Migranti in Kurdistan. Voci dell’esodo dal Levante all’Europa_Seconda parte
Proseguiamo il reportage dai campi profughi di Batman, nel Bakur o Kurdistan settentrionale, in Turchia. A rispondere alle nostre domande è Semra Güneş, addetta della municipalità al problema profughi.
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È la prima volta che questa municipalità si confronta con questi aspetti, e può contare sull’aiuto, come dicevo, soltanto di poche associazioni esterne. Quattro uomini e due donne lavorano nel campo. Ci sono sempre un uomo e una donna rifugiati che coadiuvano il lavoro degli addetti. Ci auguriamo che il coinvolgimento degli ospiti nella gestione delle strutture possa aumentare: se riusciamo a collaborare e a lavorare insieme, per noi sarebbe un grande risultato. Una novità che riguarda molte di queste persone è che, mentre nel primo anno (tra l’estate 2014 e l’estate 2015) il loro status di rifugiati era ordinario, da quest’anno sono entrati nella categoria dei “rifugiati internazionali” che non permette loro di tornare nel proprio paese (pena la perdita dello status).
Quale pensate che sarà l’impatto della permanenza, qui, di questa popolazione migrante? Le famiglie da Singal sono qui ormai da un anno. Pensate che ci sia una possibilità di permanenza e di inserimento, per loro? Pensate al contrario che, alla fine, torneranno nel loro paese? Qual è il rapporto, al momento, con la popolazione locale?
Ci sono delle differenze: alcune, tra le famiglie, vogliono restare, altre tornare. La mia opinione personale è che, in primo luogo, dobbiamo tenere conto che esistevano nove villaggi Ezidi in questa zona, la provincia di Batman. Se le persone vogliono restare qui, non avranno problemi. L’importante è che si superi l’attuale situazione di precarietà e indecisione, dovuta all’evoluzione della guerra. Si tratterà, per quelli che restano, di garantire un inserimento lavorativo e fornire il necessario supporto, sebbene credo che, in questo caso, la provincia di Batman avrà bisogno anche di un qualche aiuto dall’esterno.
Sappiamo che Batman è anche un’area di conflitto, che è stata posta diverse volte sotto coprifuoco, che ci sono stati assassinii di civili da parte delle forze speciali. Qual è l’impatto di questi eventi sulla vita dei rifugiati? È accaduto che questi eventi abbiano causato la decisione di ripartire, da parte di alcuni?
Per i rifugiati è stato difficile arrivare qui, dopo un’esperienza così traumatica, qual è stata ad esempio quella del genocidio di Singal, e trovarsi nel mezzo di un altro conflitto. Non pochi si sono sinceramente chiesti, perché c’è la guerra anche in Turchia, la guerra non era in Iraq? Non è facile sotto il profilo psicologico. Il nostro desiderio, per essere franchi, è che questi rifugiati Ezidi restino qui, che continuino ad abitare i cinque villaggi della nostra provincia, in cui li abbiamo inseriti; molti di loro, però, non vogliono restare, e del resto neanche il governo turco li vuole.
Teniamo conto che ci sono anche delle differenze di status, ad esempio, tra i profughi siriani e quelli iracheni (tra cui quelli provenienti dalla città Ezida di Singal). I profughi siriani hanno uno status più favorevole, con la carta d’identità che ricevono hanno accesso gratuito alle cure ospedaliere, mentre lo stesso non vale per i profughi provenienti dall’Iraq, che se hanno bisogno di un intervento medico lo devono pagare. La nostra municipalità è contraria a questo stato di cose, che troviamo discriminatorio.
Siamo stati in un secondo campo, situato nella provincia di Batman, ad alcuni chilometri dalla città, dove abbiamo incontrato, oltre ai migranti che ci vivono, lo staff amministrativo e sanitario che si occupa della struttura.
Quante persone ci sono in questo campo, al momento?
Direttore del campo. Circa 500. Vanno e vengono, però, è un numero approssimativo soggetto a variazioni. Qui attorno ci sono anche villaggi in cui vivono famiglie ezide arrivate dall’Iraq. Undici in un villaggio, cinque in un altro e una rispettivamente in altri due villaggi distinti.
La tendenza di questo numero è diminuire o aumentare?
D. Diminuire. Molti sono tornati in Iraq (benché non a Singal, che non è ancora libera, al momento), molti altri sono andati in Europa.
