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Lo sciopero della fame, simbolo della storia di solidarietà tra Irlanda e Palestina

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Dai boicottaggi a Balfour fino al trattamento dei prigionieri politici, gli irlandesi e i palestinesi hanno molto in  comune

 

di Yousef M Aljamal*  al-Jazeera

*(Traduzione a cura di Valentina Timpani)

Roma, 9 dicembre 2021, Nena News – Durante gli undici giorni di assalto della Striscia di Gaza da parte di Israele a maggio, che è costata la vita di 254 palestinesi, compresi 66 bambini, sono stati organizzati diversi atti di solidarietà nel mondo. Ma forse nessuno è stato così significativo come quello che ha avuto luogo in Irlanda. Il 26 maggio il parlamento irlandese ha fatto passare una risoluzione che condanna l’annessione “de facto” della Palestina da parte di Israele.

È stato significativo, ma non sorprendente, considerato che la storia della solidarietà tra Irlanda e Palestina è lunga e reciproca.

La si è potuta nuovamente constatare quando la scrittrice irlandese, autrice di best seller e vincitrice di diversi premi, Sally Rooney, ha rifiutato un’offerta di traduzione del suo romanzo, Beautiful World, Where are you, in ebraico, facendo riferimento al supporto al movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Il movimento BDS che fa appello alla società civile globale affinché si impegni in una campagna onnicomprensiva di boicottaggio contro Israele fin quando non sarà permesso ai rifugiati palestinesi di tornare nelle loro case, fino alla fine dell’occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, fino allo smantellamento degli insediamenti e del muro di separazione e fino a quando i palestinesi con passaporti israeliani non saranno trattati allo stesso modo che gli ebrei israeliani, è particolarmente popolare in Irlanda. Ma, ancora, non dovrebbe essere una sorpresa – perché è proprio lì che è nato il termine “boicottare”.

Charles Cunningham Boycott (1832-1897) era un agente immobiliare inglese che lavorava per Lord Erne, il quale possedeva 40.000 acri (16.000 ettari) di terra in Irlanda. A quel tempo, durante il dominio inglese, 750 proprietari – che spesso non risiedevano nelle loro terre – possedevano metà del paese. Molti di loro pagavano degli agenti perché gestissero le loro tenute, come faceva Boycott per Erne nella contea di Mayo. Il suo lavoro includeva riscuotere l’affitto dai contadini che lavoravano la terra.

Nel 1880, la Land League, che era stata fondata l’anno prima per lavorare a una riforma del sistema dei proprietari terrieri, che lasciavano i contadini poveri in balia di affitti eccessivi e di sfratti se non potevano pagare, chiesero a Boycott di ridurre gli affitti del 25 per cento. I raccolti non erano stati buoni e la prospettiva della carestia incombeva. Ma Erne – e Boycott – si rifiutarono e ottennero avvisi di sfratto per gli affittuari che non potevano pagare.

In risposta Charles Stewart Parnell, un leader nazionalista irlandese, presidente della Land League, incoraggiò i vicini di Boycott a evitarlo o a ostracizzarlo. I negozi del posto si rifiutarono di servirlo e quando i braccianti si rifiutarono di lavorare la terra, fu costretto a far arrivare dei lavoratori da Ulster a un costo di gran lunga maggiore rispetto al valore dei raccolti a cui lavoravano.

Si racconta che Padre John O’Malley, un leader locale della Land League, pensava che la parola ostracizzare fosse troppo complicata per i braccianti – e fu così che nacque il termine to boycott (boicottare). Ma la parola – e il concetto – non è l’unico filo che unisce la storia irlandese a quella palestinese.

“Bloody Balfour” – Dall’Irlanda alla Palestina

Non molto tempo dopo la Rivolta di Pasqua del 1916 – quando, dal 24 al 29 aprile, i nazionalisti irlandesi si ribellarono contro il dominio inglese finché l’esercito inglese non represse violentemente la rivolta e ne giustiziò i leader – i palestinesi vissero la loro calamità per mano degli inglesi.

Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri, Arthur James Balfour, scrisse una lettera al barone Lionel Walter Rothschild, una delle figure di spicco della comunità ebrea in Inghilterra, in cui dichiarava: “Il governo di sua maestà vede con favore lo stabilimento in Palestina di un focolare per il popolo ebraico”.

La Dichiarazione Balfour avrebbe avuto conseguenze terribili per i palestinesi, ma gli irlandesi avevano già familiarità con il lavoro di Balfour.

