Ospedale Kamal Adwan incendiato ed evacuato: cala il sipario sull’ultimo presidio di umanità nel Nord della Striscia
La strada per la “soluzione finale” è spianata.
Come prevedibile, Israele ha approfittato delle feste di Natale per portare a termine la distruzione fisica del sistema sanitario nel nord di Gaza. Per completare in tempo utile l”impresa”, gli ultimi giorni sono stati un continuo crescendo di orrori: i bombardamenti si sono intensificati a livelli parossistici, addirittura superiori a quelli dei primi folli giorni dell’assalto israeliano. Il giornalista Hossam Shabat (ormai tragicamente abituato a dormire in mezzo alle esplosioni), ora basato a Gaza City, ad alcuni chilometri di distanza, ha riferito di esplosioni talmente forti e insistenti da svegliarlo più volte: “un terremoto continuo“.
Per quanto riguarda la guerra contro gli ospedali, l’Indonesian Hospital è stato completamente evacuato e chiuso in via definitiva: per buona misura, l’esercito israeliano ha pensato bene di trasformarlo in una sua base operativa. L’ospedale Al-Awda a Jabalia, già da settimane funzionante a livelli minimali, da stamattina viene bombardato in modo diretto e continuo: i carri armati prendono di mira i reparti e le corsie e probabilmente presto verrà forzatamente del tutto evacuato.
Il Kamal Adwan l’unico ospedale che forniva un certo livello di servizio e che aveva ancora un reparto di terapia intensiva, negli ultimi tre giorni ha ricevuto un trattamento speciale. I due cassoni esplosivi fatti detonare nella notte del 23 dicembre erano solo l’inizio: l’esercito occupante ha ulteriormente intensificato il bombardamento dell’ospedale e i suoi dintorni con cannoni, quadricotteri e aerei, distruggendo e incendiando decine di case, e facendo esplodere decine di cassoni esplosivi, sempre più potenti e sempre più vicini, talmente vicini da far crollare le pareti divisorie interne. Nel giorno di Natale un grosso frammento di metallo scagliato da una di queste esplosioni ha colpito alla testa un infermiere che stava lavorando nel reparto di terapia intensiva ferendolo in modo grave.
L’escalation finale è stata preannunciata dal giornalista israeliano Hallel Bitton Rosen, uno tra i più noti giornalisti “di fiducia” dell’esercito israeliano. In un tweet, pubblicato ieri sera Bitton Rosen descriveva infatti l’ospedale come “un significativo quartier generale di Hamas” senza ovviamente fornire neanche la minima prova a supporto. L’accusa è ben oltre il ridicolo: l’ospedale è stato più volte visitato da organizzazioni internazionali quali l’UNICEF e l’OMS, il dottor Abu Safia (come riferito dal dottor Mads Gilbert) aveva addirittura invitato l’esercito israeliano a presidiare permamentemente l’edificio per accertarsene.. ma state certi che ciò non impedirà alla stampa genocidaria di riportare la fandonia come un fatto acclarato.
Mentre il giornalista israeliano twittawa, un F-16 ha bombardato e distrutto l’edificio di fronte all’ospedale dove erano rifugiati i familiari degli operatori sanitari e tecnici, ammazzando in un colpo solo circa cinquanta uomini, donne e bambini. Tra essi, un pediatra che abitava lì con la sua famiglia, una tecnica di laboratorio che stava portando cibo al padre e al fratello. Un tecnico della manutenzione è corso verso l’edificio per cercare di portare soccorso ma è stato freddato dall’esercito israeliano, sempre molto attento e preciso nell’individuale e ammazzare i soccorritori che accorrono sui luoghi dei suoi crimini: inoltre, due infermieri che stavano raggiungendo l’ospedale sono stati giustiziati a 500 metri dall’edificio, portando a cinque il numero di operatori giustiziati nel giro di pochi minuti.
Stamattina è arrivato l’epilogo. L’esercito israeliano ha fatto irruzione nell’ospedale annunciando che l’ospedale sarebbe stato chiuso e ha disattivato l’impianto per l’ossigeno al quale alcuni pazienti erano attaccati, ammassando tutti coloro in grado di muoversi in alcune stanze e dando fuoco a tutto il resto: l’officina di manutenzione, il laboratorio, i reparti di degenza, la chirurgia, la terapia intensiva, il magazzino e gli archivi. Il fato delle 350 persone presenti (tra cui 75 degenti) non è ancora chiaro: i pazienti in grado di muoversi sono stati perquisiti e obbligati sotto minaccia delle armi ad evacuare verso sud a piedi, insieme ai loro accompagnatori e a parte del personale medico. Non è stato neanche concesso loro il permesso di rivestirsi, come documentato da un video fieramente ripreso da sopra un mezzo militare. I pazienti non in grado di muoversi sono stati parzialmente evacuati con ambulanze verso l’Indonesian Hospital, che però non è più operativo. Altri 25 di loro, insieme a 60 persone dello staff, sono rimasti in ospedale in in attesa di simile destino. Una tecnica di laboratorio ha raccontato che settantina di donne sono state portate in una stanza e i soldati hanno chiesto loro di togliersi l’hijab: a fronte dei loro unanimi, ripetuti e coraggiosi rifiuti, i soldati le hanno obbligate a spogliarsi procedendo a umilianti perquisizioni davanti a tutte, prendendole poi per i capelli per verificare le foto sui loro documenti e infine intimando loro di allontanarsi.
