Napoli contro la Bce. I sud non sono colonie. Appello alla mobilitazione
Giovedì 2 ottobre si terrà a Napoli un vertice del direttivo della Banca Centrale Europea (Bce). Mario Draghi e i vari presidenti delle banche centrali europee si danno appuntamento a Capodimonte (Napoli) per un vertice dai toni più che paradossali. In un territorio simbolo di povertà, esclusione e precarietà i fautori dell’austerity si riuniscono per pianificare nuove rapine ai danni di territori già messi in ginocchio da crisi e subalternità storica ai processi di sfruttamento ambientale e sociale; uno dei territori col più alto tasso di emigrazione, disoccupazione giovanile e generale, povertà ed emarginazione sociale. In questo contesto calano i banchieri venuti da Bruxelles: carichi di promesse per un Sud Italia da punire perchè poco produttivo per gli interessi della finanza ma ancora da sfruttare perchè ricco di risorse territoriali e umane ancora da catturare.
In questo cortocircuito si iscrive l’azione dei movimenti sociali pronti a contrastare un vertice Bce tanto carico di retoriche sulla crescita dei Sud quanto legittimo bersaglio della rabbia popolare di strati interi di società ormai indisponibile a continuare a fare il gioco dei potentati finanziari europei.
Così, nella città che vede periferie militarizzate e ragazzi uccisi a sangue freddo perchè tacciati di improduttività sociale – quindi marginalità, quindi pericolosità – , i movimenti lanciano la mobilitazione per una manifestazione che parli il linguaggio del rifiuto, dell’indisponibilità, del conflitto!
Alla mobilitazione lanciata dalle realtà di lotta napoletane risponde la rete di Orizzonti meridiani con una appello alla partecipazione e alla mobilitazione contro l’austerity, la Bce, la crisi.
Napoli #2oct I SUD NON SONO COLONIE #blockbce
Chissà perché proprio Napoli per un vertice di banchieri capeggiati dalla BCE? D’altronde la BCE è la banca che negli anni della crisi è entrata nel lessico familiare alla pari di qualsiasi altro termine istituzionale. Forse perché, in altri termini, è tanto familiare da permettersi di venire nel Sud Europa, proprio nella capitale della precarietà e della disoccupazione a dettare la propria agenda per mostrarci il suo volto umano e solidale verso il Mezzogiorno, per sostenerci dalla sofferenza e dalla fatica incombenti. Come nelle migliori tradizioni coloniali, il boia si mette i panni del benefattore. Chi muove le leve del comando lo fa con spirito umanitario in nome e per conto di un popolo che giudicano troppo “arretrato” per potersi autogestire. Dimenticando però, che se viviamo una condizione di povertà, sofferenza e talvolta isolamento e sottomissione è proprio a causa della BCE, dei suoi tecnici e delle sue banche che fanno incetta di salari e reddito per farne rendita da iniettare nella finanza e nelle borse.
Insomma è proprio la BCE la concausa della crisi e Mario Draghi che fa: viene a Napoli, insieme ad altri presidenti delle banche nazionali europee, a parlarci di superamento della crisi e di speranza nella crescita? Come se non fosse vero…
Mettiamo le cose al loro posto: la BCE e la Commissione Europea, dal 2011, ossia da quando il modello tedesco ha spinto sull’acceleratore delle politiche di austerity, imponendo i propri dettami soprattutto ai paesi del Sud Europa e commissariandone l’azione e i bilanci, dettano i tempi dell’austerità economico-finanziaria e della stabilità dei conti pubblici. Dal che, le regioni del Sud Europa, commissariate dalla BCE, sono costrette a tagliare il welfare e la spesa pubblica, adottare misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro, di svalutazione dei salari e del lavoro vivo, e non in ultimo di contenimento delle pensioni. E tutto ciò al fine di ripagare i debiti contratti dai paesi del Sud Europa con le banche tedesche e Nord Europee, ossia proprio quelle che verranno in grande stile a Napoli.
Eppure, non è che l’austerity e la stabilità abbiano favorito la Germania nella crescita. Né tantomeno la BCE abbia potuto godere di un miglioramento dei propri conti e della propria affidabilità, nei termini di superamento della crisi. Al contrario, sulla BCE come istituzione si tende sempre a vederla come un accessorio della Merkel, e Draghi un suo gregario. Ed effettivamente è così. La Germania non sta attraversando una fase di “crescita”, confermato nelle settimane scorse da un crollo di fiducia dei mercati finanziari e di affidabilità delle agenzie di rating. Il che tuttavia non toglie che la bilancia commerciale tedesca sia in avanzo mentre forte sia la competitività dei suoi prodotti sui mercati internazionali. Allo stesso modo, sono i prelievi sui i bilanci pubblici di tutta Europa che le consentono di fronteggiare il blocco della crescita e persino i rischi di stagnazione. Beninteso, la politica della BCE, l’austerità e il rigore economico-finanziario sono dispositivi che la Germania utilizza per favorire l’ingresso, sul proprio territorio, di forza lavoro specializzata, ad alto contenuto cognitivo, proveniente in particolare dalle regioni “poco sviluppate”, vale a dire proprio da quei paesi poco diligenti, sotto osservazione nel rispetto dei patti e del rigore, per l’appunto il Sud e l’Est Europa. Insomma, se austerità e stabilità non giovano alla BCE e ai paesi del Nord Europa per superare la crisi, sono però utilissimi per lo sfruttamento e l’estrazione di plusvalore dal lavoro vivo in ingresso a basso costo dal Sud Europa.