Dal 1887 al 1891, Balfour era stato capo segretario per l’Irlanda, dove aveva immediatamente cominciato a reprimere il lavoro della Land League. Il Perpetual Crimes Act del 1887 perseguiva gli attivisti agrari e mirava a prevenire, tra le altre cose, i boicottaggi.

Centinaia di persone, compresi più di venti parlamentari, furono incarcerati a seguito di questa legge, che faceva sì che i casi potessero essere portati a processo senza una giuria. Quando alcuni membri del Royal Irish Constabulary spararono alla folla che protestava contro la condanna di due persone a Mitchelstown, nella contea di Cork, il 9 settembre 1887, uccidendo tre uomini, Balfour fu soprannominato “Bloody Balfour” (Balfour il sanguinoso).

Gli anni ’80 – Dal Libano a Long Kesh

La connessione tra la lotta irlandese contro gli inglesi e quella dei palestinesi contro Israele è continuata negli anni successivi. A quanto si dice, negli anni ’70 e nei primi anni ’80, alcuni membri dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) avevano legami con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

I membri irlandesi dell’IRA visitavano i campi profughi in Libano, dove l’OLP ha avuto sede fino al 1982, per mostrare solidarietà al popolo palestinese. Secondo Danny Morrison, ex direttore pubblicitario di Sinn Fein, un partito repubblicano irlandese associato storicamente all’IRA: “L’IRA non ha mai confermato una relazione di lavoro con la resistenza palestinese. Ci sono state voci di repubblicani che venivano addestrati in un campo palestinese. Nel porto di Dublino le autorità irlandesi espropriarono delle armi che venivano da Cipro e che si dice fossero state inviate dall’OLP per l’IRA, ma l’IRA non l’ha mai confermato”.

Tuttavia, la questione che probabilmente collega più strettamente l’esperienza palestinese e quella irlandese è la questione dei prigionieri politici. Nel 1936, durante il mandato inglese in Palestina, l’Inghilterra introdusse la detenzione amministrativa, che permetteva la reclusione di prigionieri per un tempo indeterminato senza la formulazione di accuse e senza processo. Israele usa questa legge ancora oggi, centinaia di palestinesi vengono imprigionati così.

Nell’Irlanda del Nord, una legge uguale è stata introdotta nel 1971, tre anni dopo l’inizio dei Troubles (il conflitto nordirlandese), con l’intenzione di penalizzare l’IRA. La reclusione senza processo includeva arresti di massa, soprattutto di nazionalisti e cattolici, molti dei quali non avevano alcuna connessione con l’IRA. Coloro che venivano arrestati venivano mandati nel carcere di Long Kesh (dove più avanti ci sarà il famoso H-Blocks o Maze). Prima dell’eliminazione della legge nel 1975, erano state incarcerate quasi 2.000 persone.

Coloro che venivano tenuti a Long Kesh sostenevano di essere prigionieri politici e non normali criminali e che come tali dovevano essere trattati. Nel 1972, ai prigionieri che scontavano pene legate ai Troubles fu assegnato uno statuto di categoria speciale, o statuto politico, che significava che non dovevano indossare le uniformi della prigione o fare lavoro carcerario e che potevano ricevere visite extra e pacchi di cibo.

Nel 1976, però, si mise fine allo statuto di categoria speciale. (Un secolo prima, Arthur Balfour sosteneva che i prigionieri politici dovessero essere trattati come normali criminali.) Israele, allo stesso modo, rifiuta di riconoscere lo status di prigionieri politici ai palestinesi, nonostante molti di loro – come Ahmad Sadat e Marwan Barghouti – siano leader di gruppi politici.

Gli scioperi della fame

Il 1 marzo 1981, cinque anni dopo la fine dello statuto di categoria speciale, un prigioniero repubblicano irlandese, Bobby Sands, iniziò uno sciopero della fame per chiedere il ripristino dello status politico. Altri prigionieri politici si unirono a lui nello sciopero a intervalli scaglionati. Dieci di loro, compreso Sands, morirono.

Dopo la morte di Sands il 5 maggio, il sessantaseiesimo giorno di sciopero, i prigionieri palestinesi nella prigione israeliana di Nafha fecero uscire di nascosto una lettera di supporto per gli irlandesi che facevano lo sciopero della fame. C’era scritto: “Rendiamo onore allo sforzo eroico di Bobby Sands e dei suoi compagni, perché hanno sacrificato la cosa più preziosa che gli esseri umani posseggono. Hanno dato la vita per la libertà”.