L’ospedale è stato quindi reso inutilizzabile dagli incendi appiccati dall’esercito occupante e l’evacuazione forzata è in via di completamento. Nulla si sa della sorte del direttore dell’ospedale, dottor Abu Safia, più volte minacciato di arresto dalle forze di occupazione per i suoi ripetuti rifiuti di evacuare l’ospedale: il suo ultimo post su Instagram, col quale denunciava l’irruzione dei militari e il ferimento di molti appartenenti allo staff medico, risale a otto ore fa. Allo stesso modo nulla si sa dei giornalisti Mohammed Al-Sharif e Islam Ahmed, che nonostante la mostruosa campagna di sterminio lanciata dall’esercito occupante nei confronti di tutti i giornalisti palestinesi erano rimasti con incredibile coraggio a documentare l’agghiacciante sequela dei crimini israeliani fino alla fine. Sarebbe davvero oltre il criminale se l’esercito israeliano arrestasse il direttore e i giornalisti (nel caso, sappiamo bene quale trattamento inumano li aspetterebbe), ma purtroppo sappiamo da tempo che da loro ci si può aspettare davvero di tutto.
L’operazione finalizzata alla distruzione del sistema sanitario del nord di Gaza, totalmente degna di primeggiare tra i più atroci crimini contro l’umanità di tutta la storia umana, è quindi compiuta. E’ durata 80 giorni, durante i quali il direttore Abu Safia ha ininterrottamente chiesto l’intervento di chiunque fosse in grado di fermare una simile barbarie. Nessuno è intervenuto in modo significativo, e ora che anche le ultime vestigia di strutture umanitarie sono state azzerate Israele può finalmente entrare nella fase finale della pulizia etnica del Nord senza fastidiosi esseri che si ostinano ad aiutare le sue vittime e a vanificare i suoi sforzi delinquenziali.
Già adesso la situazione è oltre l’immaginabile. Una testimonianza raccolta ieri dal giornalista Islam Bader da un palestinese appena fuggito dagli orrori dipinge uno scenario talmente agghiacciante da far pensare agli stermini perpetrati dagli Unni di Attila. Le strade sono letteralmente costellate di cadaveri che vengono divorati da cani e gatti, ma l’abbondanza di corpi umani è ora tale che gli animali, un tempo scheletrici, sono diventati visibilmente più grassi. Se qualche giorno fa un corpo veniva divorato nel giro di 4-6 ore, ora i corpi durano anche 3-4 giorni. Ossa e teschi umani sono sparpagliati un po’ dappertutto, perchè gli animali portano con sè pezzi di cadaveri per mangiarli in disparte. La distruzione delle abitazioni è talmente totale che neanche gli abitanti sono più in grado di riconoscere dove si trovi la loro casa o la loro strada, al punto che il testimone conclude che “il nord di Gaza non è più un posto dove si possa vivere”. Secondo calcoli probabilmente molto sottostimati, ad oggi almeno il dieci per cento della popolazione di Gaza è stato ucciso, ferito o risulta disperso.
Di fronte a simili scene il mio pensiero torna sempre ai giorni dell’occupazione della facoltà di Fisica, durante i quali in un consiglio di dipartimento la maggioranza dei miei colleghi ha serenamente bloccato qualsiasi forma di boicottaggio accademico degli atenei israeliani (pienamente e dimostrabilmente organici a questi orrori) perchè “la libertà di ricerca è un bene supremo”, perchè “bisogna costruire ponti e non muri” o altre feroci sciocchezze del genere, spesso profferite con accademica gravità quasi fossero evidenti e indiscutibili perle di saggezza elargite ao poveri idioti che insistevano per una presa di posizione chiara finalizzata a fermare il genocidio. Da quei giorni, gli orrori subiti dalla popolazione palestinesi non hanno fatto che aumentare esponenzialmente: addirittura, in questi giorni, ogni notte qualche neonato muore di freddo e denutrizione nelle tende e nei ripari di fortuna, del tutto inadatti alla sopravvivenza umana, ma nessuno ha mai neanche lontanamente pensato a riaprire la questione.
Verrebbe da chiedere a questi illustri colleghi: quand’è che vi sveglierete? Quand’è che le atrocità in continuo accumulo e aumento arriveranno a un livello tale da smuovere le vostre coscienze e ridiscutere le vostre posizioni così superficialmente prese e difese? Ma è inutile chiedere, perchè già conosco la risposta: tale ripensamento non avverrà mai, perchè la loro ignavia fino ad oggi dimostra che quelle persone semplicemente se ne fregano in modo totale delle sofferenze altrui. Nonostante gli alti principi che amano declamare ad ogni occasione utile per mostrarsi umani ed empatici, la verità è che per loro l’unica cosa che conta è la loro esistenza, il resto del mondo può anche sparire domani tra atroci dolori, tanto più quanto se a patire è gente con una religione e un colore della pelle diverso dal nostro.
Nessuna salvezza arriverà mai dal ceto intellettuale italiano, i cui encefalogrammi e cardiogrammi sono linee continue senza neanche un sussulto di umanità.. in un Occidente freneticamente avviato verso il suprematismo bellicista conclamato, si sveglieranno solo quando inevitabilmente le conseguenze della loro bancarotta morale e umana li toccheranno in prima persona… ma sarà tardi, tardissimo, non solo per i palestinesi, ma anche per loro.
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