Esplosioni in Libano: si apre un nuovo capitolo del genocidio
Dopo le prime esplosioni di migliaia di cercapersone in dotazione a membri di Hezbollah avvenute in Libano, un’ulteriore ondata di esplosioni in contemporanea, di walkie talkie e pannelli fotovoltaici, è stata segnalata dai media libanesi nei giorni scorsi, causando la morte di almeno 20 persone e ferendone a migliaia, anche in Siria.
Una forte esplosione è avvenuta durante i funerali dei membri di Hezbollah nella periferia di Beirut, nel frattempo decine e decine di squadre di ambulanze hanno dovuto rispondere a chiamate per “esplosioni multiple”.
Le esplosioni, avvenute per la manomissione dei dispositivi (di azienda taiwanese poi trasferita in Ungheria, probabilmente di produzione israeliana) attraverso polvere esplosiva, sono avvenute in contemporanea, in mezzo a civili, inaugurando così una pratica senza precedenti. Nessuno ha preso parola per definire l’attacco israeliano come terrorismo di Stato, ignorando l’ONU che ha dichiarato che i responsabili dell’attacco hanno (ancora una volta) violato il diritto internazionale.
Le ragioni di questo attacco sono molteplici: l’intento di Israele di mostrare la debolezza del Libano e di Hezbollah, l’obiettivo di dichiarare guerra esplicita e colpire in maniera terroristica la popolazione, agire pressione nei confronti di attori internazionali ancora poco direttamente coinvolti come gli Stati Uniti. Nell’anniversario della strage di Sabra e Chatila del 1982 il governo di Netanyahu ha voluto dimostrare le sue capacità di intelligence e di guerra altamente tecnologica, sperimentando e applicando pratiche militari innovative alla guerra coloniale.
Grazie al commento di Eliana Riva, caporedattrice di PagineEsteri abbiamo analizzato la situazione dal punto di vista interno e degli effetti sull’intera area del Medio Oriente in una fase di probabile allargamento della guerra
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