Peste, porci e carabinieri. Cosa succede a Desulo e dintorni
Custu est su procu
custu d’at mottu
custu d’at abruschiau
custu si d’est pappau
e a su pitticcheddu no ndi dd’anti lassau
Filastrocca sarda sulla dita della mano, partendo dal pollice: questo è il maiale/ questo l’ha ucciso / questo l’ha cotto/ questo l’ha mangiato/ e al più piccolo non ne hanno lasciato.
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La peste suina africana è una forma influenzale altamente virulenta che colpisce i maiali. E’ innocua per l’uomo e comunque il virus non è trasmissibile attraverso le carni macellate e lavorate. Nel 1978 vengono registrati i primi focolai di PSA nel sud Sardegna, verosimilmente, a detta della ASL di Cagliari, “in seguito all’introduzione di rifiuti alimentari provenienti dall’aeroporto militare di Decimomannu”. Lo spostamento degli allevatori e dei cicli di transumanza verso il nuorese determinò la diffusione dell’epidemia. A Desulo, ad esempio fino ad allora, i porcari facevano la transumanza in Trexenta, a sud della Barbagia, e quando riportavano le bestie sui monti ricoveravano i maiali negli ovili comunitari. La tradizione dell’allevamento brado su terre di uso civico è così legata a una produzione delle carni non industrializzata. Se per lo più in Sardegna l’allevamento dei maiali è praticato a stabulazione fissa, solitamente come attività collaterale alla principale che è l’allevamento degli ovini, a Desulo e in altri comuni barbaricini, viceversa, l’allevamento è brado ed estensivo. Dal 1982 sono stati almeno quattro i piani di eradicazione con l’introduzione di svariati cicli di vuoto biologico. L’ultimo piano risale alla legge regionale del dicembre 2014, che regolamenta le task force dell’Unità di Progetto. Dal 2004, contestualmente al più grosso ciclo epidemiologico della malattia che ha portato all’abbattimento di 17 mila suini, l’Unione Europea ha iniziato a respingere i piani di sorveglianza e controllo della malattia bocciando le richieste di deroga per le esportazioni di carni suine, vincolati a piani di eradicazione efficaci. L’11 novembre 2011 la Comunità Europea ha istituito il divieto assoluto di far varcare i confini isolani di qualsiasi prodotto a base di carne suina sarda. Unica eccezione: la deroga dell’aprile 2015 per i maialetti precotti da inviare a EXPO.
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Desulo è un centro di duemila abitanti ai piedi di Punta La Marmora, la vetta più alta del massiccio del Gennargentu che divide l’interno barbaricino dalla costa ogliastrina della Sardegna orientale. La cosiddetta ‘vocazione agro-pastorale’ del territorio non è altro che l’insieme delle consuetudini che regolano i rapporti sociali e la riproduzione della comunità, dove, oggi tenere i maiali rappresenta non molto più che un’integrazione al reddito, il quale proviene in prevalenza da pensioni, risparmi ed economie informali. Questo tratto di sopravvivenza di saperi e prassi sociale è stato ideologizzato e tradotto in politiche istituzionali orientate alla valorizzazione di produzioni nel settore tracciabili, di origine controllata e protetta. Ma valorizzare sul mercato una ‘produzione tipica’ significa industrializzarla. Secondo il punto di vista istituzionale la regolarizzazione degli allevamenti, con l’estinzione del brado, sarebbe condizione igienico-sanitaria indispensabile per l’eradicazione della peste suina. Ciò permetterebbe inoltre la certificazione europea della commerciabilità delle carni e dei lavorati delle carni suine sarde, favorendo l’insediamento di nuovi allevatori e un’industrializzazione complessiva degli allevamenti che si proietterebbero su mercati d’esportazione con prodotti d’eccellenza tracciati. Addirittura nel 2008, l’allora capo di Gabinetto all’assessorato regionale all’agricoltura, Pietro Tandeddu, si esprimeva esattamente in questa direzione: «solo così sarà possibile avviare percorsi di valorizzazione delle produzioni suinicole, in particolar modo quelle di razza autoctona sarda oggi riconosciute dal ministero per le Politiche agricole, puntando anche a un eventuale marchio Dop. La creazione delle recinzioni dove sistemare gli animali è fondamentale per porre le condizioni per debellare queste due malattie che ormai da decenni mettono a rischio i nostri allevamenti».
Sarebbe il modello ‘Pata Negra’. Nella penisola iberica l’eradicazione della peste suina alla fine degli anni ’90, dopo 40 anni di lotta, ha infatti aperto alla produzione su ampia scala del pregiato prosciutto Pata Negra, venduto oggi tra gli 80 e i 200 euro al Kg su tutti i mercati alimentari come prodotto tipico e d’eccellenza.
Attualmente però il mercato delle carni suine sarde resta chiuso. Il macellato è destinato a un mercato interno che, sebbene con alti consumi, rappresenta un bacino ristretto, scarsamente industrializzato nella produzione e nella circolazione. Per via del blocco delle esportazioni il 90% delle carni suine lavorate nei salumifici sardi viene importato dai mercati dell’est; Polonia e Romania soprattutto. Il danno annuale all’esportazione nazionale di carni suine causato dalla presenza della peste supera i 250 milioni.
