals to Environmental Flows: Reframing Debates in the Environmental Social Sciences, Organization and Environment 18, n. 1, marzo 2005, pp. 91-107.
[34] Gert Spaargaren e Arthur P. J. Mol, Sociology, Environment, and Modernity, Society and Natural Resources 5, 1992, pp. 325-326; Gert Spaargaren, The Ecological Modernization of Production and Consumption, dissertazione di dottorato, University of Wageeningen, Netherlands, 1997, pp. 65-66, edepot.wur.nl/138382; Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren, Ecological Modernisation Theory in Debate: A Review, Environmental Politics 9, 2000, pp. 22-23.
[35] Gallup, Environment, news.gallup.com/poll/1615/environment.aspx.
[36] Spaargaren, The Ecological Modernization of Production and Consumption, pp. 9-11.
[37] Edward Shils, Political Development in the New States, Mouton & Co.,Londra, 1965, pp. 7-10.
[38] Arthur P. J. Mol, Ecological Modernisation and Institutional Reflexivity: Environmental Reform in the Late Modern Age, Environmental Politics 5, 1996, pp. 302-323; Spaargaren, The Ecological Modernisation of Production and Consumption, pp. 20-22; vedi anche John Bellamy Foster, The Planetary Rift and the New Human Exemptionalism: A Political-Economic Critique of Ecological Modernization Theory, Organization and Environment 25, n. 3, 2012, pp. 219-220.
[39] Arthur P. J. Mol, The Refinement of Production: Ecological Modernisation Theory and the Chemical Industry, Netherlands: International Books, Utrecht, 1995, pp. 41-42; Arthur P. J. Mol e Martin Jänicke, The Origins and Theoretical Foundations of Ecological Modernisation Theory, in The Ecological Modernization Reader, a cura di, Arthur P. J. Mol, David Sonnenfeld e Gert Spaargaren, Routledge, Londra, 2009, p. 24.
[40] Maarten Hajer, Ecological Modernisation as Cultural Politics, in Risk, Environment, and Modernity: Towards a New Ecology, a cura di, Scott Lash, Bronislaw Szerszynski e Brian Wynne, Sage, Londra, 1996, p. 252.
[41] Michael Shellenberger e Ted Nordhaus, The Death of Environmentalism, 2004; Ted Nordhaus e Michael Shellenberger, Break Through: From the Death of Environmentalism to the Politics of Possibility, Houghton Mifflin Harcourt, Boston, 2007.
[42] John Asafu-Adjaye et al., Il Manifesto degli ecomodernisti, aprile 2015, ecomodernism.org.
[43] Martin Lewis, Green Delusions: An Environmentalist Critique of Radical Environmentalism, Duke University Press, Durham, North Carolina, 1992, p. 7, 15.
[44] Patrick Brown, Defending Economic Productivity and Capitalism for Climate Adaptation and Mitigation, Breakthrough Institute, 16.09.2024, thebreakthrough.org; Patrick Brown, Forget Adapting to Climate Change: We Must First Adapt to the Climate We Have, Breakthrough Institute, 17.07.2024.
[45] Ted Nordhaus e Alex Smith, The Problem with Alice Waters and the ‘Slow Food’ Movement, Jacobin, 03.12.2021.
[46] Vedi, per esempio, William B. Meyer, The Progressive Environmental Prometheans: Left-Wing Heralds of a “Good Anthropocene”, Palgrave Macmillan, Londra, 2016.
[47] Matt Huber e Leigh Phillips, Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism, Jacobin, 09.03.2024; Leigh Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts: A Defense of Growth, Progress, Industry and Stuff, Zero Books, Winchester, UK, 2015, pp. 217-234. I lettori possono trovare i loro profili sul sito web del Breakthrough Institute; vedi Huber: thebreakthrough.org/people/matt-huber; Phillips: thebreakthrough.org/people/leigh-phillips. Phillips collabora spesso, con la pubblicazione di articoli, al Breakthrough Institute e alla rivista Compact Magazine, di orientamento MAGA, nonché a Jacobin.
[48] Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts, p. 59, 255, 259.
[49]Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts, p. 63, 89, 263.
[50] Vedi i profili di Huber e Phillips sul sito web del Breakthrough Institute.