Tutti coloro che sono adesso nel campo arrivano da Singal?
D. Sì, tutti da Singal.
Accettate soltanto persone munite di documenti o anche persone che non li hanno?
D. Accettiamo tutti, benché limitatamente alle città di Singal e Kobane.
Quindi qui ci sono anche rifugiati da Kobane?
D. No, soltanto Singal. Quelli di Kobane sono in altre strutture. Le carte d’identità dei nostri ospiti sono state rinnovate due settimane fa, affinché possano ancora usufruire dell’assistenza sanitaria.
I costi per il mantenimento del campo sono tutti a carico della municipalità di Batman, oppure ci sono anche contributi da parte di Ong?
D. Quando questi rifugiati sono arrivati, c’erano molte Ong che ci aiutavano, ma al momento attuale tutto è rimasto sulle spalle della municipalità: cibo, strutture, vestiti…
Quali patologie sono più frequenti tra chi si trova in questo campo?
Coordinatore: L’85-90% delle persone che accusano disturbi di salute sono donne e bambini.
È previsto del personale specifico di supporto alle donne, anche psicologico? Com’è organizzato il campo? I rifugiati si incontrano e ne parlano, poi riferiscono alla direzione i loro bisogni? Come è organizzata la vita nel campo?
Infermiera: Una volta c’era una Ong che si occupava, nello specifico, di donne e bambini. Ora non più, in effetti abbiamo un gap, da allora, da questo punto di vista. Abbiamo uno psicologo per questa struttura, che ora non è qui perché lavora qui soltanto il giovedì e il venerdì, ma è lui che resta in contatto con i pazienti e offre questo genere di servizio.
Le Ong che si sono occupate di questo campo erano turche o internazionali?
Inf. Internazionali.
Cosa accade quando una donna deve partorire? Deve andare a partorire a Batman?
Inf. Sì, esatto, al termine della gravidanza, quando è il momento del parto, si chiama l’ambulanza e si va a Batman. Ora ci sono casi di donne incinte cui non è stata ancora rinnovata la carta d’identità, ragion per cui rischiano di non poter usufruire delle cure quando dovranno partorire, quindi ci stiamo preoccupando di risolvere al più presto questo problema.
Ci sono bambini che sono nati qui, nel campo?
Inf. Personalmente ho già visto, in questi mesi, tre o quattro nascite, e diverse donne del campo sono al momento incinte.
C’è un servizio, nel campo, cui le donne possono rivolgersi per avere anticoncezionali?
C. Sì, abbiamo questo servizio. Distribuiamo preservativi agli uomini e pillole alle donne.
Esistono forme di educazione sessuale a questo proposito, o sono le persone che chiedono spontaneamente gli anticoncezionali?
C. Sì, la comunicazione viene data da noi per prassi, fin da quando la persona arrivata dall’estero si trova a Diyarbakir, prima di arrivare qui, gli infermieri sanno che devono far sapere a tutte e tutti che è disponibile questo servizio. Un fatto divertente è che, allora, palesemente gli uomini mandano le donne a chiedere i preservativi, perché si vergognano.
Perché c’è un cartello con lo stemma dell’Unione Europea all’interno del campo?
C. L’ho messo io. L’ho messo perché l’istituzione di questo campo è dovuto anche al lavoro di una Ngo turca legata a Medici Senza Frontiere, un’organizzazione che ha origine in Francia ed è finanziata anche dall’Ue.
Perché c’è filo spinato sopra i cancelli del campo?
D. La Turchia è attraversata da una guerra dopo le elezioni del 7 giugno 2015, e non si può mai sapere cosa succede. Anche Daesh potrebbe provare nuovamente ad attaccare gli Ezidi. Anche animali pericolosi, o sconosciuti in genere potrebbero entrare di notte. Il campo è anche monitorato in ventidue punti da telecamere di videosorveglianza, il nostro primo obiettivo, dopo il tetto e il cibo, è permettere a queste persone di vivere in sicurezza.
Le persone che sono ospitate nel campo possono uscire ed entrare liberamente nel campo?
D. Sì, possono muoversi liberamente, con l’unico accorgimento che sono tenuti a comunicare alla direzione quando escono. Un’altra cosa di cui ci occupiamo è trovare loro un lavoro. Alcuni già lavorano nei villaggi qui intorno: ci sono carpentieri, agricoltori… è per loro anche un modo di dimenticare la guerra, un aiuto psicologico.