I PIGS (acronimo usato per identificare gli stati “indisciplinati” Portogallo Italia Grecia e Sapagna), sono una preziosissima “frontiera del capitale”. Altro che uno spazio indisciplinato ai dettami eurocentrici. E’ uno spazio geografico, che solo una narrazione tossica strumentale ad un capitalismo a doppia velocità (Nord/Sud) vuole dipingere come sottosviluppato, mentre in realtà risulta indispensabile per lo sviluppo capitalistico complessivo dei mercati europei: funzionale all’accumulazione tramite l’estrazione di plusvalore dai commons (enclave di risorse energetiche, ambientali) e dal lavoro vivo. Allo stesso tempo, il suo sottosviluppo è necessario alle elites europee per tenere disgregate “le stesse possibilità materiali di attacco politico proletario al rapporto di classe”. Detto altrimenti, sotto l’incalzare della crisi, la qualità della vita delle classi subalterne è tanto sottoposta ad un ridimensionamento che diviene anche abbassamento delle aspettative, e quindi: assuefazione alle politiche tossiche dell’austerità e alla necrofilia della precarietà. E tuttavia, in questi spazi agiscono regimi di omogeneità discorsiva, ossia una tautologia pubblicitaria per cui certe formazioni discorsive (crescita/sviluppo/stabilità e all’opposto sottosviluppo/instabilità/povertà) producono effetti di verità sugli apparati istituzionali periferici così come sulle classi subalterne.
Ma, di fronte ad una simile capacità di parte capitalista, anche noi sappiamo da dover ripartire perrilanciare la lotta all’austerity e mettere a valore ogni forma di resistenza e rifiuto a questa. I comportamenti di indisponibilità e sottrazione al comando capitalistico sui territori; le case occupate e gli allacci delle utenze nei quartieri; le lotte a difesa del territorio e dei beni comuni; le comunità in lotta contro i nuovi regimi estrattivi e predatori della fiscalità di stato come nel caso della Tares; gli studenti sempre più ingabbiati dentro le maglie
Sotto questa chiave di lettura le nuove forme di resistenza e difesa, tanto dei territori quanto delle pratiche sociali non compatibili che li attraversano, rappresentano già ora un nuovo modello di sviluppo ne etero diretto ne, tantomeno, piegato alla catena di comando imposta dal capitale centrale dell’ Europa. Modello che pone la sua base di azione sul rifiuto della migrazione e sulla permanenza territoriale di tutte quelle soggettività antagoniste indisponibili a pagare su le propria pelle la crisi. Permanenza che per il semplice fatto di esistere pone nelle sue basi in uno spontaneo meccanismo di resistenza sociale in massima parte ancora da agire e da indagare nel profondo. di controllo, disciplinamento, gerarchie sociali e territoriali. Ecco le soggettività in grado di affermare nuovi paradigmi di lotta e conflitto e originali modelli di autonomia sociale. Autonomia che possa, attraverso la continuità organizzata di tali resistenze, rompere le catene del comando sui nostri quartieri, sulle nostre comunità fungendo così da deterrente a processi di razzializzazione di territori che, se continuati ad essere messi a valore come oggi, vedranno nuove tragedie (di matrice economica e politica) come quella che ha colpito poche settimane fa il rione Traiano a Napoli ed uno dei suoi figli, Davide. Contro il direttivo Bce, insomma, non possiamo che riversare tutto questo carico di voglia, rabbia, rifiuto senza dimenticare il loro potenziale di antagonismo sociale e politico.
Nelle sud d’Europa al tempo della crisi restare significa automaticamente resistere e “lottare per non emigrare” non è una semplice indicazione politica ma una pratica sociale diffusa in grado di spezzare, attraverso il protagonismo delle lotte, quella narrazione di un sud subalterno tanto cara al capitale Nord Europeo.
Il 2 ottobre abbiamo una grossa opportunità per disinnescare queste narrazioni tossiche e per bloccare le politiche di povertà e la spietata repressione contro le nuove forme in cui questa oggi si manifesta così da rilanciare un percorso di unificazione delle lotte a livello europeo e per mettere a verifica la sperimentazione di quel laboratorio dello sciopero sociale e delle lotte metropolitane che questo autunno proveranno a contrastare le politiche renziane in Italia. Il 2 ottobre a Napoli ci saranno se non i protagonisti, almeno i tecnici, i quadri, i gregari coloro che ci rendono la vita precaria e sempre più misera. Per non abbandonarci alla solitudine e all’isolamento, organizziamo la nostra rabbia, a partire dalle periferie dell’impero, dai sud, laddove le resistenze e le lotte hanno il sapore di ben più ampie rivoluzioni e liberazioni.
Orizzonti meridiani
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