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L’emergenza sanitaria animale della peste suina rappresenta allora il dispositivo di ristrutturazione per distruggere e organizzare una nuova accumulazione e processi di mercificazione dell’attività umana. C’è una stratificazione degli attori. Quelli istituzionali provano a governare un processo dall’alto. “La Sardegna è la sorvegliata speciale nel campo della sanità animale della Comunità Europea”, ha detto un anno fa Alberto Laddomada, presidente della Commissione sanità animale e sicurezza dell’Ue, “provvedete in breve tempo all’eradicazione della peste suina, o verrete commissariati nel governo del settore”. La Regione Sardegna recepisce con nuovi piani di intervento, Unità di progetto e task force senza però confrontarsi con il territorio. I commissari regionali straordinari per l’emergenza sono tutti di nomina politica, come nel caso dell’ex generale dei carabinieri Gilberto Murgia, in quota Giorgio Oppi, decano democristiano della politica isolana, che per un periodo ha sommato a quella di commissario per l’emergenza peste suina anche la carica di direttore dell’Ente Foreste. Le amministrazioni locali subiscono, cercando strategie collaterali di mediazione e valorizzazione del territorio, come ad esempio la conversione delle terre comunali da pascoli a parchi naturalistici per una valorizzazione turistica che prevederebbe comunque l’eliminazione del brado e una nuova regolamentazione degli usi civici. I grandi allevatori e i produttori industriali di salumi sono ugualmente interessati a un certo grado di integrazione nel mercato per sviluppare le produzioni: i grossi allevatori intendono esportare mentre i salumifici industriali desiderano abbattere i costi d’importazione delle carni ed esportare su altri mercati il prodotto tipico e tracciato. Ma per il grosso degli allevatori, quelli non con grossi branchi, le procedure di regolarizzazione degli allevamenti significano l’estromissione di principio da un nuovo mercato aperto e competitivo – per la mancanza di capitale d’investimento – e la mercificazione di un bene – l’allevamento brado su terreni a uso civico è praticamente a costo zero e consente di ricavare dalla macellazione e lavorazione delle carni diversi prodotti per il consumo diretto o per la commercializzazione in circuiti comunitari. Un allevamento regolare prevederebbe, al contrario, nuovi costi, anche solo per il foraggiamento. Non è un caso che è partire dall’abbattimento di poche bestie di un piccolo proprietario che l’organizzazione della resistenza alle task force a Desulo ha subito una sensibile accelerazione
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E’ dunque su una consuetudine legata a rapporti materiali di sostentamento e riproduzione della comunità che è maturata la rigidità contro i piani straordinari per debellare la peste suina in Sardegna. Questa è percepita in termini sempre più espliciti come volano per processi di integrazione nel mercato delle produzioni sul territorio attraverso la distruzione degli attuali rapporti e l’instaurazione di nuovi rapporti più violenti mediati dal mercato. Perché, altrimenti, non applicare semplicemente la deroga per i maialetti di EXPO all’ordinarietà dell’allevamento isolano? La nuova offensiva contro la PSA, è partita il 30 novembre 2015, alla scadenza per la regolarizzazione degli allevamenti illegali. Prima della scadenza c’era stata, anche attraverso un sistema di premialità, la messa in regola degli allevamenti più grossi. Dopo il 30 novembre i piccoli proprietari degli allevamenti illegali, per paura degli abbattimenti degli animali sui quali neanche sarebbe stata verificata la presenza o meno del virus, hanno proceduto alla macellazione in proprio delle bestie, al fine di evitare di perdere le carni e i prodotti a causa delle decimazioni. Nel solo mese di dicembre 276 maiali allevati illegalmente sono stati abbattuti su tutto il territorio regionale. Lunedì 12 gennaio altri 8 maiali al pascolo in località Monte Cresia, ad Aritzo, ma di proprietà di desulesi, sono stati abbattuti. Il 22 gennaio una cinquantina di maiali sono stati abbattuti nelle campagne di Montes, a Orgosolo, incontrando però l’opposizione di una decina di pastori che ha cercato di contrastare l’operazione.
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L’abbattimento di tutti i maiali viene percepito come una violenza indiscriminata costretta a imporsi manu militari generando un’istintiva reazione a una prepotenza a danno della quotidianità della comunità e delle sue forme consuete di riproduzione e sostentamento. «Giù a Cagliari mica lo capiscono che approcci così decisi generano soltanto problemi di ordine pubblico e anarchia. E mica capiscono che devo gestire una situazione esplosiva. E che se si accende la miccia, qui…» Così si esprimeva già nel 2013 il sindaco di Desulo, dopo le prime assemblee degli allevatori che si opponevano all’ordinanza comunale del 29 maggio in cui si prescriveva, su indicazione della legge regionale, l’abbattimento dei capi allo stato brado nei pressi del centro abitato. In due anni e mezzo la mediazione sul territorio ha portato a diverse promesse ai desulesi: ipotesi di registrazione di tutti i maiali sani e l’abbattimento solo di quelli malati; un accordo per controllare gli animali registrati ; l’autorizzazione del pascolo brado in terreni determinati e controllati. Un dialogo certo labile e discontinuo, ma alimentato da aspettative e promesse che, anche se scarse, sembrano ora irrimediabilmente tradite dai blitz recenti. Per stemperare la tensione dopo il blocco di giovedì scorso sui monti di Desulo il consigliere regionale del Partito Democratico sul territorio, Roberto Deriu, si è attivato per portare il presidente della Regione Pigliaru a un incontro a Nùoro con gli allevatori: «Lo scontro non gioverebbe a nessuno e l’ha confermato anche Francesco Pigliaru che ha detto chiaramente che da parte della Regione non c’è alcuna volontà di accendere un conflitto. Ma su un punto è stato giustamente molto rigido: la regolarizzazione degli allevamenti. Ne avranno benefici anche gli allevatori che finalmente potranno sfruttare i prodotti della filiera ed esportarli in tutto il mondo».
Oltre gli sforzi della politica sembra difficile immaginare un processo di integrazione nel mercato senza un conflitto, più o meno esplicito, più o meno governato o autogovernato, con le relazioni sociali e comunitarie riflesse nelle attuali forme parzialmente demercificate di allevamento nella Barbagia di Desulo e dintorni.
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