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Chi ha paura dei cittadini attivi ?

In molte città italiane le motoseghe che abbattono alberate al riparo di barriere e di schieramenti di forze dell’ordine stanno producendo anche lacerazioni tra popolazioni e amministratori. A cosa porteranno queste fratture? E quali saranno gli effetti del rifiuto dei tecnici comunali di confrontarsi con gli agronomi che sostengono le istanze dei cittadini?

A Torino, il convegno organizzato per il 28 marzo al Campus Luigi Einaudi dal collettivo studentesco Ecologia Politica e dal Comitato Salviamo gli Alberi di corso Belgio sul tema “Alberi Urbani fra bisogno di conservazione ed esigenze di sicurezza” intendeva aprire un contraddittorio tra il dott. Daniele Zanzi (il rinomato arboricoltore e agronomo che supporta i cittadini) e gli esperti cui si appoggia l’Amministrazione torinese. Ma tutti gli inviti sono stati ignorati o declinati. Si è pertanto deciso di tenere lo stesso l’evento, esprimendo i valori in cui il Comitato si riconosce e ampliando la visione anche alla dimensione politica e alla rappresentazione mediatica dell’argomento. Una rappresentazione che è tutt’altro che imparziale, dato che mentre si disdegna il dibattito proposto dai cittadini, si somministra ai giornalisti un controconvegno riservato e inserito tra i corsi di formazione dell’Ordine, dal titolo: “Alberi in città: salvare le piante è sempre la cosa giusta da fare?”

Nemmeno i cittadini pensano che sia ‘sempre’ la cosa giusta da fare, ovviamente, benché spesso siano accusati di essere mossi esclusivamente dall’emotività, quando si tratta di abbattimenti. Che tale accusa sia falsa è stato nuovamente dimostrato nel suddetto convegno, in cui si è parlato del verde urbano in modo scientifico, analizzando sotto più profili anche le diatribe che esso sta suscitando negli ultimi tempi. Un approccio multi- e interdisciplinare, dunque, a partire dallo stesso Zanzi, che ha richiamato concetti di meccanica e termodinamica, pur sottolineando la necessità prioritaria di conoscere a fondo la biologia e la fisiologia specifica degli alberi, per poterli gestire senza errori. Certamente gli alberi in città non sono a casa loro, vivono in condizioni difficili e con gli anni sviluppano difetti: ma sono esseri viventi intelligenti, che hanno sviluppato meccanismi (per esempio la compartimentazione) per sopravvivere e per coabitare a lungo con i loro aggressori interni ed esterni. E, come Zanzi e il suo maestro Alex Shigo, padre dell’arboricoltura moderna, hanno rilevato sezionando migliaia di tronchi, anche le cavità non sono sempre indice di patologia e debolezza insuperabili dalla pianta. Purtroppo sono gli interventi umani che spesso ne compromettono la salute. Per esempio, privare l’albero della sua massa fogliare con potature drastiche riduce la sua capacità di captare energia solare per la fotosintesi. Inoltre le ferite da potatura spesso ledono le barriere create dalle piante per limitare l’avanzata dei funghi. Quindi salvare gli alberi adulti, ogni qualvolta sia possibile, è la cosa giusta da fare! Occorre migliorare le condizioni in cui vivono, dato che una sostituzione, per avere effetto immediato, richiederebbe la messa a dimora di centinaia o migliaia di nuovi esemplari per ogni albero abbattuto.

D’altro canto il prof. Vittorio Martone, docente di sociologia dell’ambiente e del territorio, ha rilevato che l’approccio emotivo, o meglio affettivo e simbolico, dei cittadini verso il territorio, non è affatto da disprezzare: dovrebbe anzi essere considerato, insieme ai loro saperi, nella coprogettazione degli interventi. Coprogettazione che a oggi non esiste: i cittadini si scontrano con un modello politico decisionista che non lascia alcuno spazio ai loro sentimenti, ma neanche ai loro ragionamenti sui luoghi in cui vivono. I progetti che sconvolgono viali e parchi urbani poggiano inoltre su una competenza scientifica che è pure esclusiva, prodotta in laboratorio, che esclude altri saperi. Una società realmente democratica decide invece insieme che cosa sono le nature urbane e a che cosa servono.

Il prof. Dario Padovan, associato di sociologia generale, ha peraltro evidenziato che i politici che sviliscono l’emotività dei cittadini in realtà se ne servono, riducendola però a un solo sentimento: la paura. L’enfasi del discorso politico sulla sicurezza è infatti funzionale a suscitare ansia e paura e a creare un bisogno di ordine e controllo, la cui soddisfazione è delegata allo Stato e alla politica.

(Il concetto di sicurezza è peraltro manipolato, focalizzandolo su certi rischi infinitesimali, come quello di subire lesioni per la caduta di un albero, e lasciando nell’ombra eventi altamente probabili, come la morte per inquinamento, con parecchie decine di migliaia di casi ogni anno). Fa leva sulla paura anche la crociata contro le piante alloctone, che pure è usata per giustificare migliaia di abbattimenti, compresi quelli di corso Belgio, nella prima delibera sul progetto di fattibilità. Zanzi ha sfatato anche questo timore: una specie di pulizia etnica botanica che non ha alcuna ragion d’essere, perché le specie che vengono poste nelle Black List regionali sono piante pioniere che sanno adattarsi alle situazioni estreme, quindi vegetazione utile nella nostra epoca di cambiamento climatico.

