InfoAut
Immagine di copertina per il post

Abbraccio mortale: Donald Trump e i curdi in Siria

La prosecuzione e l’intensificazione del piano potato avanti soprattutto dal governo Obama per la strumentalizzazione dei curdi siriani è lo scenario più probabile della politica di alleanze degli USA in Siria. Tuttavia non è l’unico possibile. Rapporti dei media sul rifiuto del piano delineato dall’amministrazione Obama per la presa di Raqqa nei giorni scorsi hanno condotto a speculazioni su un possibile nuovo indirizzo della politica degli USA in Siria.

Donald Trump manda segnali contraddittori che rendono immaginabili anche scenari fino ad ora impensabili. L’esperto militare russo Ivan Konovalov in un colloquio con Sputnik News mette in evidenza come: “per la liberazione di Raqqa il Presidente USA deve cercare di farsi spalleggiare da Damasco e da Mosca. ” affermando “che l’offensiva principale dell’esercito siriano è l’unica strada: la conquista di Palmira, la liberazione di Deir Ezor e poi l’avanzata su Raqqa. E questo significa che Trump deve collaborare con Assad e la Russia.”

Konovalov considera come segnale di un nuovo orientamento l’ordine di Trump di differire il piano delineato dal governo Obama che puntava sull’addestramento e il rifornimento di armi per le YPG curde. Come ha riferito il Washington Post il 2 febbraio, la squadra di Trump ha respinto il piano per la presa di Raqqa elaborato dai suoi predecessori come “cattivo lavoro”: “Hanno messo a disposizione informazioni, ma abbiamo trovato grossi buchi.”

Tuttavia il rifiuto del piano di Obama non dovrebbe giustificare le conclusioni che ne trae Konowalow. Potrebbe trattarsi piuttosto di politica simbolica: Trump vuole far vedere che è iniziata una nuova era. A proposito della decisione, il portavoce della coalizione anti-IS, il colonnello John Dorrian, ha dichiarato all’agenzia stampa Rudaw: “Quello che posso dirvi è che continuiamo a collaborare con le Forze Democratiche della Siria (SDF).” Per il resto il governo USA non avrebbe ancora preso decisioni. Washington attualmente ne sta discutendo e vedremo cosa verrà fuori. Conosco gli stessi rapporti che conosce lei. Questo è tutto quello che posso dire in proposito.” (ps)

I media USA concordano: la più grande sfida in politica estera per il nuovo governo a Washington sarà la guerra in e intorno alla Siria. Donald Trump già in campagna elettorale aveva puntato in alto. Aveva accusato il governo precedente di aver agito sia in Iraq sia in Siria senza alcuna strategia, Barack Obama e Hillary Clinton avrebbero “creato” nel senso proprio del termine gruppi terroristici come lo “Stato Islamico” (IS). Lui invece avrebbe  un piano per distruggere IS.

Tuttavia rimane poco chiaro che aspetto abbia questo piano. La costante nelle affermazioni di Trump rispetto alla Siria era e rimane quella  che IS è il nemico principale, combatterlo è prioritario rispetto a tutti gli altri obiettivi nella regione. Appena due settimane dopo l’inaugurazione del 45° Presidente ora si accennano alcuni tratti della nuova strategia USA.

Da martedì della settimana scorsa è quantomeno probabile che la nuova amministrazione manterrà la collaborazione con le Unità di Difesa del Popolo (YPG) curde e il Partito dell’Unione Democratica (PYD) egemone nelle zone curde del Paese (Rojava). L’agenzia stampa Reuters ha riferito che le Forze Democratiche della Siria (SDF), un’alleanza militare guidata dalle YPG di gruppi arabi, turkmeni e assiri, avrebbero ricevuto veicoli corazzati dagli USA. “Ci sono segnali per un pieno sostegno per le nostre truppe da parte dei vertici USA – più di prima”, ha commentato il portavoce SDF Talal Silo.

Allo stesso tempo Washington manda segnali in direzione degli avversari dell’amministrazione autonoma curda nella Siria del nord: Trump vuole di nuovo rafforzare il rapporto tra USA e Turchia, notevolmente raffreddato durante la presidenza Obama, e ha ripreso l’idea del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan di voler creare in Siria una “zona sicura”.

La cooperazione palesemente contraddittoria con frazioni nemiche tra loro, già durante la presidenza di Obama faceva parte del repertorio standard della politica statunitense rispetto alla Siria. L’imperialismo USA qui si presenta come una specie di costruttore edile che non distingue tra loro i componenti edili adatti per costruire un edificio secondo i suoi desideri.

Per quanto riguarda i curdi siriani, gli obiettivi di questo modo di procedere sono chiaramente descritti in un documento strategico del “Washington Institute for Near East Policy” (WINEP). La raccolta di testi pubblicata dal neo conservatore Patrick Clawson – diventato noto per aver proposto pubblicamente di provocare l’Iran in direzione di una guerra attraverso “operazioni coperte” – sottolinea esplicitamente che le proposte locali di Donald Trump sono “dichiarazioni compatibili con i suoi obiettivi” e che “proseguono quanto iniziato da Obama, anche se lo forzano fino agli estremi”.

