
Quattro giornate di sciopero nel distretto tessile di Prato. Un primo bilancio degli Strikedays
Riceviamo e pubblichiamo da SUDD Cobas…
In quattro giorni, scioperi e picchetti in ventotto fabbriche dello sfruttamento e ventiquattro accordi 8×5 già firmati. I picchetti proseguono alla YDL, alla Vivi Stamperia, alla JModa e alla Winner. Centinaia di operai del distretto mobilitati ogni giorno. Ventinove fabbriche già sindacalizzate che lo scorso venerdì hanno scioperato in solidarietà per andare a sostenere i picchetti dei loro colleghi di distretto. Un numero indefinito di passeggiate rumorose tra i capannoni, volantinaggi e comizi in diverse lingue ai cancelli delle fabbriche non ancora sindacalizzate. Un bilancio che è già un successo oltre le previsioni. Numeri che non riescono a trasmettere la gioia, l’entusiasmo, la generosità che riempiono queste giornate.
La Primavera8x5, da “staffetta” che tra aprile e maggio aveva già portato a scioperi e accordi 8×5 in 15 fabbriche dello sfruttamento, si è fatta “valanga”. Prima con gli StrikeDays e poi con il Macroblocco Day. Ieri all’International Fashion Center in via dei Fossi 14 (uno dei “lotti” del Macrolotto n.1) la valanga si è fatta rivolta: i lavoratori di cinque aziende di uno stesso condominio industriale sono entrati uno dopo l’altro in sciopero esortati dai comizi sindacali fatti dai megafoni in lingua Urdu e Punjabi. I gazebi dei picchetti in sequenza tra loro a poche decine di metri l’uno dall’altro sono l’immagine che meglio racconta quello che sta accadendo in questi giorni. Chi vince sostiene chi non ha ancora vinto: così si alimenta la valanga. E i padroni, quasi tutti, sono costretti a cedere in poco tempo. Su chi non cede, la pressione aumenta ogni giorno.
Per sei anni le lotte 8×5 nel distretto si sono sviluppate “nella media e grande fabbrica” del distretto: soprattutto tintorie, stamperie, fabbriche di grucce, stirerie industriali e logistiche. Gli StrikeDays invece insistono sui “laboratori dello sfruttamento”, quei piccoli capannoni che contano intorno ai quindici dipendenti e che costituiscono, messe tutte insieme, la parte più grande del distretto: soprattutto confezioni, ma non solo. Sono i covi del lavoro nero, dove lo sfruttamento è al massimo e il sindacato – nella storia – non era mai entrato.
Non chiamatele “piccole aziende”. Perché dietro la miriadi di piccoli capannoni e di partite iva intestate a prestanomi si celano pochi grandi padroni delle filiere del pronto-moda. Non è la favoletta dell’”operaio cinese che prima cuciva è ora si è messo in proprio”. È un sistema – ereditato dalla struttura dei vecchi lanifici pratesi – che volutamente scompone il processo produttivo in mille rivoli, in fabbriche che svolgono spesso una singola fase di lavorazione. Chi sta in alto controlla tutta la filiera, aprendo o facendo aprire le piccole fabbriche che lavoreranno per la sua stessa grande impresa.
Il fatto straordinario non è che anche in questi piccoli laboratori dello sfruttamento gli operai si vogliono ribellare. È che questa ribellione oggi è diventata possibile. A renderla possibile c’è la forza accumulata dal sindacato e dal movimento 8×5 in sette anni di lotte, scioperi e picchetti nelle medie e grandi aziende del distretto. Sono gli operai sindacalizzati di queste fabbriche e magazzini delle logistiche che in questi giorni hanno alimentato i ventotto picchetti con la loro presenza fisica davanti ai cancelli, cucinando pranzi e cene per centinaia di persone e con mille altri gesti di generosità. Nella notte tra domenica e lunedì, erano più di settanta gli operai solidali di altre fabbriche che hanno presidiato tutta la notte le fabbriche dove erano in corso gli scioperi.
È stato fatto quello che i sindacati negli ultimi quarant’anni si sono rifiutati di fare: mobilitare chi ha diritti, per chi non ce li ha. Il disastro odierno del mondo del lavoro è invece il risultato (anche) di un modo di fare sindacato che divide invece di unire, assecondando la frammentazione della classe lavoratrice che viene scientificamente organizzata dal capitale attraverso la frammentazione del processo produttivo e le catene di appalti e subappalti. I grandi sindacati hanno così organizzato la debolezza della classe operaia, prima dividendo e poi rinunciando completamente al conflitto. Non mancava né la coscienza né la generosità da parte degli operai, è la volontà dei grandi sindacati che è mancata.
Colleghi di un’unica grande fabbrica e compagni di un’unica lotta. Questo spirito ha alimentato i cortei di biciclette e monopattini che si sono mossi da un picchetto all’altro durante il Macroblocco Day di domenica. Come un corteo interno che si muove tra da un reparto all’altro di una vecchia grande fabbrica fordista, invitando i colleghi a lasciare il lavoro. Uno spirito sviluppato e praticato negli anni con gli scioperi di solidarietà durante gli sgomberi dei picchetti da parte della polizia, o in risposta alle aggressioni mafiose. Una nuova coscienza di classe di una nuova classe operaia.
I diffidenti, più o meno in buona fede, chiedono “cosa succederà in queste fabbriche domani?”. Non lo sappiamo. Possiamo “solo” raccontarvi che in tante delle fabbriche in cui gli accordi 8×5 sono stati firmati già anni fa, oggi con la contrattazione aziendale di secondo livello i lavoratori hanno conquistato anche condizioni migliorative dei CCNL come buoni pasto, passaggi di livelli automatici e permessi retribuiti aggiuntivi. Questo vuol dire che tutto andrà bene? No. Sicuramente ciò che è stato conquistato andrà difeso. I padroni torneranno all’attacco “con elmi ed armi nuove” . Perché lo fanno sempre, che siano la piccola confezione cinese o la GKN Driveline SPA. Il capitale è fatto e sarà sempre fatto così: rincorre il profitto e non si fa problemi a stracciare accordi firmati poco prima.
I rapporti di forza sono l’unica fonte e l’unica garanzia dei diritti. C’eravamo, ci siamo e ci saremo: l’unica risposta che ha senso alla domanda iniziale è questa.
La sindacalizzazione degli “insindacalizzabili” ormai è una realtà. Un’intera comunità operaia costruita in anni di dure battaglie sta rendendo possibile, ancora una volta, ciò che si riteneva impossibile. Il distretto industriale a più alto tasso di sfruttamento di Italia sta diventando un grande laboratorio di un nuovo modo di fare sindacato basato sul protagonismo degli invisibili e degli sfruttati e sulla costruzione di comunità solidali.
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