[51] Huber e Phillips, Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism; Leigh Phillips, Hurrah for 8 Billion Humans, Compact Magazine, 02.12.2022; Leigh Phillips e Michal Rozworski, The People’s Republic of Walmart: How the World’s Biggest Corporations are Laying the Foundation for Socialism, Verso, Londra, 2019.
[52] Matthew T. Huber, Climate Change as Class War, Verso, Londra, 2022, pp. 159, 201-204.
[53] Huber e Phillips, Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism; Phillips, Hurrah for 8 Billion Humans.
[54] Cristen Hemingway Jaynes, Ticking Time Bomb’ of Ocean Acidification Has Already Crossed Planetary Boundary, Threatening Marine Ecosystems Study, EcoWatch, 09.06.2025.
[55] Karl Marx e Frederick Engels, Manifesto del Partito Comunista, in Marx – Engels, Opere vol. 6, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni (Mi), 2021, p. 496.
[56] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1970, pp. 13–17.
[57] David S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1978.
[58] Sul concetto di dominio della natura e le sue complessità, vedi Leiss William, The Domination of Nature, Beacon Press, Boston, 1972.
[59] Enrique Dussel, Eurocentrism and Modernity (Introduction to the Frankfurt Lectures), boundary 2 20, n. 3, Autunno 1993, p. 65.
[60]Sulla teoria della “frattura metabolica” di Marx, vedi John Bellamy Foster, Capitalism in the Anthropocene, Monthly Review Press, New York 2022, pp. 41-61; John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature: Capitalism and the Ecological Rift, Monthly Review Press, New York, 2020, pp. 12-34.
[61] Vedi Joseph Needham, Within the Four Seas: The Dialogue of East and West, University of Toronto Press, Toronto, 1969, pp. 69, 91-93, 106; Samir Amin, Eurocentrism, Monthly Review Press, New York, 2009, pp. 13, 109, 115, 121, 143-46, 212-13; Foster, Breaking the Bonds of Fate, pp. 25-26.
[62] Chen, The Dialectics of Ecology and Ecological Civilization, p. 36.
[63] Xi Jinping, Selected Readings, vol. 1, p. 51, 638.
[64] Daniel M. Berman e John T. O’Connor, Who Owns the Sun?: People, Politics, and the Struggle for a Solar Economy, Chelsea Green Publishing, White River Junction, Vermont, 1996.
[65] Debby Cao, Why Is China, and Not the US, the Leader in Solar Power?, Solar Ctrl, 24.04.2024; Danny Kennedy, U.S. Petrostate Versus China’s Electrostate, Climate and Capital Media, January 23.01.2025; Nassos Stylianou et al., How Xi Sparked China’s Electricity Revolution, Financial Times, 12.05.2025; Laurie Myllyvirta, Clean Energy Just Put China’s CO2 Emissions into Reverse for the First Time, Carbon Brief, 15.05.2025; Yaotong Cai et al., Unveiling Spatiotemporal Tree Cover Patterns in China: The First 30m Annual Tree Cover Mapping from 1985 to 2023, ISPRS Journal of Photogrammetry and Remote Sensing 216, ottobre 2024, pp. 240-258.
[66] Xi, Selected Readings, vol. 1, p. 23.
[67] Chen Yiwen, Marxist Ecology in China: From Marx’s Ecology to Socialist Eco-Civilization Theory, Monthly Review 76, n. 5, ottobre 2024, pp. 41-42.
[68] Chen, Marxist Ecology in China, p. 40.
[69] Carey Jobe, Aeschylus’ Prometheus Unbound: Rebuilding a Lost Masterpiece, Antigone, 10.02.2024, antigonejournal.com.
[70] Mary Shelley, Notes on ‘Prometheus Unbound,’ in Percy Bysshe Shelley, The Complete Poetical Works, Oxford University Press, Oxford, 1914, p. 268; Sheasby, Anti-Prometheus, Post-Marx, p. 18.
[71] Huber e Phillips, Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism.
[72] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Marx – Engels, Opere vol. 3, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni (Mi), 2020, p. 354.
John Bellamy Foster
Traduzione a cura della Redazione di Antropocene.org
Fonte: Monthly Review, vol. 77, n. 06 (01.11.2025)
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