Telecamere nei luoghi di lavoro: il tecnofascismo renziano in via di realizzazione
[da Senza Soste]
Sta passando quasi nel silenzio la norma che introduce la possibilità di controllare i lavoratori tramite telecamere e di sanzionarli disciplinarmente in base a quelle riprese. Nei mesi scorsi si parlava solo del controllo di smartphone e pc aziendali, oggi invece scopriamo che probabilmente potremo essere sorvegliati e puniti anche attraverso telecamere, cosa fino ad oggi vietata se non per questioni legate alla sicurezza degli impianti oppure a casi limite come furti o altri reati.
Dalle notizie uscite in questi giorni in merito agli ultimi decreti attuativi del Jobs Act, emerge che la descrizione della norma è molto viscida, perché dice che gli impianti di sorveglianza non potranno essere installati “solo” per il controllo dei lavoratori, ma le immagini raccolte per altri scopi potranno essere utilizzate anche a fini disciplinari. Praticamente l’azienda potrà installarle con una scusa qualsiasi (non si è ancora capito se servirà il consenso dei sindacati o se in assenza di questo basterà l’ok del Ministero, ma tanto in molti casi questa differenza purtroppo è parecchio labile), e poi usare le immagini per i propri comodi, fino al licenziamento di un dipendente.
È necessario sapere che la svolta, se andrà in porto così come la stanno descrivendo, è epocale e non riguarda solo la questione delle possibili sanzioni disciplinari per chi lavora. Si tratta infatti di un cambiamento concettuale che interrompe una lunga fase storica durante la quale i lavoratori non potevano essere osservati durante il loro lavoro, o almeno non potevano essere assolutamente passibili di una qualsiasi contestazione (disciplinare, ma anche semplicemente verbale, sulla loro prestazione lavorativa) in base a riprese di impianti audiovisivi collocati nei luoghi di lavoro. Ciò che cambia dunque è proprio la forma del monitoraggio costante del lavoratore non tramite un normale controllo umano (tipo quello di un altro lavoratore di livello superiore), bensì tramite un occhio computerizzato grazie al quale un direttore in poltrona potrà controllare i suoi dipendenti attraverso uno schermo. Con tutto ciò che, di pesantissimo, ne deriva.
Una prestazione lavorativa infatti è umanamente influenzata nella sua serenità dal fatto che si lavori sotto un controllo continuo e fisso. Cosa farebbe ad esempio un lavoratore che si trovasse a dover decidere se svolgere oppure no un lavoro ai limiti della sicurezza? Sarebbe sereno nel decidere sapendo che una telecamera lo sta guardando e un suo allontanamento dal luogo di lavoro potrebbe essere sanzionato? E cosa farebbe una lavoratrice che, dopo una giornata di stress lavorativo, sentisse il bisogno di tirare il fiato per un minuto oppure semplicemente di andare in bagno? Sarebbe tranquilla nel decidere di fermarsi oppure piuttosto collasserebbe per paura di farsi “giudicare” da una telecamera? Forse questi sono casi limite, o forse anche no. Ma al di là di questi casi, l’effetto sarà sicuramente quello di una maggiore intensità di ritmi (quindi di produttività) dei lavoratori, dato che sarà sempre come lavorare sotto un “kapò” virtuale che detta continuamente il tempo. Un ritorno alla schiavitù dei secoli bui in pratica, solo con la modernità delle telecamere. Non male per un paese dove gli incidenti e le morti sul lavoro sono ancora a livelli vergognosamente altissimi e dove gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa.
Come dicevamo quindi, si tratta di una svolta profondamente concettuale. Viene meno infatti il principio per il quale lavoratore e impresa hanno pari dignità (principio cardine per un paese civile), e viene introdotto un rafforzamento del potere gerarchico dell’impresa, rappresentato appunto dalla concessione della possibilità di avvalersi di mezzi non umani per il controllo a distanza sui lavoratori. Una barbarie (tutta ideologica) da regime totalitario, da tecnofascismo strisciante in cui non ci sono lavoratori e cittadini ma sudditi a disposizione del Sovrano e dei profitti degli imprenditori.
Curiosa poi la questione della cosiddetta “privacy”. Poletti ha spiegato che verrà rispettata la privacy del lavoratore. Il classico contentino per mettere a tacere le inutili minoranze interne del Pd, ma soprattutto un altro esempio di come questo governo riconduca ogni dibattito politico solo a questione di mero gossip, immagini e slogan e niente di più. È la concezione, anche questa tutta ideologica e tipica di questo governo, per la quale non esiste la dimensione collettiva delle questioni (in questo caso il rapporto capitale-lavoro) ma solo il piano dell’individuo singolo, più debole in quanto tale e quindi impossibilitato a porre un argine agli attacchi contro di lui.
Insomma, dopo l’abolizione dell’articolo 18 e dopo i precedenti decreti attuativi del Jobs Act, siamo di fronte all’ennesimo attacco di un governo che, sul tema centrale del lavoro, rappresenta indubbiamente l’esecutivo più a destra che l’Italia repubblicana abbia mai avuto. Ben peggiore, leggi alla mano, dei governi Berlusconi e dei governi tecnici. Talmente di destra, che infatti la destra storica non sa più cosa proporre e produce un Salvini (definibile appunto come un prodotto di Renzi) che può beceramente parlare solo di immigrazione.
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