La proposta di Clawson e dei suoi co-autori è la seguente: attraverso una stretta cooperazione con i curdi siriani si vuole “staccare completamente” il PYD dal suo partito fratello il PKK che combatte contro il regime dittatoriale di Erdogan. Con questo i curdi siriani sarebbero derubati della loro base ideologica di un movimento curdo complessivo di liberazione e alla fine si potrebbe creare un governo per procura dipendente dagli USA come nella regione autonoma curda in Iraq. “Il trucco sarà di allontanare i curdi siriani dal Partito del Lavoratori del Kurdistan e di muovere in questo modo la Turchia verso una tolleranza o perfino alleanza con un territorio a controllo curdo ai suoi confini che abbia sentimenti amichevoli nei suoi confronti.”

Uno degli autori, Soner Cagaptay, a questo proposito suggerisce che gli “USA devono appoggiare Ankara nell’indebolire militarmente il PKK”, perché solo allora Erdogan, che per garantirsi le voci nazionaliste per il suo progetto di dittatura presidenziale deve mostrarsi duro, acconsentirebbe a nuove trattative di pace. Queste potrebbero essere usate anche per “annientare politicamente il PKK “. Con questo, così il direttore del “Turkish Research Program” del WINEP, sarebbe aperta la strada per un nuovo indirizzo dei rapporti tra PYD e Turchia.

Le strategie formulate da Clawson e C. certamente rispecchiano una parte delle riflessioni sia del governo Obama, che dell’amministrazione Trump. Anthony Blinken, vice-Ministro degli Esteri sotto Obama, di recente le ha riprese con una formulazione identica in un articolo per il New York Times: Trump dovrebbe armare i curdi della Siria contro IS e allo stesso tempo “raddoppiare il sostegno per la lotta della Turchia contro il PKK – e anche per questo individuare i vertici del gruppo sulle montagne di Qandil.”

Per il progetto politico di un’autonomia democratica, che il movimento di liberazione curdo persegue nell’intera regione, questa cooperazione con gli USA– anche se al momento necessaria dal punto di vista militare per la sopravvivenza – è pericolosa. Per allontanare una parte di questo pericolo, YPG e PYD potrebbero sfruttare una mossa tattica, che Clawson e i suoi co-autori percepiscono come un grande pericolo: rafforzare le loro relazioni con la Russia.

7 Febbraio 2017

di Peter Schaber

Junge Welt

da: retekurdistan.it

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Comunicato delle realtà palestinesi italiane

Roma, 4 ottobre 2025, un milione in piazza per la Palestina libera e la sua Resistenza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Hamas accetta parte dell’accordo. Trump chiede a Israele il cessate il fuoco

Hamas ha risposto al piano del presidente Usa Donald Trump sul futuro di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Palestina: 473 i componenti della Global Sumud Flotilla rapiti. Continua il viaggio della Thousand Madleens to Gaza

Sono 473 i componenti degli equipaggi della Global Sumud Flotilla rapiti in acque internazionali dalle forze occupanti dell’esercito israeliano dopo l’assalto alle imbarcazioni iniziato la sera di mercoledì 1 ottobre 2025 a meno di 70 miglia da Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Argentina: Feroce repressione sui pensionati davanti al Congresso ha fatto 20 feriti

I manifestanti stavano sul marciapiede quando le forze di sicurezza federali sono passate all’attacco. Denunciano l’uso di un nuovo gas irritante, più potente di quelli precedenti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bloccando tutto – E’ sciopero generale

Oltre 100 manifestazioni in tutta Italia. Nonostante le intimidazioni del governo le piazze si sono riempite ovunque. Superati ampiamente i numeri del 22 ottobre in molte città.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Giorni di protesta in Marocco

Dal 25 settembre sono in corso una serie di mobilitazioni nelle città più grandi del Marocco, da Tangeri fino ad Agadir.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bloccata la Global Sumud Flottila: aggiornamenti dalle piazze di tutta Italia

Dalle 20.30 di ieri sera circa è iniziato l’abbordaggio da parte delle navi militari dell’IDF nei confronti delle imbarcazioni della Global Sumud Flottilla.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Israele attacca la Flotilla. In mattinata ancora diverse navi in marcia verso Gaza

Ieri sera sono iniziate le operazioni di abbordaggio della Global Sumud Flotilla da parte dell’esercito israeliano. Ad ora solo venti navi sono state intercettate, le altre sono ancora in navigazione verso le coste di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il Madagascar si ribella per l’accesso all’acqua e all’elettricità: 22 morti, il governo si dimette

«Chiediamo al Presidente di dimettersi entro 72 ore». È questa la richiesta senza compromessi formulata il 30 settembre da un manifestante della «Gen Z»

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Molte parole sul Board of Peace, il genocidio continua

Michele Giorgio, Giornalista de Il manifesto e di Pagine Esteri, nel giorno in cui gli occhi in Italia sono tutti puntati sulla Global Sumud Flottilla, racconta come questa iniziativa internazionale e internazionalista accenda speranze sebbene flebili nei Territori.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Alcune riflessioni a caldo su “Blocchiamo tutto”

E’ quasi impossibile fare un bilancio organico di queste giornate incredibili. Il movimento “Blocchiamo tutto” ha rappresentato una vera discontinuità politica e sociale nella storia italiana.

Immagine di copertina per il post
Culture

Al mio popolo

Lo scorso 25 settembre è deceduta a Cuba Assata Shakur, importante membro delle Pantere Nere prima, della Black Liberation Army poi.