La paura, ha osservato Padovan allargando lo sguardo alla situazione complessiva attuale, spinge a risposte irrazionali e individualistiche anziché a soluzioni ponderate collettivamente. Il ‘si salvi chi può’ non fa che alimentare le discriminazioni, la disgregazione sociale, la formazione di gironi sempre più profondi in cui collocare gli ultimi. L’approccio emergenziale suggerisce che possiamo soltanto evitare il peggio e che il miglioramento è impossibile. Fino a inculcare il pensiero che anche la pace è una merce con una scadenza, ormai prossima. E che quindi dobbiamo accettare anche la sostituzione della pace con un bellicismo globale.

Dal convegno è emersa quindi la necessità di smantellare la Torino a compartimenti e dipartimenti (universitari) stagni, perché la stagnazione in tutti i sensi non fa bene né alla cultura né alla società, come non lo fa l’asservimento della tecnica a finalità economiche a breve termine anziché alla salvaguardia dell’ambiente e della salute. Ed è significativo che l’esigenza di riconnessione si stia manifestando a partire da ragionamenti sugli alberi che, come ha affermato Zanzi, vivono in collettività, danno supporto a comunità di esseri viventi e sanno convivere con tutti gli altri organismi, compresa la nostra specie.

Il dott. Maurizio Stella, che è stato primario del reparto Grandi Ustionati del CTO ed è membro del Comitato Salviamo gli Alberi di corso Belgio, ha illustrato gli effetti positivi della presenza di alberi sul benessere umano, evidenziando come il rapporto rischi-benefici sia enormemente sbilanciato verso i secondi. Gli alberi non solo mitigano i fattori che minacciano la nostra salute (particolato, sostanze inquinanti, isola di calore, radiazioni UVA ecc.), ma stimolano le capacità reattive del nostro corpo, a partire dal sistema immunitario. Inoltre, là dove ci sono alberi le persone sono più inclini a comportamenti che migliorano la salute fisica, mentale e psicologica, nonché la coesione sociale, mentre le attività criminose diminuiscono. A Torino come in altre città, peraltro, il verde urbano non è equamente distribuito in tutte le zone, e questo crea importanti disuguaglianze proprio in termini di possibilità di godere di buona salute.

Purtroppo, come ha ricordato Roberto Accornero, a febbraio in corso Belgio il Comune ha abbattuto 17 alberi (anticipando le analisi di 12 mesi), rifiutando la proposta di una valutazione congiunta e con un atto di forza che ferisce non solo la comunità degli alberi ma anche quella umana. Anche questo è un modo per suscitare paura: la legittima protesta viene repressa come se fosse un crimine, la cittadinanza attiva diventa cattiva. Del resto vi è pavidità e corporativismo, ha rilevato Roberto Gnavi di Italia Nostra Torino, anche nelle categorie coinvolte nei progetti, dagli architetti ai giornalisti, agli stessi tecnici comunali, che temono di dover rispondere di danni.

Adriana My, la presidente di Italia Nostra Piemonte, ha ribadito il proprio sostegno al Comitato. In maggio ci sarà un convegno nazionale dell’associazione ambientalista, proprio per discutere delle devastazioni in corso, con esperti e istituzioni.

Nonostante tutto c’è quindi chi è immune dalla paura dei Comitati, e da quella di esporsi a loro favore, come Italia Nostra ed Ecopolis che sin dall’inizio hanno appoggiato il Comitato. Speriamo che sempre più cittadini diventino attivi e che sempre meno soggetti temano di sostenerli.

Primo intervento all’interno del convegno organizzato dal Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio e il collettivo universitario Ecologia Politica Torino con l’agronomo dott. Daniele Zanzi su un diverso approccio all’ecologia urbana.
Secondo intervento all’interno del convegno organizzato dal Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio e il collettivo universitario Ecologia Politica Torino con il docente di Sociologia Vittorio Martone sull’importanza della decisionalità dal basso sui territori.
Terzo intervento all’interno del convegno organizzato dal Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio e il collettivo universitario Ecologia Politica Torino con il docente di Sociologia Dario Padovan in merito alla narrazione dominante sulla sicurezza e la creazione della paura.
Quarto intervento all’interno del convegno organizzato dal Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio e il collettivo universitario Ecologia Politica Torino con il dottor Maurizio Stella, ex primario del CTO di Torino e attivista del comitato, in merito alla correlazione tra alberi, cambiamento climatico e salute.
Quinto intervento all’interno del convegno organizzato dal Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio e il collettivo universitario Ecologia Politica Torino con Roberto Accornero, portavoce del comitato, in merito all’esigenza di una reale democrazia dal basso molto spesso ostacolata dalle istituzioni. L’esempio dell’assenza di ospiti che potessero svolgere il ruolo di contraddittorio, nonostante l’invito da parte del comitato, ne è solo uno dei tanti esempi nella storia della lotta a tutela degli alberi di corso Belgio.

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