Possono uscire anche a qualsiasi ora della notte, se lo vogliono?
Inf. No, questo non accade. Non avrebbero comunque modo di tornare qui durante la notte, non ci sono i mezzi pubblici dai villaggi vicini. Per quanto riguarda il lavoro, invece, gran parte del nostro ruolo è esercitato nel monitorare le loro condizioni di assunzione. Ci sono tante persone, qui intorno, che se assumerebbero per una prestazione, poniamo, a cinquanta lire, una volta che si rendono conto che a cercare un lavoro è un rifugiato lo pagano trenta. Noi allora ci preoccupiamo di parlare con gli ospiti affinché sappiano qual è il valore medio delle prestazioni lavorative che vengono loro richieste, per evitare che possano essere vittime di sfruttamento o raggiri.
Come funziona la vita nel campo? Chi vive così si organizza, e organizza le proprie eventuali necessità e richieste, attraverso riunioni o assemblee?
D. Ci sono decisioni che prendiamo noi, ed altre che concordiamo con i rappresentanti degli ospiti del campo. Peresempio, noi della municipalità abbiamo loro proposto di costruire per loro abitazioni stabili in cui possano stabilirsi, ed eventualmente lavorare la terra, ma loro ci hanno fatto sapere che non erano interessati, ad es. perché molti di loro vogliono tornare a Singal e vedono questa come una sistemazione temporanea. Oppure, altro esempio, ogni famiglia ci fa sapere ogni settimana di cosa ha bisogno per mangiare e in quale quantità, secondo le loro esigenze (cereali, tè, zucchero, ecc.). Ancora, in origine c’era una cucina del campo dove la direzione si occupava di cucinare i pasti, ma dopo qualche tempo gli ospiti hanno chiesto di cambiare sistema, volevano essere loro stessi a cucinare se noi gli avessimo fornito gli strumenti, e noi abbiamo detto che non c’è problema.
Ci sono problemi con la popolazione che vive qui intorno, rispetto alla loro presenza?
D. No. A dire il vero, uno dei villaggi qui intorno, situato a sud rispetto al campo, è un antico villaggio Ezida. In questa zona del Kurdistan, fino a un secolo fa, esistevano sedici-diciassette villaggi Ezidi; qui, nella provincia di Batman. Ora, però, ne restano soltanto otto, a causa dell’emigrazione ezida verso l’Europa.
Quali sono i problemi psicologici e fisici più frequenti per le persone che abitano qui?
Inf. Circa il 50% delle donne nel campo presentano problematiche psicologiche, il resto principalmente fisiche (ad es. infezioni vaginali).
Ci sono delle attività, anche informative, volte a prevenire questi problemi?
Inf. La causa principale sono le mancanze rispetto all’igiene, quindi noi infermiere provvediamo a fornire informazioni sulla prevenzione.
Ci sono denunce di problemi di violenza domestica?
Inf. Nessuna donna ha mai riportato episodi del genere, quindi non posso affermare che abbiano avuto luogo.
Ci sono matrimoni nel campo?
Inf. Alcuni ci sono stati, ma senza celebrazione o festa, perché siamo in guerra.
Sappiamo che c’è stato un tentativo di suicidio, in un altro campo, a marzo. Il problema della depressione è molto diffuso, qui?
Inf. Sì, abbiamo avuto casi di depressione. In quei casi portiamo subito le pazienti dallo psicologo.
Ci sono attività scolastiche nel campo?
Stiamo organizzando le attività scolastiche, ma abbiamo un problema di spazio. Ci sono però piccole attività didattiche, in piccoli spazi, fornite grazie all’aiuto dell’associazione degli insegnanti democratici di Batman, che giungono con un pulmino e danno le lezioni. Un problema è dato dal fatto che gli Ezidi parlano curdo ma scrivono in alfabeto arabo, non latino come i curdi di Turchia, quindi può esserci questo problema per l’insegnamento, che comunque stiamo cercando di superare. Abbiamo anche pensato alla possibilità di dare un attestato a chi ha seguito le attività didattiche, ma poi abbiamo discusso con gli ospiti circa l’eventualità che tale attestato non venisse poi considerato valido qualora le famiglie tornassero con i bambini a Singal, in Iraq. Il problema più grande, qui, è l’incertezza. Non sanno cosa accadrà tra un mese, non sanno cosa accadrà tra un anno, né cosa accadrà se torneranno a Singal, o se andranno in Europa.
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