C’erano stati diversi scioperi della fame da parte dei prigionieri palestinesi prima e molti ce ne sarebbero stati dopo. Cinque palestinesi sono venuti a mancare mentre scioperavano e dozzine si sono avvicinati alla morte. Migliaia di prigionieri palestinesi hanno partecipato a quella che i palestinesi chiamano “la battaglia degli stomachi vuoti”, sia da soli che in massa, nel corso degli anni.

Gli scioperi della fame sono efficaci perché, oltre a umanizzare i prigionieri in quanto persone desiderose di sacrificare le loro vite per la libertà, attirano l’attenzione internazionale – aiutando a costruire una solidarietà internazionale, in particolare tra le persone in diaspora.

Recentemente ho contribuito alla scrittura di un libro – A Shared Struggle: Stories of Irish and Palestinian Hunger Strikers – in cui vengono raccontate le storie di alcune di queste persone palestinesi che hanno fatto scioperi della fame e delle loro controparti irlandesi. Una delle storie è quella di Rawda Habib, che fu arrestata nel 2007 dall’esercito israeliano e condannata a otto anni di prigione. Quando Israele ha rifiutato la sua richiesta di essere trasferita nella sezione femminile della prigione, Habib, che al tempo era incinta e che ha poi partorito mentre era in carcere, non ha né mangiato né bevuto per tre giorni.

“Non sapevo che di solito chi fa lo sciopero della fame smette di mangiare cibo ma assume solo il sale con l’acqua, in modo da non far marcire lo stomaco”, spiega nel libro. “Ho anche scoperto che si può tollerare la fame ma non la sete. Non assumere acqua può portare alla paralisi, all’insufficienza renale o anche alla morte in pochi giorni. La sera del terzo giorno, sono svenuta e caduta a terra”.

Fu trasferita nella sezione femminile del carcere ed è stata rilasciata più avanti come parte di uno scambio di prigionieri tra Hamas e Israele nel 2011.

La storia di Habib è simile a quella di Hana Shalabi. Nel 2012, Shalabi, che è della città di Jenin, in Cisgiordania, ha fatto uno sciopero della fame di 43 giorni, fino a quando Israele ha accettato di deportarla nella Striscia di Gaza, dove vive ancora oggi. Shalabi mi ha raccontato che mentre faceva lo sciopero della fame, fu trasferita all’ospedale di Haifa, la città dove i suoi genitori avevano vissuto prima di diventare profughi durante la Nakba. Ma quando le autorità israeliane si resero conto che lei era felice di essere nella sua città, la trasferirono per punizione in un ospedale diverso.

Laurence McKeown, un repubblicano irlandese che è stato imprigionato per sedici anni dal 1976 al 1992 ha preso parte allo sciopero della fame nel 1981, dopo che Sands e altri tre erano morti. Il suo sciopero è finito il settantesimo giorno quando la sua famiglia ha autorizzato l’intervento medico per salvargli la vita. Nel libro, descrive come le guardie carcerarie gli portavano il cibo tre volte al giorno nel tentativo di convincerlo ad abbandonare il suo sciopero. Oggi, Israele adotta un metodo simile contro i prigionieri palestinesi; ad aprile 2017, quando 1.500 prigionieri palestinesi iniziarono uno sciopero della fame, i coloni israeliani organizzavano grigliate vicino alle celle dove erano tenuti i prigionieri.

La somiglianza tra le pratiche inumane subite dai prigionieri politici irlandesi nel passato e il trattamento disumano dei prigionieri palestinesi di oggi ci serve a ricordare questa lunga storia di solidarietà tra due paesi infestati dalla colonizzazione. Sulla copertina di A Shared Struggle c’è la fotografia di alcune donne palestinesi che portano dei cartelli con scritto “Nafha, H-Block, Armagh, una sola lotta”, è un’immagine che la dice lunga sulla solidarietà tra Irlanda e Palestina.

Ad oggi 29 novembre, la Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, due prigionieri palestinesi stanno facendo uno sciopero della fame: Hisham Abu Hawwash, da 108 giorni, e Nidal Ballout, da 35 giorni. Entrambi sono sotto detenzione amministrativa senza accuse e senza un processo.

Ma come scrisse Bobby Sands tanti anni fa in The Lark and the Freedom Fighter – un saggio che ci ricorda del defunto prigioniero palestinese Muhammad Hassan, che teneva un uccello nella sua cella del carcere di Nafha, nutrendolo e concedendogli della libertà ogni giorno, finché un detenuto lo calpestò accidentalmente uccidendolo: “Ho uno spirito di libertà che non può essere spento neanche dal più orribile dei trattamenti. Ovviamente posso essere ucciso, ma mentre sono ancora in vita, resto quello che sono, un prigioniero politico di guerra, e nessuno può cambiare questo fatto”. Nena News

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